• Non ci sono risultati.

Parte I. La comunità albanese di Calabria

3. Sacralizzazione dell’identità

1.2 La Guardia Nazionale strumento di rivolta

La Guardia Nazionale affondava le proprie radici nella tradizione del triennio napoleonico, periodo in cui tale istituzione si fece portatrice dei principi della Rivoluzione francese. Alla fine del Settecento i patrioti meridionali aspiravano ad un rinnovamento radicale ispirato al modello politico francese. Al momento dell’arrivo delle truppe napoleoniche, l’istituzione della Guardia Nazionale generò entusiasmo essendo considerata “la figlia prediletta della Repubblica”. Il nuovo corpo si faceva dunque portatore dei valori rivoluzionari e repubblicani di cui la Francia era emblema.

Proprio per questo suo valore simbolico la Guardia Nazionale, dopo la parentesi della repubblica napoletana del 1799, fu ostacolata: i Borbone ne impedirono la formazione fino al 13 marzo 1848 data in cui fu approvata la sua ricostituzione.25 Con questa legge si stabiliva l’installazione di un

presidio in ogni comune del Regno e la conseguente smobilitazione della Guardia Urbana della quale però ricalcava le scale gerarchiche, il tipo di armamento e i metodi di azione. Tra i compiti della Guardia Nazionale rientravano la difesa della sovranità costituzionale, la vigilanza del rispetto delle leggi, il mantenimento dell’ordine pubblico e il sostegno alle truppe regie.26 Proprio perché sostituì la vecchia Guardia Urbana, il nuovo corpo 23 In Cingari G., Romanticismo e democrazia, cit. p. 96 n. 26

24 “L’Albanese d’Italia”, 23 febbraio 1848; 4 marzo 1848

25 De Angelis M., Un’istituzione borghese rivoluzionaria: la Guardia Nazionale

nel Mezzogiorno (1799-1861), in “Meridiana”, 2013, pp. 76-80. Sulla Guardia

Nazionale cfr. Francia E., Le baionette intelligenti. La guardia nazionale

nell’Italia liberale (1848-1876), Bologna, 1999

26 Lucchi L.A., La sicurezza della città: le guardie municipali, in Vantaggiato E. (a cura), La parola … alle carte. Fonti per la memoria della città. L’archivio

nazionale rischiò a scuotere gli equilibri gerarchici locali.27

In base alla prescrizione della legge del 13 marzo la Guardia Nazionale veniva svuotata delle sue caratteristiche principali, ossia il principio democratico per cui chiunque potesse accedervi e il principio di uguaglianza. Sostanzialmente l’operazione di Ferdinando II era stata di trasformare la Guardia Urbana in Guardia Nazionale. La reazione dei membri democratici del cosentino non si fece attendere. Già il 18 marzo Ortale inviò una circolare ai comuni del cosentino per annunciare il rifiuto ufficiale di questa legge e affermando che i Calabresi “non si trattano come un popolo che non abbia ancora rotto le sue catene, e compreso i suoi diritti”.28 A rendere pubblico il dissenso fu ancora una volta Mauro con un

proclama intitolato “Ai calabresi”, pubblicato il 25 marzo, proclama che fu letto nelle associazioni a commento della circolare di Ortale.

Mauro denunciava l’operato del re e del suo governo come “equivoco” e denunciava la legge sulla Guardia Nazionale dalla quale “non derivavano che mali e disordini”. E quindi invitava:

… Popoli delle Calabrie armatevi; ma armatevi solo per tutelare il buon ordine, per impedire che la bandiera tricolore non sia lacerata, e la sua asta non sia coperta dal berretto rosso dell’anarchia, e non diventi una picca in cui si appuntino i teschi sanguinosi dei cittadini massacrati dai cittadini; […] Popoli della Calabria armatevi dunque. Se manca una legge penseremo noi a farne le veci procacceremo noi forza e tutela alla Nazione, quando il Governo tira la sua cortina e si addormenta vergognosamente nel suo letto d’inerzia. […] voi non mancaste mai alla chiamata di Cosenza, perché essa non si è resa mai indegna di appellarsi la vostra Capitale, poiché essa non ha mai smentita la grande indole de’ Bruzii. Ebbene Cosenza, la grave Cosenza assisa su le rive del Crati e del Busento ora v’invita; […] aggruppatevi intorno a me pronti come noi a combattere per la Costituzione e per la Patria. […] La mia Guardia Nazionale sarà a voi d’innanzi, seguitela […]

