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Parte I. La comunità albanese di Calabria

3. Gli albori della pubblicistica calabro-albanese: “L’Albanese d’Italia”

4.2 Lettere dal carcere

Dopo i fatti del 15 maggio la comunità arbëreshë rivestì dunque un ruolo di primo piano nel reclutamento della popolazione per la resistenza alle truppe borboniche. La connotazione identitaria religiosa ed etnica dei calabro- albanesi non sembrava rappresentare un ostacolo nella loro partecipazione alle attività politiche, ma comunque nella documentazione era sempre specificata l’origine d’appartenenza: i paesi e gli abitanti arbëreshë erano identificati come “albanesi”, il tratto identitario era dunque esplicitato pur

132 Durante la cerimonia di giuramento il Sommo sacerdote indossava una stola nera. Ai nuovi adepti era dato un pugnale da conficcare nel costato di un Crocifisso. I proseliti dovevano giurare di “vincere o morire, di difendere le Calabrie e di mantenere ogni segreto” riguardo l’attività della setta. Cfr. Scornaienghi M., I Circoli sedizioni in provincia di Cosenza, in Scornaienghi M.- Boretti M., Il 1848 in Calabria Citra: con una appendice inedita sui fatto

del 1844, Cosenza, 1947, pp. 22-33

133 ASN, Ministero di Polizia generale. Seconda Numerazione. Fascio 3200 VI, Esp. 238, vol. 15 par. 17. Cosenza, 19 settembre 1848. Dall'intendente Mirabella al Ministro Segretario di Stato dell'Interno; Castrovillari 29 settembre 1848 dal Sottintendente di Castrovillari Dionisio Dolcetti al al Ministro Segretario di Stato dell'Interno. “Per alcuni disturbi avvenuti nella circostanza di una fiera”

134 ASN, Ministero di Polizia generale. Seconda Numerazione. Fascio 3200 VI, Esp. 238, vol. 15 par. 17. S. Demetrio, 17 Novembre 1848, Relazione del Giudice Circondariale a proposito dei reati avvenuti in seguito alla riforma della Guardia Nazionale; Cosenza, 14 Dicembre 1848. Dall'Intendente della Calabria Citeriore

non essendo discriminante. Gli arbëreshë stessi si facevano portatori della loro complessità culturale per la quale sembrava trasparire anche orgoglio; basti pensare a Francesco Saverio Tocci che raccontava dell’accoglienza della popolazione di Cosenza al grido di “Viva gli Albanesi!” o al ricordo del canto “Christòs anesti” in grado di ridare speranza. Le peculiarità identitarie si coniugarono con l’obiettivo unitario attraverso l’auto- rappresentazione dei membri stessi della comunità.

Nicola Tarsia, sopravvissuto alle truppe borboniche a Campotenese, fu imprigionato nelle carceri di Cosenza. Qui gli scrisse Dante Mauro per sapere da lui come si fossero svolti i fatti e della morte del fratello Vincenzo. Tarsia dunque in due lunghe lettere ripercorreva gli avvenimenti della fine del giugno 1848 e tentava di giustificarsi per essere sopravvissuto ai suoi compagni. Da qui traspare come effettivamente fosse sentito in egual misura il sentimento di appartenenza all’identità italiana e all’identità greco-albanese. Costruendo una retorica mitica intorno agli avvenimenti di Campotenese, Tarsia raccontava che prima dello scontro, accampati sulle montagne calabre con al vento la bandiera tricolore, gli arbëreshë si sentivano come i Trecento di Sparta sullo stretto delle Termopili.

