Parte I. La comunità albanese di Calabria
3. Sacralizzazione dell’identità
1.1 Moderati e democratici
Sii tu ben venuta ad allegrarci o desiata Libertà! […] O gloria! E dunque venisti? Con te hai portato la desiata pace! E quella che non parea più venire, sta or con noi felice ricchezza! Siamo fratelli, siamo sorelle, siamo signori, siamo signore , e le nostre case aperte in pace e con festa. […] Quanto soffrimmo, fa tu che l’obbliam noi, e quanti avemmo tristi giorni: sicché colmiamo il tempo passato col perdono. Fa, o Libertà, che noi possiamo vedere giorni limpidi o notti rischiarate da fulgenti stelle: e in compagnia nostra resta, finché resta la terra!2
All’indomani della promulgazione della Costituzione da parte di Ferdinando II, Francesco Antonio Santori, calabro-albanese di Santa Caterina Albanese, pubblicava il componimento “La ridda della grande festa”, un inno alla libertà, in doppia lingua, arbëreshë e traduzione italiana sul primo numero del giornale “L’Albanese d’Italia”. La ridda, in arbëreshë “Vala”, era un genere tipico della tradizione albanese: un canto che la comunità intonava in momenti di gioia accompagnato da una danza in costumi tradizionali. Con questo componimento Santori salutava l’inizio di una nuova epoca all’insegna della libertà: dopo aver ricordato i giorni tristi e le sofferenze della patria, invitava a dimenticare il passato e a concedere il perdono per le antiche lotte per lasciare posto ad un luminoso futuro.
Il 29 gennaio 1848, in seguito ad una rivolta che aveva coinvolto gran parte della popolazione napoletana,3 Ferdinando II decise di concedere la
Costituzione.4 Divenne il primo Re costituzionale in un regno per molti
aspetti ancora arretrato poiché aveva rinunciato al gradualismo riformistico a cui si erano ispirati Pio IX, Leopoldo II e Carlo Alberto.5 Il re comunque,
anche nel nuovo assetto istituzionale, che si ispirava alla costituzione francese del 1830,6 manteneva per sé poteri molto vasti: il potere esecutivo
in via esclusiva e il potere legislativo insieme alle due Camere.7 Tra il 27 e
il 30 gennaio fu creato dunque il primo governo costituzionale,8 composto
per lo più da suoi uomini di fiducia: basti pensare che per la presidenza del consiglio fu scelto Nicola Maresca Donnorso, duca di Serracapriola, uno dei fedelissimi della dinastia borbonica. Non mancarono comunque personalità della parte liberale come Carlo Poerio, al quale fu affidata la direzione della Polizia, o Francesco Paolo Bozzelli, antico liberale, nominato ministro dell’Interno.9
La reazione a questa concessione però non riscosse unanimi consensi. Una parte dei liberali, guidati da Musolino e Ricciardi, sostenne infatti che la Costituzione non rispecchiasse le necessità del paese e tradisse sostanzialmente le speranze del popolo. A dare voce a questo malcontento fu Domenico Mauro. In un infiammato proclama, pubblicato a Napoli il 9 febbraio 1848 col titolo “Ai vecchi e nuovi moderati”,10 Mauro esprimeva 3 Settembrini L., Cronaca degli avvenimenti di Napoli nel 1848, in Id., Opuscoli
politici editi ed inediti (1847-1851), Themelly M. (a cura), Roma, 1969, pp.
