Parte I. La comunità albanese di Calabria
2. Garibaldi nella letteratura calabro-albanese
2.2 Garibaldi: novello Cincinnato e Washington
L’esempio straordinario dell’uomo d’armi, difensore dei diritti del popolo e portatore di libertà, la cui santità è legata non solo alla guerra ma anche alla fondazione della nazione intesa come terra, portò Alfred Delvau, giornalista parigino, ad introdurre nella biografia di Garibaldi del 1859 un episodio della sua vita a Caprera:
Ne riez pas de voir ce lion changé en berger, cet aventurier transformé en agronome. Cincinnatus, dictateur romain, ne retourna-t-il pas à sa charrue, après avoir noblement porté les armes en l'honneur de son pays?30
Lucio Quinzio Cincinnato, vir Romanus della prima età repubblicana, fu chiamato a rivestire la dittatura per salvare le sorti di Roma mentre era intento a coltivare personalmente il proprio orto. La cultura romana lo trasformò in un personaggio paradigmatico della storia di Roma, esempio d i pietas e di virtus militare e di agricoltore. Vincenzo Gioberti nei suoi “Pensieri” lo portava ad esempio dell’uomo onesto che produce con il proprio lavoro e senza risparmiarsi.31 Come dunque Cincinnato portò a
compimento il suo incarico di dittatore risollevando le sorti romane per poi ritornare alla sua occupazione, così anche Garibaldi, liberata l’Italia, sarebbe ritornato alla sua attività di agronomo nella sua terra di Caprera. Il paragone con Cincinnato conobbe grande fortuna nella letteratura successiva. Alexandre Dumas, al seguito della truppa dei Mille, nella sua descrizione di Garibaldi addormentatosi sulle panche di una chiesa dopo una battaglia, scrisse: “io mi portava a 2500 anni fa e mi trovava al cospetto di Cincinnato”.32 La sensazione di trovarsi di fronte ad un uomo umile che 30 Delvau A., G. Garibaldi. Vie et aventure 1807-1859, Parigi, 1859, p. 23 31 Gioberti V., Pensieri. Miscellanee, II, Torino, 1860, pp. 260-261
32 Suppl. a «Il movimento», 18 agosto, in Dumas A., La spedizione garibaldina
di Sicilia e di Napoli, Menghini M. (a cura), Torino, 1907, p. 183. Alexandre
Dumas, dopo un viaggio nei paesi del Mediterraneo, incontrò Garibaldi nell’estate del 1859 per mettere insieme i materiali per la pubblicazione di una sua biografia. Ma Dumas fece anche di più : lo seguì nella spedizione dei Mille e narrò una sua versione pubblicandola sotto forma di bollettino
si riposa dalle sue fatiche senza nulla pretendere, era l’immagine veicolata. Similmente Gabriele Frega, nel suo “Indirizzo del popolo di Lungro”, così scriveva:
Dugento mila soldati, sbandati, impolverati, dispersi sorgono ritti nel tuo cammino, come tanti trofei. Eppure, in mezzo a tanti monumenti che avrebbero inorgoglito un uomo, tu passi come Cincinnato! L'America può vantare un Wasington, (sic!) la Svizzera un Guglielmo Tell; ma l'Italia, più superba ancora, rammenterà un GIUSEPPE GARIBALDI. I secoli di tratto in tratto producono di simili uomini; ma le loro fisionomie, a seconda de' tempi, prendono delle proporzioni più vaste.
L’avanzata di Garibaldi, in grado di risollevare dallo stato di disperazione intere popolazioni, era l’esempio della grandezza di quell’uomo che, nonostante ciò, non perdeva mai la propria umiltà. Frega continuava, poi, paragonando il Generale a Washington e a Guglielmo Tell. Questi erano considerati gli eroi fondatori rispettivamente degli Stati Uniti e della Svizzera, coloro che, impugnate le armi, avevano condotto alla libertà e all’unità le proprie nazioni. Il medesimo ruolo era riconosciuto a Garibaldi. Così anche il patriota arbëreshë Domenico Mauro, nel suo sonetto “A Garibaldi” scrisse: “Ma Wasinghton (sic) tu fosti, e di te degno / è il don che festi, e il sagrificio è bello”.33 L’accostamento con George Washington
nella tradizione italiana fu frequente e si incontra già nel 1847, quando il musicista Giuseppe Bertoldi, descrivendo l’attività di Garibaldi nella campagna d’Uruguay, lo paragonò al primo presidente americano, liberatore del popolo contro l’oppressione della barbarie.34 L a
comparazione tra questi due personaggi, di cui la stampa italiana e straniera abusò, aiutò a rinforzare il mito di Garibaldi come leader dall’animo generoso e simbolo delle aspirazioni popolari.35
contemporaneamente sui giornali francesi. Cfr. Boyer F., «Les Garibaldiens»
de Alexandre Dumas: roman ou chose vues?, in «Studi Francesi», IV/1960, pp.