L’invito era dunque ad impugnare le armi per far valere il proprio diritto in vista di un reale cambiamento che permettesse al popolo di avere una Nazione alla quale appartenere. “Forza e tutela” della nazione doveva essere dunque il popolo in armi: nella sua ricostruzione onirica del suo Proclama Mauro immaginava i popoli “stanchi di aspettare” che si muovevano alla rivoluzione per abbracciare “il fantasma della repubblica”. A capo di questa rivoluzione Mauro poneva Cosenza, guida della Calabria e

storico del comune di Oria, Oria, 2006, pp. 107-110

27 Sullo scontro politico a proposito della Guardia Nazionale a Napoli cfr. Mellone V., La rivoluzione napoletana del 1848. Fonti e metodi per lo studio

della partecipazione politica, in “Meridiana”, 2013, pp. 44-50

riprendeva un nesso tipico della tradizione culturale risorgimentale calabrese: Cosenza era infatti presentata come erede dei Bruzii, popolo di epoca preromana ricordato come bellicoso, ma soprattutto indipendente.29

Davide Andreotti nella sua storia dei cosentini affermava che

la parola Bretti è un aggettivo derivato dal verbo Abripior, che nel passato plurale tiene Abrepti, e per aferesi Brepti che significa essersi sottratti, involati: uomini sottrattisi strappatisi, involatisi al dominio de’ loro signori30

Il riferimento di Mauro era chiaro: Cosenza era la città che in virtù della sua tradizione era in grado di guidare la popolazione calabrese verso la liberazione dal dominio borbonico.

L’obiettivo concreto a cui mirava Mauro era la formazione di una Guardia Nazionale che si facesse garante della buona riuscita della rivoluzione e che sfuggisse alle indicazioni date dalla legge del 13 maggio per divenire strumento nelle mani del Circolo Nazionale. Il Giudice di San Demetrio Corone scrisse all’Intendente di quel “Circondario, composto di paesi albanesi”:

Dopo la promulgazione dello Statuto Costituzionale tutti i miei amministrati festeggianti serbavano l'ordine e la pace cittadina; ma gli esaltati si sanano a censurare qualche articolo, e tutti i loro mezzi, ed intrighi si prodigavano in occasione della nomina de' “Capi” della Guardia Nazionale che ebbero cura di far cadere su individui del partito, ad eccezione del Comune di Vaccarizzo, che confirmò l'ex Capo Urbano […] Concludenti a tali principii, si forzarono a rendere sopprima (sic la Guardia Nazionale numerosa e ricca di uomini di perduta condotta, e di poi a fare rifiutare la Legge del 13 Marzo ultimo per la riorganizzazione della Guardia suddetta, che rimase inseguita in tutti i Comuni di questo Circondario.31

29 Leoni N., Della Magna Grecia e delle tre Calabrie, Napoli, 1846, pp. 42-62 Faccioli C., Ricerche su’ Bruzi e su’ moderni Calabri, Napoli, 1846. Alcuni riferimenti sono nell’opera di Micali G., L’Italia avanti il dominio dei Romani, I, Torino, 1852

30 Andreotti D., Storia dei Cosentini, I, Napoli, 1869, p. 80. Il mito dei Brettii fu elaborato e diffuso nella seconda metà del XVI sec. dall’intellettuale catanzarese Gabriele Barrio. Nella sua opera per la prima volta cita Cosenza come “città più importante dei Bretti, chiamata anche Brettia”. Cfr. Barrio G.,

Antichità e luoghi della Calabria, Mancuso E.A. (a cura), Cosenza, 1979; De

Rose L., Cosenza, “Faro splendidissimo di cultura”. L’Atene della Calabria e

i Brettii raccontati da Gabriele Barrio, in Masi G., (a cura), Tra Calabria e Mezzogiorno in memoria di Tobia Cornacchioli, Cosenza, 2007, pp. 31- 64