99-107. Per l’inizio della rivolta a Palermo il 12 gennaio e la propagazione nell’Italia meridionale cfr. Orta D., Le piazze d’Italia 1846-1849, Torino, 2008, pp. 185-210
4 Scirocco A., Costituzioni e costituenti del 1848: il caso italiano, in Ballini P.L.,
1848-49. Costituenti e costituzioni. Daniele Manin e la Repubblica di Venezia,
Venezia, 2002, pp. 83-105
5 Scirocco A., Ferdinando II e il movimento italiano per le riforme, in “Archivio per le province napoletane”, 1997, pp. 431-465
6 La Costituzione francese del 1830 ricalcava la Carta francese del 1814 e si richiamava ai principi fondamentali di libertà ed eguaglianza giuridica tra i cittadini. Cfr. Lacché L., La libertà che guida il popolo: le tre gloriose
giornate del luglio 1830 e le Carte nel costituzionalismo francese, Bologna,
2002
7 Trifone R., La Costituzione del Regno delle Due Sicilie dell’11 febbraio 1848, in “Archivio storico per le province napoletane”, 1947-49, pp. 30-37
8 Collezione delle leggi e decreti reali del Regno delle Due Sicilie, a. 1848,
Napoli, Decreti nn. 11308-11310, 27 gennaio; nn. 2-3, 30 gennaio 1848 9 D’Agostino G., Bozzelli Francesco Paolo, s.v., in DBI; Mellone V., Napoli
1848: il movimento radicale e la rivoluzione, Milano, 2017, pp. 68-69
la sua sfiducia nei confronti del sovrano le cui azioni nei confronti del popolo siciliano si stavano dimostrando eloquenti. La questione siciliana era centrale nel discorso pubblico liberale: dalla Sicilia era partita la scintilla che aveva dato inizio al nuovo corso degli eventi ed era necessario che Ferdinando fosse in grado di venire incontro alle richieste di Palermo. In quest’ottica il problema non era se avere un unico governo o due distinti tra Napoli e Palermo, ma far sì che la Sicilia fosse “libera ed indipendente purché formi un anello nella catena federale italiana”. Si capisce come i liberali strumentalizzassero la questione isolana per sottolineare la necessità di adattare la Costituzione ad esigenze non interne al Regno delle Due Sicilie: la prospettiva ormai guardava al fronte nazionale. Mauro infatti arrivava ad incitare il popolo all’insurrezione nel caso in cui il re non fosse stato in grado o non avesse voluto risolvere i problemi interni in vista del disegno federalistico. Concludeva sostenendo che una questione tanto importante come quella siciliana doveva essere demandata al Parlamento: senza che le Camere si fossero ancora riunite, infatti, la decisione ricadeva esclusivamente nelle mani del governo e del re. Secondo Mauro, una questione simile doveva coinvolgere non solo il “principe, ma anche la nazione”.
Per quanto Mauro sostenesse qui l’idea federativa non sembrava però accordarsi alla visione dei liberali che immaginavano un’Italia federata con omogeneità delle istituzioni degli Stati regionali; si pensi all’intervento di Bettino Ricasoli e Raffaello Lambruschini che auspicavano un’Italia tutta unita formata da Stati retti “dal medesimo diritto politico”.11 Che Mauro
avesse una prospettiva mazziniana, discendente dall’influenza di Benedetto Musolino, era d’altronde noto;12 inoltre la sua attività apertamente
antiborbonica contrastava con lo scenario di un Regno delle Due Sicilie ancora sotto la guida borbonica pur in un contesto italiano. Probabilmente con la sua proposta federativa Mauro intendeva cavalcare l’onda dell’entusiasmo per la Costituzione ricordando la necessità di aprirsi alla prospettiva nazionale.
Come si desume dal titolo – “Ai vecchi e nuovi moderati” – questo proclama polemizzava non solo contro il re ed il nuovo governo ma anche con i liberali “moderati” che si erano adattati agli eventi sostenendo de facto un finto cambiamento, scendendo a patto con le vecchie istituzioni monarchiche.
Tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo il latente dissidio interno al partito liberale esplose in merito alla questione Siciliana e al tenere o meno le
11 Chiavistelli A., Toscana costituzionale: la difficile gestazione dello Statuto
fondamentale del 1848, in “Rassegna storica del Risorgimento”, 1997, p. 369
truppe borboniche ancora stanziate sull’isola. Pasquale Mauro, arbëreshë fratello di Domenico, fu corrispondente da Napoli per il giornale “Il Calabrese rigenerato” e scrisse in una lettera indirizzata a Ignazio Ranieri:
si vorrebbero composte le vertenze di Sicilia, si pensa di opporsi con armi all’invio di altre truppe in Sicilia: tutti credono pure l’intenzione de Sicoli.
La questione siciliana divenne dunque centrale nel dibattito liberale in quanto dai democratici la Sicilia era vista come il modello al quale aspirare: l’isola era riuscita infatti a scacciare i Borbone e a creare un governo autonomo; era la dimostrazione che il popolo in armi poteva conquistare la propria indipendenza.