26-34; Pécout G., Una crociera nel Mediterraneo con Garibaldi, in Dumas A.,
Viva Garibaldi. Un'odissea nel 1860, Torino, 2004, pp. XII-XIII; Riall L., Garibaldi, cit., pp. 297-299
33 Mauro D., Poesie Varie, Napoli, 1862, p. 88
34 Bertoldi G., Alla legione Italiana in Montevideo ed al colonnello Giuseppe
Garibaldi, Lugano, 1847; Riall L., Garibaldi, cit., p. 48
35 Carlo Cattaneo scrisse a Francesco Crispi nel luglio 1860 «Vorrei avere un dito anch'io nelle cose mirabili che il vostro Washington vi fa fare». Cfr. Cattaneo C ., Lettere 1821-1869, Lacaita G.C. (a cura), Milano, 2003, p. 195. Sulla figura di George Washington nella cultura italiana cfr., Galli S.B., Appunti
sulla presenza della figura di George Washington nella cultura politica italiana tra il Settecento e il Novecento, in «Cheiron», 2007, pp. 17-58
Fin qui si è visto come la produzione calabro-albanese avesse recepito la mitologia garibaldina in chiave sia evangelica nazionale sia valoriale italiana. È necessario però chiedersi se vi furono degli elementi originali che mirarono a rappresentare l’identità arbëreshë in un panorama che tese a privilegiare, anche all’interno della comunità, le tematiche diffuse dagli ambienti patriottici italiani.
2.3 “Gli albanesi d’Italia sono degli eroi [...]”
Valorosi figli dell'Epiro i discendenti di Scanderberg, di Marco Bozzari segneranno nel marmo l'ora, il giorno ch'ebbero l'onore di presentare un attestato d'affetto al Liberatore della Sicilia e di Napoli!
Gabriele Frega, dopo aver sviluppato gli argomenti cari alla tradizione risorgimentale, concludeva con queste parole il suo componimento “Indirizzo del popolo di Lungro” affiancando una connotazione identitaria: la popolazione albanese di Calabria rivendicava la sua discendenza allogenica pur dichiarandosi appartenente alle terre meridionali. Gli arbëreshë originari d’Epiro mettevano dunque in evidenza il loro pantheon composto da Skanderbeg, il principe albanese ed eroe della difesa cristiana contro i Musulmani del XV secolo, e Marco Botzaris, patriota albanese ed eroe dell’indipendenza greca della prima metà del XIX secolo. A questi si andava ad aggiungere Garibaldi, liberatore di popoli, che, pur non avendo origini balcaniche, era reclutato nel pantheon italo-albanese grazie alla costruzione mitopoietica.
Noi, Lungresi non nati ieri, né morremo domani, noi, Pelasgi dico, abbiamo il diritto ed il dovere di celebrare l'apoteosi di Garibaldi, il quale è ramo glorioso del gran tronco pelasgico, vita della nostra vita, razza della nostra razza, sangue del nostro sangue.
Vincenzo Stratigò, che pure aveva celebrato le qualità cristologiche di Garibaldi, sentì la necessità di giustificare la sua acquisizione ad eroe nazionale da parte della comunità. Così nell’incipit del suo componimento poetico in onore del Nizzardo, si avvalse della tradizione pelasgica, la cui costruzione aveva impegnato gli intellettuali arbëreshë nella prima metà dell’Ottocento, come si è visto. Basandosi su questi studi, Stratigò affermava che Garibaldi faceva parte a pieno diritto degli eroi albanesi in quanto membro della stirpe pelasgica. Riprendeva dunque il tema dell’origine pelasgica insistendo sull’idea di razza e di sangue, un legame antico che imparentava indissolubilmente le popolazioni albanesi a quella
italiana. D’altronde tra i fattori unitari dell’identità nazionale era il sangue a dominare, era il sangue a definire il lignaggio: nelle poesie patriottiche italiane il sangue versato dagli italiani per la causa nazionale era quello che stabiliva l’appartenenza e determinava la religione civile.36
A partire dalla conquista del Meridione, nei paesi calabro-albanesi, grandi onori furono resi a Garibaldi, il quale, dal canto suo, instaurò con questa minoranza un rapporto privilegiato. In effetti dopo aver preso Napoli ed essere divenuto Dittatore del Regno delle Due Sicilie in qualità di rappresentante del re Vittorio Emanuele, Garibaldi prese due iniziative in favore degli albanesi di Calabria: come già detto, attribuì alla famiglia di Agesilao Milano una rendita; poi con un decreto del 20 ottobre 1860 ordinò che la Tesoreria di Napoli versasse “dodici mila ducati per l’ingrandimento del collegio italo-greco di S. Adriano in considerazione dei segnalati servigi resi alla causa nazionale dai prodi e generosi albanesi”.37 Questo decreto fu,
di lì a poco, annullato dal Parlamento Italiano che non poteva permettersi d’utilizzare dei fondi per altre azioni che non fossero strettamente connesse con l’obiettivo nazionale.
