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Parte II. La comunità albanese di Sicilia

1. Antefatti

1.1 Regalisti e curialisti

Il rifiuto da parte delle colonie di Sicilia fu adoperato dalla parte latina che sperava da tempo di riuscire a far scomparire il rito greco dalle colonie: Monsignor Scotti attribuì la reazione della parte greca alla “indole greca” delle comunità albanesi, alla quale andava imputata la “propensione allo scisma”. A dimostrazione della natura scismatica degli albanesi di Sicilia, poco più avanti nel documento si menzionano gli “indirizzi di qualche Colonia sicula all'Autocrate russo siccome a capo è sempre di tutti i Religionari Greci”. Il collegamento tra la Chiesa ortodossa russa e gli albanesi di Sicilia – al momento non confermato dalla ricerca archivistica – voleva far leva su una delle questioni attuali che aveva impegnato papa Cappellari sin dall'inizio del suo pontificato, ovvero il contrasto tra Santa Sede e Impero russo incentrato sulla difesa dei fedeli cattolici contro le persecuzioni di un regime scismatico che considerava l'unità religiosa come strumento politico.8

La seconda causa, che avrebbe spinto i siculo-albanesi ad osteggiare la Visita Apostolica, secondo Monsignor Scotti, sarebbe stato il loro sostegno alla logica regalista e al potere temporale. Il termine “regalista” ebbe una precisa connotazione a partire dal 1508 quando Giovan Luca Barbieri portò la bolla Quia propter prudenciam tuam all'attenzione del pontefice Giulio II, che protestava per la politica del sovrano spagnolo Ferdinando “Il Cattolico” in Sicilia. Con questa bolla promulgata nel 1098 da papa Urbano

8 Sui rapporti tra Chiesa di Roma e la Russia nella prima metà dell'Ottocento e la pubblicazione dei documenti prodotti da Gregorio XVI Cfr. Lefevre R.,

S.Sede e Russia e i colloqui delle Czar Nicola I nel dociumenti vaticani (1843- 46), in Gregorio XVI, Miscellanea commemorativa, II (Misc. Hist. Pont.,

XIV/2), Roma, 1948, pp. 159-293; Id., Lo Zar Nicola I a Palermo e a Napoli, in Studi in onore di Riccardo Filangieri, vol. III, Napoli, 1959, pp. 417-430. Sui rapporti tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa russa cfr. Tamborra A.,

Chiesa cattolica e Ortodossia russa. Due secoli di confronto e dialogo. Dalla santa alleanza ai nostri giorni, Milano, 1992

II a beneficio del conte normanno Ruggero d'Altavilla, si dimostrava il diritto ereditario della legazia apostolica del sovrano di Sicilia.9 Veniva

dunque a crearsi una spaccatura tra quanti sostenevano il diritto ereditario ecclesiastico del re, i “regalisti” per l'appunto, e quanti ritenevano che non si dovesse appoggiare una simile pretesa da parte del potere laico, i “curialisti”.10

La questione dunque sopravviveva ancora a metà dell'Ottocento se Scotti additava la comunità albanese di Sicilia come “Regalista”.11 Infatti i

Borboni si appropriarono del diritto ereditario di legati apostolici per accrescere il dominio statale sulla chiesa in vista della sovranità politica.12

L'accentramento nella persona del Re della potestà spirituale e temporale, accentramento che si concretizzava nell'esercizio della giurisdizione ecclesiastica e nel diritto di nomina dei vescovi, costituiva ciò che Monsignor Scotti definiva nella lettera riportata “i pretesi diritti” dei sovrani Borbone.

In questo quadro è utile chiedersi se i siculo-albanesi avessero subìto effettivamente influenze regaliste e in caso affermativo per quale motivo le avessero assimilate. Sfogliando i Diplomi raccolti da Andrea Gallo nell'opera “Codice ecclesiastico sicolo” si nota come “varie provvidenze di tempo in tempo sono state appropriate per le paterne cure di V.M. e del governo a facilitare gli individui Greci Albanesi perché fossero di egual condizione ai Latini”;13 fra queste: la decisione di nominare un vescovo di 9 Sulla Legazia Apostolica esiste una vastissima produzione specialmente risalente alla seconda metà dell'Ottocento. Si propone qui una scelta bibliografica. Cfr. Fodale S., La Legazia Apostolica nella storia della Sicilia, in Vacca S. (a cura), La Legazia Apostolica. Chiesa Potere e Società in Sicilia

in Età Medioevale e Moderna, Caltanissetta-Roma, 2000, pp. 11-12; Id., L'Apostolica legazia ed altri studi su Stato e Chiesa, Messina, 1991; Catalano