Approfittando del clima di malcontento che serpeggiava, Domenico Mauro tornò a Cosenza e si pose alla guida della parte liberale più estrema: da Cosenza, insieme a Tommaso Ortale, fondatore del Circolo Nazionale, tenne la direzione degli affari provinciali.13
Girolamo De Rada nella sua autobiografia ricordava come, in quel momento, in Calabria, prevalesse il pensiero che la Costituzione fosse solo una finzione destinata ad essere ritirata alla prima occasione; a dimostrazione di ciò spiegava come “i vecchi servitori” non fossero mai stati destituiti dai loro uffici.
De Rada, fondatore e direttore del giornale “L’Albanese d’Italia”, aveva una visione sostanzialmente più moderata rispetto a quella del suo compatriota Mauro: nei suoi articoli invitava la popolazione e i suoi corregionali ad abbracciare posizioni più concilianti. In un articolo pubblicato il 1 aprile dal titolo “Stiamo in guardia”, De Rada invitava ad abbandonare il fanatismo politico che non porta a nient’altro che a lotte intestine. L’articolo doveva essere continuato su un numero successivo ma fu aspramente criticato: Luigi Petrassi, scrittore arbëreshë di S. Demetrio e amico di De Rada, gli rispose scrivendo: “se l’Albanese non è con noi, abbasso l’Albanese”.14
Ciò che preoccupava maggiormente De Rada e i moderati erano le posizioni su cui si stava assestando il Circolo Nazionale cosentino: Domenico Mauro andava infatti predicando la “costituente”, la necessità di un nuovo moto popolare per liquidare definitivamente i grandi proprietari terrieri.
Per prendere le distanze da posizioni così estreme e pericolose non mancarono liberali che uscirono dal Circolo: Raffaele Valentini, avvocato
13 Cingari G., Romanticismo e democrazia nel Mezzogiorno: Domenico Mauro,
1812-1863, Napoli, 1965, pp. 86-88
calabrese, costituì una società “filantropica nazionale” chiamata “La Ragione del Popolo” per “moderare le tendenze del circolo detto Nazionale”15 e per proporre un programma alternativo in materia di
agricoltura, pubblico impiego e imposte.16 Secondo Valentini, Mauro stava
commettendo un errore cercando di far leva sulle necessità del popolo e sulla sua fame di terra per raggiungere i suoi obbiettivi politici:
incoscientemente i liberali facevano la causa del Borbone, se senza avvedersene lo servivano meglio che non avrebbero fatto i suoi favoriti, giacché questi moti maestrevolmente insinuati dalla polizia, non potevano condurre che a dividere gli animi ed alienare i meglio disposti del partito della libertà.17
Il tentativo di accattivarsi il popolo mettendolo contro i magnati rischiava, in questa prospettiva, di far gioco ai Borbone che avevano sempre basato la loro politica sul divide et impera: il rischio era di allontanare “gli uni e gli altri al nostro partito”.
Tuttavia a Cosenza e provincia i democratici godevano di un largo consenso, grazie anche alla rete costituita dallo stesso Mauro: fondò nei paesi della Calabria Citeriore varie associazioni, filiazioni del Circolo Nazionale al quale afferivano. A quanto emerge dall’atto di accusa del procuratore generale, Domenico Mauro fondò a San Demetrio una “Setta” e le riunioni si tenevano a casa dello stesso Mauro e nel Collegio italo-greco con il benestare del rettore, il papas Antonio Marchianò. Qui infatti erano stati deposti i funzionari comunali e, incitando il popolo al tumulto, era stato posto a capo della Guardia Urbana Michelangelo Serembe, “anarchico soggetto” secondo il procuratore generale.18 In queste riunioni furono
affrontati i punti centrali della propaganda democratica: l’occupazione, la libertà dalla tirannide borbonica e la repubblica.
A partire dall’aprile del 1848 infatti da S. Demetrio e da altri paesi calabro- albanesi partirono scorribande di contadini per sottrarre la terra ai grandi proprietari. Ben presto però, quando il concetto di “Repubblica” arrivò all’orecchio del popolo, lo scenario cambiò.