31 ASN, Ministero di Polizia generale. Seconda Numerazione. Fascio 3200 VI, Esp. 238, vol. 15 par. 15: “Cenno degli avvenimenti che hanno avuto luogo nel

L’Intendente girava il resoconto del Giudice al Ministero di Polizia per mostrare quale fosse lo stato in cui versava la provincia. Le prime agitazioni si erano dunque avute in occasione della formazione del corpo della Guardia Nazionale; seguiva un elenco con i nomi di coloro che erano stati responsabili della rivolta e si sottolineava come gli ispiratori fossero i membri della famiglia Mauro. Sappiamo infatti che divenne poi capo della Guardia Nazionale di San Demetrio, Raffaele Mauro il quale tenne questo corpo armato come esercito di rivoluzione. Secondo il Giudice circondariale la situazione nei paesi calabro-albanesi sarebbe precipitata proprio con l’arrivo di Domenico Mauro che ispirò la sommossa proclamando che “lo Statuto non più conveniva alla Nazione, e che il Re non agiva lealmente. Bisognava quindi andare avanti, seguendosi la sorte della Sicilia”. Venivano fondamentalmente riprese le questioni che aveva sollevato nel proclama del 25 marzo, aggiungendovi la questione siciliana: la Sicilia era il modello nazionale indipendentista a cui aspirare nell’azione contro il re Borbone. Così come la Sicilia aveva rifiutato la Costituzione proposta da Ferdinando II in nome della propria autonomia,32 così doveva

fare la Calabria.

Questi dovettero essere gli argomenti adoperati alla riunione del 5 aprile tenutasi a Cosenza alla quale presero la parola Mauro e Musolino.33

Secondo la testimonianza dell’Intendente si auspicavano rivolgimenti politici a causa del “pomo della discordia lanciato pur anche dallo scoglio di Sicilia e al pestifero veleno che questi isolani per esecrati libelli ed emissari osavano spargere nelle nostre contrade”.34 D’altronde l’avvocato e

repubblicano Ignazio Ranieri ricevette una lettera l’11 aprile da un suo amico di Palermo in cui si diceva che “a Palermo desiderano che in Calabria adottassero lo stesso Governo e così unita alla Sicilia, e Calabria si facesse una armata e partire per Napoli”.35 Al di là delle utopie la linea

tenuta all’assemblea del 5 aprile traspare bene dalla testimonianza del giornale musoliniano “Il Corriere di Calabria” : era necessario aspirare ad una profonda revisione della Costituzione da parte di deputati eletti non

Circondario di S. Demetrio”. Anno 1848. Cosenza, 10 agosto 1848: lettera dell'Intendente della Calabria Citeriore al Ministero di Polizia

32 Orta D., Le piazze d’Italia , cit., p. 205: in risposta alla concessione proposta da re Ferdinando II, il 12 febbraio 1848 a Palermo apparse un articolo sul giornale “L’Apostolato” in cui si affermava: “La Sicilia non deporrà le armi, né sospenderà le ostilità se non quando il General Parlamento riunito a Palermo abbia adattato a’ tempi la costituzione che non ha mai cessato di possedere” 33 Andreotti D., Storia dei Cosentini, III, Napoli, 1874, p. 343

34 In Paladino G., Il 15 maggio del 1848 in Napoli, Milano, 1920, pp. 135-136 35 In Cingari G., Romanticismo e democrazia, cit. p. 99 n. 32

vicini al Governo.36

Con la caduta del duca di Serracapriola e la formazione del governo Troya gli animi sembrarono placarsi. Rimaneva comunque la questione da dirimere tra i repubblicani e i moderati: secondo quanto scriveva il canonico Leopoldo Pagano a Carlo Maria L’Occaso, i repubblicani erano per “armare sistematicamente il popolo ai danni della parte aristocratica e migliore” per cercare di ottenere l’agognata rivoluzione. Invece i moderati ritenevano bisognasse “armare la guardia nazionale e disarmare la gente del contado” che era guidata da “pochi malintenzionati e tristi”.37