G., Studi sulla legazia apostolica di Sicilia, Reggio Calabria, 1973

10 Giurato S., La Sicilia di Ferdinando il Cattolico: tradizioni politiche e

conflitto tra Quattrocento e Cinquecento (1468-1523), Soveria Mannelli, 2003,

pp. 243-245; Fodale S., Comes et legatus Siciliae: Sul privilegio di Urbano II

e la pretesa Apostolica Legazia dei Normanni in Sicilia, Palermo, 1970

11 La rinuncia al privilegio della legazia apostolica avvenne solo con lo stato italiano il 13 maggio 1871 art. 15 della legge sulle guarentigie, anche se Pio IX con la bolla Suprema del 28 gennaio 1864 l'aveva già dichiarata soppressa. Cfr. Fodale S., Polemica e storiografia sulla legazia apostolica, in Id.,

L'apostolica legazia e altri studi su stato e chiesa, Messina, 1991, p. 44

12 Cfr. Gambasin A., Religiosa Magnificenza e plebi in Sicilia nel XIX secolo, Roma, 1979, p. 6

13 Gallo A., Codice ecclesiastico sicolo, vol. II tomo III, Palermo, 1851, Dipl. 635. “Alfonso Airoldi. Giudice della regia Monarchia ed Apostolica Legazia.

rito greco in Sicilia che potesse rispondere alle necessità spirituali e pratiche delle comunità di rito greco dell'isola riprendendo il modello calabrese,14 la fondazione del Seminario italo-greco di Palermo15 e varie

concessioni per il passaggio del laicato dal rito latino al rito greco, talvolta, anche contro la volontà dei vescovi locali.16 Grazie alla legazia apostolica i

sovrani borbonici ebbero, di fatto, modo di garantire alle colonie siculo- albanesi la sopravvivenza del loro rito assecondando le loro richieste, accogliendo le loro suppliche e apostrofando i vescovi di rito latino qualora non rispettassero le disposizioni regali in favore di dette comunità.17 Sul

perché il sovrano di Napoli avesse interesse nel proteggere gli arbëreshë e il loro rito si è espresso Angelo Gambasin nella sua opera “Religiosa magnificenza e plebi in Sicilia nel XIX secolo”. Delineando la figura del “vescovo monarchico” e la complessa situazione di assoggettamento dell'istituzione vescovile alla monarchia borbonica, l'autore portava ad esempio il caso delle discordie locali tra rito greco e rito latino, argomentando che i sovrani borbonici avrebbero avuto intenzione di “rafforzare le colonie, in vista di farne dei centri di espansione commerciale nel Mediterraneo”.18A sostegno della propria tesi, Gambasin

rimanda in nota ai Diplomi 638-640 della raccolta di Andrea Gallo concernenti la Confraternita del rito greco cattolico di Napoli e le istruzioni per il seminario italo-greco di Palermo. In questi diplomi, per quanto si faccia riferimento alla formazione di sacerdoti di rito greco “abilitati parimenti alle sacre Missioni d'Oriente quando a tale alto ministero dalla Sagra congregazione di Propaganda Fide venissero destinati”,19 non sembra

ci sia alcuna allusione ad “una espansione commerciale”. Dunque

Consulta a S.R.M. Palermo 27 aprile 1807. Mia Collez. de' RR. Dispacci” 14 Gallo A., Codice ecclesiastico, cit., Dipl. 618-26

15 Gallo A., Codice ecclesiastico, cit., Dipl. 638-640 16 Gallo A., Codice ecclesiastico, cit., Dipl. 632-635

17 Gallo A., Codice ecclesiastico, cit., Dipl. 634: “Conforme sovrano dispaccio. Ferdinando III Re di Sicilia. Nel Real Nome Orazio Antonio Cappelli al Giudice della Regia Monarchia. Palazzo 10 maggio 1807” «... relativamente alla querela dell'Arciprete del Clero di rito Greco del Palazzo Adriano per essersi dal Vescovo Latino il permesso di passare al rito Greco nonostante di aver esso Prelato accordato a diversi soggetti di rito Greco la licenza di passare al rito Latino.» ; Dipl. 635: “Orazio Antonio Cappelli. Segretario di stato. Nel Real nome all'Arcivescovo di Palermo. Palazzo, 25 aprile 1810” «affinché … non vi sia occasione a nuove querele dalla parte de' Greci … S.M. Ha ordinato di dirsi a V. S. Ill.ma che le inculca l'esatto adempimento della sovrana risoluzione del dì 10 maggio prossimo scorso»

18 Gambasin A., Religiosa Magnificenza, cit., pp. 83-4 19 Gallo A., Codice ecclesiastico, cit., Dipl. 639

l'interesse del sovrano potrebbe verosimilmente imputarsi alla necessità di svincolarsi dal rapporto di vassallaggio che la Santa Sede reclamava per sé verso il Regno delle Due Sicilie.20 L'intenzione era dunque quella di

affermare la propria autonomia, intenzione che lo stesso Gambasin ammette altrove essere stata una delle maggiori preoccupazioni del governo napoletano.21