È pur magico il nome dell’Italia… il suo cielo… i suoi monti formidabili… i mari che la circondano … le sue splendide rovine, che sono il linguaggio delle glorie che furono… la sua armoniosa favella… Oh tutto è poesia, e sorriso in Italia! Intanto noi pranzammo e quel pranzo fu simile a quello dei trecento di Sparta. Eravamo quasi tutti greci e nelle nostre vene bolliva sangue greco sotto sole italiano.135

L’Italia era dipinta come un luogo dal paesaggio mitico con una storia e una lingua antiche e poetiche. Sotto il sole di questa splendida terra vi erano uomini di diversa origine: il sangue greco richiamava le nobili origini degli antichi guerrieri che difesero la Grecia dall’invasione dei Persiani di re Serse. Come quei pochi uomini coraggiosi sulle alture elleniche riuscirono a tener testa ad un esercito imperiale, così pochi uomini arbëreshë speravano di riuscire a sconfiggere le truppe regie in difesa della propria libertà. Se dunque Tarsia riconosceva l’appartenenza al sangue greco, ammetteva però che un legame di sangue vi era anche con il popolo italiano. Dopo aver narrato delle uccisioni di Mauro, Chiodi e Tocci da parte dei soldati borbonici, affermava:

Ma un fremito di sdegno generoso ora si eleva dall’irato mio cuore ed io piango

135 Seconda lettera di Nicola Tarsia a Dante Mauro. Prigioni di Cosenza 1849. In Graziani E., La storia della Calabria nel XIX secolo, cit., pp. 25-28

sulle sventure della misera Italia! … Quei feroci soldati erano anch’essi italiani e fiano cruenta l’Italia di sangue fraterno! Dunque nella terra fatale del Sì dovrà eternamente rinnovarsi l’infamia di Montaperti?136

Tarsia rilevava l’atrocità dello scontro che poneva gli uni contro gli altri uomini fratelli: italiani erano i soldati ed italiani erano coloro che uccidevano. Altrove Tarsia diceva di aver inveito contro le truppe borboniche: “Ricordatevi che siete Italiani ed essersi sangue italiano il sangue che versate”.137 Questa lotta era paragonata alla battaglia

medioevale di Montaperti in cui nel 1260 si fronteggiarono guelfi fiorentini e ghibellini senesi affiancati dalle truppe ghibelline fiorentine sotto la guida di Farinata degli Uberti. Lo scontro tra fratelli non sembrava essere più ammissibile nei nuovi tempi: Tarsia vedeva in esso “l’eroismo della sventura” di cui “il Farinata dell’immenso Ghibellino rappresenta[va] in sé […] un tipo universale”. Farinata infatti vincendo contro la propria patria, Firenze, non godette della soddisfazione della conquista; quando fu proposto dai confederati ghibellini di radere al suolo Firenze, lui si oppose e riuscì a salvare la sua città. Nell’opera dantesca Farinata era dunque simbolo dell’eroe che pur nell’esercizio delle sue virtù guerresche non perde il sentimento del patriottismo.138 Tali per Tarsia erano le vittorie dei

soldati borbonici: vittorie che si ritorcevano contro sé stessi perché non ci si scontrava con un vero nemico ma con un fratello di sangue.

I patrioti arbëreshë quindi partecipavano del sangue greco e del sangue italiano. La loro italianità proveniva dalla loro esperienza nella diaspora e dalla partecipazione agli eventi politici. Dal lato greco dunque il sentimento identitario era di tipo genealogico ed ancestrale, mentre dal lato italiano era un legame di solidarietà. Il sangue, in quanto categoria simbolica, permetteva sia la trasmissione dell’appartenenza genealogica sia la strutturazione dell’alleanza. Nelle fonti analizzate l’appartenenza di sangue non coincideva con il territorio difeso. La condizione necessaria era l’adesione ai valori nazionali. Il fatto che Tarsia attingesse all’opera dantesca – Dante e la Divina Commedia durante il Risorgimento furono elevati a fondamento dell’identità italiana –139 mostrava l’integrazione a cui

la comunità si era sottoposta volontariamente, facendo propria la cultura e

136 Prima lettera di Nicola Tarsia a Dante Mauro. Prigioni di Cosenza 1849. In

Ibidem, pp. 23-24

137 Seconda lettera di Nicola Tarsia a Dante Mauro. Prigioni di Cosenza 1849. In

Ibidem, pp. 25-28

138 Sansone M., Farinata, s.v., in “Enciclopedia Dantesca”, Treccani

139 Ghidetti E. Benucci E., Culto e mito di Dante dal Risorgimento all'Unità : atti

del convegno di studi, Firenze, Società Dantesca Italiana, 23-24 novembre 2011, Firenze, 2013

la lingua della diaspora. Infatti Domenico Mauro nel 1840 aveva pubblicato un commento alla prima cantica che ebbe grande diffusione all’interno della comunità.140