Mauro, come si è visto, dove aveva influenza e poteva affidarsi ad una rete di uomini di fiducia, compose la Guardia Nazionale in modo tale che fosse formata da persone con un’ideologia affine alla sua e che fossero in grado di incitare e guidare il popolo. Ciò avvenne nei paesi albanesi dove la Guardia Nazionale era guidata dal notabilato locale: tra gli altri, vi erano i fratelli Mauro e il rettore del Collegio italo-greco, Antonio Marchianò. L’intendente a tal proposito presentava la sua denuncia presso il ministero di Polizia:

non è sperabile poi contare sulla Guardia Nazionale, che composta a massa, e non secondo le regole del real Decreto del 13 marzo ultimo perché per opera de' demagoghi di sopra menzionati non volle accettarsi, buona parte di questa stessa Guardia è quella che produce i principali disordini che si sono avverati e si avverano tutto dì.38

Il notabilato arbëreshë occupando un ruolo di rilievo in questo corpo si preoccupò di farsi carico delle necessità delle classi più povere e, attenendosi al programma repubblicano di Mauro, coinvolse la popolazione in azioni di acquisizione della terra.

In questo clima si svolse dunque il primo scrutinio per l’elezione dei deputati per formare la Camera. La legge elettorale del 5 aprile aveva rettificato la precedente sul principale elemento di scontro: era infatti stata abbassata la rendita imponibile. Domenico Mauro fu eletto deputato di Circondario con il 55%. Gli altri candidati eletti provenivano per lo più dalla borghesia intellettuale e non erano vicini alle posizioni borboniche.39 36 “Il Corriere della Calabria”, 20 aprile 1848

37 Miraglia E., Carlo Maria L’Occaso. Patriota e letterato calabrese, Tivoli, 1942, pp. 31-32

38 ASN, Ministero di Polizia generale. Seconda Numerazione. Fascio 3200 VI, Esp. 238, vol. 15 par. 17: “Rapporto del Giudice Regio al Sottintendente di Rossano”. Anno 1848. Rossano, 14 settembre 1848: “Ispezione di Polizia” dal Giudice Regio di Rossano a Sua Eccellenza il Ministro Segretario dell'Interno 39 Sui risultati delle elezioni cfr. Paladino G., Il 15 maggio, cit., p. 512

Dai risultati elettorali si evince che la maggior parte della popolazione credeva in un possibile cambiamento da affidare all’ala più estrema del partito liberale. Vincenzo Dorsa, intellettuale arbëreshë, diede voce a questo desiderio all’indomani dei risultati elettorali: la scelta del popolo era stata di un “partito costituzionale” dal momento che non era possibile consentire il governo dello Stato ai “vecchi arnesi, che invocano la prudenza e si chiamano moderati”.40

Di lì a pochi giorni, specialmente nella provincia di Cosenza, cominciarono movimenti del ceto contadino che richiedeva terre: non si limitarono a prendere solo i beni demaniali ma anche le terre private dei grandi proprietari. La Guardia Nazionale varie volte invocata non si mostrò però sempre affidabile. Nel caso dei paesi arbëreshë si è detto di come essa si fosse fatta promotrice delle necessità della popolazione rurale. Proprio per questo l’Intendente, a proposito dei paesi calabro-albanesi di S.Demetrio, S. Sofia e San Benedetto Ullano, chiedeva un disarmo della popolazione da farsi ad opera delle truppe regie e delle Guardie Nazionali di altri paesi, dal momento “che sulle Guardie Nazionali non si può contare”.41 Nel distretto

di Rossano nella formazione della Guardia fu inclusa la classe contadina “non ad altro oggetto che per farle provare i frutti della Costituzione e per farli stare a freno”.42

La “fame di terra” era un problema secolare ed emerse con una voce popolare forte a partire dalla fine dell’aprile del 1848 a causa dei nuovi rivolgimenti storici: i contadini chiedevano terre e diritti civici al grido di “Viva la Costituzione! Viva l’Italia”. Erano spinti dalla borghesia rurale ed intellettuale, che vedeva nell’organizzazione ancora feudale della proprietà uno degli scogli da superare in vista di un’apertura alla prospettiva nazionalistica, ma mancava la consapevolezza del lessico politico.