La stima di Garibaldi verso gli arbereshe, comunque, non diminuì con il tempo, anzi si rinforzò in seguito alle agitazione che toccarono Creta e l’Epiro. Nel 1866, quando i garibaldini erano già occupati sul fronte greco insulare, Doria d’Istria, principessa rumena e sostenitrice dell’indipendenza albanese, scrisse a Garibaldi per invitarlo a portare il suo contributo e ad esercitare il suo carisma nelle regioni d’Epiro. Il Generale rispose così l’8 novembre 1866:
Gli albanesi d’Italia sono degli eroi, che si sono distinti in tutte le guerre contro la tirannide […] La causa degli albanesi è la mia […] e sarei felice d’impiegare quanto mi rimane di vita, in pro di quel popolo valoroso.38
Già occupato sul fronte ellenico, Garibaldi non mancò d’intervenire anche nei Balcani, dove condusse alcuni focolai di lotta armata.39 Fu in questo
momento che alcune voci di calabro-albanesi cominciarono a farsi sentire in favore dell’indipendenza albanese: in primis Girolamo De Rada si pose a
36 Quondam A., Risorgimento a memoria. Le poesie degli italiani, Roma, 2011, pp. 84-86
37 Due Sicilie <Regno>, Collezione delle leggi e de' decreti e di altri atti
riguardanti la pubblica istruzione promulgati nel già reame di Napoli dall'anno 1806 in poi, Napoli, 1861-1863, p. 541
38 Garibaldi G., Epistolario. Aprile-Dicembre 1866, Monsagrati G. (a cura), Roma, 2002, p. 275
39 Su Garibaldi nei Balcani cfr. Liakos A., I garibaldini a Creta 1866-1869, in «Rassegna storica del Risorgimento», 1993, pp. 316-343
capo del dibattito europeo per la causa nazionale albanese, immaginando un’operazione in Albania partendo dalle popolazioni albanesi di Calabria. Questo programma fu inviato in una lettera del 30 settembre 1866 da Doria d’Istria a Garibaldi, il quale non si mostrò interessato a coinvolgere la comunità arbëreshë d’Italia. Forse per questo motivo De Rada rappresentò Garibaldi nel secondo libro del suo poema nazionale albanese “Scanderbeccu” (1873), nel ruolo di Balabano, un rinnegato albanese, ladro di galline, che ingannava il popolo promettendo vanamente la patria.40
È probabile che De Rada disegnò un quadro così miserabile di Garibaldi, non tanto per le ragioni personali quanto per le aspettative politiche deluse dalla nuovo governo italiano che non si era occupato delle problematiche sociali meridionali.41 Questa unica voce anti-garibaldina si elevò in un più
vasto coro in favore del Nizzardo e, benché fosse una voce di un personaggio eminente all’interno della comunità, sembrò essere ignorata. Nel febbraio del 1897 Ferdinando Alessandro Cassiani, storico e patriota filo-albanese di Spezzano Albanese in Calabria, inviò una lettera ad Anselmo Lorecchio, intellettuale arbëreshë di Pallagorio (Kr), domandandogli di pubblicare sulla rivista “Nazione albanese” in cui descriveva Girolamo De Rada come modello per la lotta in favore della causa albanese e puntualizzava:
Abbiamo una storia di guerre e di eroismi, abbiamo una lingua dolce e ricca: facciamoci dunque una letteratura, mettiamoci all’opera solerti per giungere al grande ideale di Skanderbeg: la riscossa del popolo che è pure nostro. Albanesi e italiani, figli di Botzaris e di Garibaldi, non possiamo fare a meno di gridare: Avanti e in alto!42
L’appello agli albanesi d’Italia, alla fine del secolo dei nazionalismi, si appoggiava ancora una volta alla pluralità identitaria: “Albanesi ed Italiani”, un’appartenenza ormai de facto che non sembrava più necessitare di giustificazioni; la storia più recente mostrava la discendenza da
40 De Rada G., Opera omnia. Scaderbeccu, II, vol. VI, Altimari F. (a cura), Soveria Mannelli, 2004, pp. 324-325
41 De Rada G., Opera omnia. Scaderbeccu, cit., p. 324: «Balabano: Signora, dà alla Patria licenza di sollazzare nel piano del palazzo, acciocché rendiamo onore a questi Dey; coi quali spezzeremo le porte di Costantinopoli, e pigliaremvi nel nido i figlioli che vengonci vanitosi con quegli abiti delicati.» […] Stamati: «Ve', tanti non hanno altri saperi che noi turba? Così, Veronica, i principi cammineranno a quel modo in alto; noi altri tutti terrà giù con sé la Vita che non si muterà.» […] Nich: «Non osservasti quell'alto tutto calzoni con lo zaino da cui le penne sporgono delle galline trovate negli orti avanti qui?» 42 In http://www.arbitalia.it/speciali/derada/marchiano_derada_cassiani.htm
Scanderberg, Botzaris e Garibaldi, tutti antenati arbëreshë, tre eroi combattenti di sangue pelasgico.