Noi siamo in uno stato di perfetta anarchia e veggo la vigilia di un’orrenda licenza; 15 Le carte relative al processo a Raffaele Valentini e alla fondazione de “La
ragione del popolo” sono in ASCs, Proc. Pol., Fascc. 152 e 161
16 Il discorso pronunziato da Valentini in occasione dell’inaugurazione de “La Ragione del Popolo” fu pubblicato in “Il Calabrese rigenerato” 9 aprile 1848 17 Falcone G., Poeti e rimatori calabri: notizie ed esempi, II, Napoli, Rist. anast.,
1902, p. 242
18 Atto di accusa e Decisione per gli avvenimenti politici della Calabria
specialmente nei piccoli paesi, ove si sono spiegati dei partiti, e partiti non di private vedute, ed io conosco lo spirito di Rossano-Corigliano-Acri-Terranova i nostri albanesi e qualche altro da dove si grida, che si vuole piuttosto il tiranno Ferdinando anzi che la Repubblica; per carità si anatomizzi una tale parola, e si tolga per noi dal vocabolario, apparentemente sino a che non si sarà costituito e riconosciuto un potere esecutivo. 19
Il 25 aprile Raffaele Mauro scriveva così a suo fratello Domenico. La parte democratica si era allontanato sempre più dalle posizioni moderate e sperava di trovare sostegno nel popolo e per le condizioni economiche in cui era costretto a vivere. Ma ben presto si rivelò un’illusione. I ceti più bassi non erano ancora pronti ad appoggiare l’ideale repubblicano che sembrava essere il peggiore di tutti i mali.
Aveva dunque ragione Raffaele Valentini sostenendo che il rischio per i democratici era di perdere ogni sostegno. La convinzione di Domenico Mauro era stata, fin dal tentativo insurrezionale del 1844, che bisognava affidarsi alla popolazione rurale la quale, esausta per le condizioni socio- economiche, avrebbe combattuto per abbattere il governo.
In base a questi principi si capisce come la legge elettorale provvisoria varata dal governo costituzionale il 29 febbraio 1848 fosse stata ulteriore motivo di polemica: gli elenchi degli elettori erano stilati in base al censo ed era possibile eleggere solo coloro che fossero anche elettori.20 Su “il
Calabrese rigenerato” i moderati sostennero questa proposta di legge;21
mentre i democratici espressero da subito il loro dissenso circa la rendita imponibile per l’esercizio del diritto di voto. Il timore di molti era di non riuscire a rientrare nelle liste e quindi di perdere il diritto di eleggibilità:22
così fu anche per Domenico Mauro che nel 1845 aveva venduto le proprie quote ai fratelli i quali poi, il 28 febbraio 1848, in vista della legge elettorale, gli concessero un annuo usufrutto per abilitarlo alla capacità
19 In Cingari G., Romanticismo e democrazia, cit. pp. 113-114
20 Giornale del Regno delle Due Sicilie, 29 febbraio 1848. Sulla legge elettorale cfr. Ballini L.P., Elites, popolo, assemblee: le leggi elettorali del 1848-’49
negli stati pre-unitari, in Id., 1848-49. Costituenti e costituzioni., cit., pp. 112-
122
21 “Il Calabrese rigenerato” fu fondato da Alessandro Conflenti il 15 febbraio 1848. Furono pubblicati solo 11 numeri, l’ultimo dei quali il 14 maggio dello stesso anno. Il giornale fu espressione della parte moderata che vedeva nella Costituzione concessa dal sovrano un primo passo verso la conquista di più importanti diritti. Cfr. Grandinetti M., Giornali del Risorgimento in Calabria, in “Rivista Calabrese di Storia del ‘900”, 2011, pp. 27-36
22 Sul dibattito e gli scontri circa questa legge elettorale cfr. Mellone V., Napoli
elettorale.23
De Rada, da “L’Albanese d’Italia”, metteva in guardia dal pericolo di avere un censo di elettori troppo elevato: i grandi proprietari che tendono a controllare le posizioni di potere avrebbero provato ad occupare i vari ministeri e a dirigere la politica parlamentare. Questo era assolutamente da evitare e sarebbe stato possibile solo abbassando il censo di reclutamento.24
Quando poi si giunse alla legge del 13 marzo sulla Guardia Nazionale l’opposizione si trasformò in rivolta; infatti questo organo fu uno degli elementi rappresentativi del movimento liberale e intorno ad esso si giocarono i rapporti di forza nelle dinamiche tra centro e periferia.