D’altronde in questo periodo altri membri della comunità si impegnarono nella produzione in versi di componimenti in nome dell’Italia. Francesco Saverio Tocci, quando fu data notizia della concessione dello Statuto da parte di Ferdinando II, scrisse un “Inno alla bandiera italiana” in cui si esaltava il tricolore come simbolo della “Libertà italiana” e del “patto di alleanza fra Dio e gli uomini e i Sovrani della Terra”.141

Anche dopo la fine delle speranze di operare un effettivo cambiamento politico, i calabro-albanesi continuarono ad impegnarsi dall’esilio e dal carcere. I testi pervenutici sono davvero pochi dal momento che gli stessi patrioti provvedevano a distruggere qualsiasi documento potesse risultare compromettente ad un controllo delle truppe borboniche. Passato il pericolo dopo il 1861 alcuni testi politici prodotti nel periodo pre-risorgimentale furono pubblicati in raccolte poetiche.142

Giuseppe Mazziotti nella sua “Monografia del Collegio Italo-greco di Sant’Adriano” raccontava che ancora per anni continuarono a giungere presso il Collegio “messaggi e inni patriottici” da parte del gruppo dei detenuti politici. La polizia borbonica informata di questo scambio cominciò a sorvegliare il Collegio. Nel 1851 fu informata dal fratello di un educando di Plataci che Nicola Tarsia aveva fatto pervenire presso il Collegio un brindisi patriottico. La polizia al comando di un ispettore di Rossano quindi perquisì tutto l’edificio ma non riuscì a trovare nulla perché, viste arrivare le truppe, si era provveduto a distruggere quanto vi fosse stato di compromettente.

Il componimento fu però pubblicato da Tarsia stesso nella sua raccolta di poesie edita nel 1863 a Cosenza.143 Nel “Brindisi” l’autore invitava ad

alzare i calici in onore della “patria libertà” perché “se Italia è ancor captiva, regina un dì sarà”. Infatti nei “petti delle itale genti” l’antico valore è stato ormai risvegliato: i fratelli italiani, serbando “l’odio antico” di

140 Mauro D., Allegorie e bellezze della Divina Commedia. Parte I (Inferno), Napoli, 1840

141 Inno alla Bandiera Italiana. 1848 06.02. In Graziani E., La storia della

Calabria nel XIX secolo, cit., p. 10

142 Ad esempio dopo “i disastri del 1848”, Domenico Mauro dedicava un sonetto “All’Italia” che veniva personificata: l’Italia era sprofondata in un abisso e pensava di potersi risollevare grazie all’aiuto “d’una spada, che un re ti porge[va]”; ma fu ingenua perché “nelle viscere tue la spada è giunta”. Mauro D., Poesie varie, Napoli, 1862, p. 61

Bruto, avrebbero ucciso “il tiranno” e liberato l’Italia. Ricorrono qui i topoi della produzione risorgimentale: oltre ad esserci una convergenza di obiettivi tra la comunità e il popolo italiano, l’acquisizione della tradizione culturale italiana comportava l’inclusione nel soggetto nazionale.

Nella ricezione della retorica pubblica italiana e nell’orientamento politico della comunità fondamentale fu il ruolo del Collegio italo-greco che attirò attenzioni delle autorità centrali non solo napoletane ma anche romane.

5. Il Collegio greco-albanese di S. Demetrio Corone: “Officina del diavolo”