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Alcune “esimenti” a favore dei soggetti pubblici, di fronte al vizio di illegittimità comunitaria degli att

II. LA PATOLOGIA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO NAZIONALE PER VIOLAZIONE DEL DIRITTO

11. Le possibili implicazioni dell’invalidità comunitaria degli atti amministrativi L’evoluzione della

12.1 Alcune “esimenti” a favore dei soggetti pubblici, di fronte al vizio di illegittimità comunitaria degli att

Se la lesione del primato comunitario perpetrata dallo Stato-amministrazione non tollera scriminanti, si può azzardare come scusante la circostanza che, almeno nell’ordinamento italiano, la materia amministrativa è estremamente complessa e normativamente “stratificata”, dato che l’incidenza delle fonti comunitarie si registra per lo più in settori cruciali (214) dell’azione amministrativa, come la contrattualistica, la tutela dell’ambiente, i servizi pubblici.

213

Bartolini A., (Illegittimità del provvedimento amministrativo, voce in Enciclopedia dir. pubblico, Utet, c. 2864), sottolinea come da un punto di vista dogmatico è discutibile se il concetto di illegittimità dell’atto rientri nel più ampio

genus dell’invalidità o sia una figura a sé stante, di diritto speciale: ciò probabilmente riflette, a livello storico,

l’avversione e il timore quasi reverenziale in diritto amministrativo per forme di invalidità diverse dall’illegittimità, che potessero minare la stabilità dei rapporti e la certezza dell’agire amministrativo.

214

Cfr. F. Fracchia, Diritto comunitario e sviluppo del diritto amministrativo, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2007, 5, 1142 ss., rileva che gli operatori giuridici ed in particolare le amministrazioni incontrano spesso difficoltà nell’applicare il diritto al caso concreto, data la non univocità dei modelli di riferimento, a volte ricollegabile alla stessa, scarsa chiarezza sul profilo della diretta applicabilità delle norme comunitarie.

In questo contesto poliedrico, lo stesso istituto della disapplicazione della norma nazionale difforme – pur se pacificamente ammesso ed anzi doveroso - può risultare ostico per un organo amministrativo.

In chiave di assoluta problematicità si può leggere una recente pronuncia del Consiglio di Stato (215), che ha rilevato l’insussistenza della colpa, mandando esente da responsabilità per danno un’amministrazione che aveva applicato la normativa italiana, anziché rilevarne il contrasto con una direttiva comunitaria.

In secondo luogo, al di là dell’ipotesi canonica di contrasto con le fonti normative, gli stessi istituti del diritto amministrativo mostrano aspetti di criticità, per quanto attiene all’osservanza del diritto comunitario.

Un possibile disallineamento è stato infatti colto, in maniera significativa, in materia di procedimento amministrativo.

Se a seguito della novella apportata alla l. n. 241/1990, i vizi cosiddetti formali hanno ricevuto espressa regolamentazione, consentendo così un recupero di legittimità a fronte di infrazioni meramente procedurali, questa sorta di sanatoria standardizzata non sembra rispettosa dell’ordinamento comunitario in peculiari materie dove questo impone, al contrario, un rafforzamento di tutela, esigendo forme più intense di partecipazione.

Fra i settori più delicati in tal senso, si coglie la valutazione d’impatto ambientale, profondamente permeata delle direttive di settore.

Appare rilevante la disciplina recata dalla convenzione di Aarhus, del giugno 1998, ratificata in Italia dalla legge n. 108/2001 e della direttiva 2003/35/CEE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 maggio 2003 in tema di “partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e

programmi in materia ambientale”, recante modifica alle direttive del Consiglio 83/337/CEe e

96/61/Ce sulla partecipazione del pubblico e sull’accesso alla giustizia.

Tali fonti consentono all’interessato di contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni riconducibili nell’alveo della partecipazione procedimentale, dotati di pregnanza ed autonomia, e rispetto alle quali probabilmente la regolamentazione interna, dettata dal 21 – octies, dovrebbe recedere.

La maggiore attenzione riservata dal legislatore comunitario a queste forme di tutela in ambito procedimentale, soprattutto in materie sensibili dell’ordinamento sovranazionale, quali ambiente, tutela dei consumatori, concorrenza, si giustifica per la giustapposizione fra regole di forma e regole di sostanza: in questo meccanismo di assimilazione, le regole procedurali diventano in realtà norme di contenuto, divenendo strumentali alla pienezza di tutela riservata al singolo.

215

Ponendosi in un’ottica esclusiva di tutela del singolo, procedimento e forma, nell’impostazione comunitaria, non dovrebbero restare esposti all’apprezzamento delle autorità amministrative o giudiziarie, né essere affidati alle contingenze del caso concreto.

Potenziali attriti si sono manifestati anche nel settore dell’in house providing e dei servizi pubblici, dove la Corte di Giustizia ha ricostruito analiticamente i limiti e le condizioni entro cui può ritenersi legittima una società mista, sollecitando un intervento adeguatore del giudice interno: il Consiglio di Stato si è quindi attivato nel rilevare la non riconducibilità automatica delle società miste alla figura dell’in house, chiarendo che non è in sé esclusa la compatibilità comunitaria della diversa figura della società mista a partecipazione pubblica, in cui il socio sia stato scelto con una procedura di evidenza pubblica.

Oltre all’ipotesi del contrasto diretto, un tema che ha destato interesse nell’ambito della responsabilità statale per attività amministrativa anticomunitaria, è dato dalla riformulazione o dalla rilettura di alcuni istituti di diritto interno alla luce del giudizio espresso dalla giurisprudenza comunitaria.

Questo fenomeno, invero, ha coinvolto non solo istituti con una propria configurazione autonoma, quale l’occupazione acquisitiva e appropriativa, ma anche intere materie o principi, che dall’incidenza delle norme e dei principi comunitari sono usciti rivoluzionati nelle linee ispiratrici e nell’impostazione di fondo.

È questo il caso della concorrenza, che da meccanismo a tutela di interessi pubblici si pone ormai come strumento di controllo sull’imparzialità dei procedimenti di evidenza pubblica e di garanzia della corretta competizione in settori nevralgici dell’economia (216).

Un’altra sfera di incidenza della normativa comunitaria si può cogliere in materia procedurale, in particolare nei modelli di azione procedimentale derivanti della generalizzazione del silenzio – assenso.

La riforma della materia, cha ha visto un’espansione della denuncia di inizio attività e del silenzio assenso come nuovo modello di azione amministrativa, ha in ogni caso lasciato immuni materie di particolare “sensibilità” comunitaria, come patrimonio culturale e paesaggistico, ambiente, difesa, pubblica sicurezza ed immigrazione, nonché settori – quale l’ambiente - in cui la normativa sovranazionale impone in generale l’adozione di provvedimenti amministrativi formali.

216

Corte dei Conti, Sez. giur. Lombardia, 22 febbraio 2006, n. 114, nel valorizzare il ruolo fondante della concorrenza per il sistema economico, ha sancito che la lesione della normativa sull’evidenza pubblica integra un danno erariale, qualificando perciò la tutela della concorrenza economica come un valore pubblico piuttosto che come un interesse delle imprese.

È rilevante considerare, del resto, che in tali materie gli interessi in gioco, alla luce dei principi comunitari, non tollerano che l’interesse pubblico possa essere gestito mediante i meccanismi del silenzio: l’ordinamento sovranazionale preferisce infatti piuttosto l’aggiunta di segmenti procedimentali, che non contrazioni o riduzioni degli stessi.

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