Per quanto concerne i siculo-albanesi è comprensibile come traessero vantaggio da questi equilibri di potere e dalla possibilità di contare sul sovrano appoggio in caso di necessità. Che abbracciassero posizioni regaliste, ne erano una prova “le stampe non è gravi pubblicate in Napoli per sottrarsi all'Autorità e alla vigilanza della Santa Sede” che, ancora Scotti, additava ad esempio di “propensione allo scisma”.22

A partire dal 1836 furono pubblicati alcuni pamphlet, tanto da parte di rappresentanti del rito latino quanto del rito greco, in seguito ad una azione legale intrapresa dal vescovo di Girgenti e dagli arcivescovi di Palermo e di Monreale i quali “si erano accinti a formulare alcuni progetti tendenti a spegnere il rito greco delle colonie”.23

Sebbene ci fossero da sempre stati scontri a livello locale tra i due riti, questo si presentava come un momento significativo perché per la prima volta i tre ordinari diocesani avevano concordato una comune linea da sostenere davanti al governo.24

Il 22 aprile 1822 Ferdinando I, a seguito delle ennesime rimostranze da parte dei tre ordinari, aveva prescritto che ognuno di essi sottoponesse “un

20 Sul rapporto di vassallaggio e sulla chinea che ne era simbolo cfr. Scaduto F.,

Stato e Chiesa nelle Due Sicilie dai Normanni ai giorni nostri, Palermo, 1887,

pp. 75-78; Martina G., Pio IX (1851-1866), Roma, 1985, pp. 715-18

21 Cfr. Colletta P., Storia del Reame di Napoli, Vol. X., Malta, 1839, p. 940: «Derivarono da ordinamenti napoletani le prime in Italia rivendicate a libertà dalla tirannia della Chiesa, e il frenato sacerdozio. L'autorità di quelle leggi viene dal re Carlo Borbone; il consiglio dal ministro Tanucci, la forza dal popolo». Vedi anche Romeo R., Il Risorgimento in Sicilia, Bari, 1950, pp. 240- 242; Gambasin A., Religiosa Magnificenza, cit., pp. 6-15. Sul clero come

instrumentum regni cfr. Landi G., Istituzioni di diritto pubblico del Regno delle Due Sicilie (1815-1861), I, Milano, 1977, pp. 24-28, 276

22 APF, in “Scritture riferite nei Congressi Italo-Greci 1826-1845”, c. 442 Lettera di Angelo Antonio Scotti al Prefetto della Sacra Congregazione di Propaganda Fide. Napoli, 10 ottobre 1841

23 Spata G., Studi Etnologici di Nicola Chetta, in “Rivista sicula di scienze, letteratura ed arti”, 1870/III, p. 535

24 Ibidem; Crispi G., Memoria alla consulta generale del regno intorno ai

regolamenti di disciplina ecclesiastica proposti dagli ordinari diocesani delle colonie greco-albanesi di Sicilia, Napoli, 1836, pp. 5-6

progetto di regolamento generale, onde in modo inalterabile si potessero fissare i rispettivi confini giurisdizionali delle chiese greche e latine”.25 Non

essendo giunti ad una conclusione di nuovo con un rescritto del 7 maggio 1834 il re invitò i tre ordinari ad eseguire quanto indicato nel 1822. In questa occasione presentarono alla Consulta generale del Regno le misure giurisdizionali e disciplinari da applicarsi, a loro avviso, nei paesi arbëreshë di Sicilia affinché si giungesse all'applicazione della bolla Sanctissimus, emanata da Clemente VIII nel 1595 ed esecutoriata l'anno successivo ma che non entrò mai effettivamente in vigore. Dal canto suo la controparte greca, dopo aver prodotto la documentazione di difesa per la Consulta, rese pubbliche le proprie ragioni. Nel 1836 uscì anonima la “Memoria alla Consulta generale del regno intorno ai regolamenti di disciplina ecclesiastica proposti dagli ordinari diocesani delle colonie greco-albanesi di Sicilia”. Pubblicata a Napoli dai torchi di Tramater,26 l'opera fu attribuita

più tardi da Giuseppe Maria Mira nella sua Bibliografia siciliana a Monsignor Giuseppe Crispi.27 Puntuale confutazione degli indirizzi degli

ordinari latini, la “Memoria” era pervasa di convinzioni regaliste. L'autore dimostrava come l'instructio clementina, che penalizzava la comunità di rito greco, fosse stata mitigata nel tempo dalle precedenze che i monarchi di Sicilia emanarono in virtù del diritto di legazia apostolica. La posizione della comunità albanese era dunque chiara. Da qui ad essere sintomatica di una “propensione allo scisma” era un passo ardito che però Mons. Scotti compiva svelando nel contempo quale fosse l'idea del clero latino.

Dunque l'azione legale iniziata nel 1834 ebbe un decorso molto lungo. Si dovette attendere alcuni anni perché la Consulta generale del Regno si pronunciasse.