II. LA PATOLOGIA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO NAZIONALE PER VIOLAZIONE DEL DIRITTO
3. La categoria dell’invalidità del provvedimento anticomunitario Introduzione ai modelli ricostruttivi e
3.2 La tesi della nullità per carenza di potere
Nonostante la pressoché generale riconducibilità del vizio di illegittimità comunitaria nelle “maglie” dell’annullabilità, in alcune, residuali ipotesi si ritiene che esso possa inquadrarsi nello schema della nullità per carenza di potere in capo all’amministrazione agente.
In ipotesi di contrasto indiretto con le fonti sovranazionali, si invoca quindi il ben più grave vizio di nullità dell’atto, quando la norma interna che “filtra” il conflitto fra ordinamento comunitario e provvedimento interno sia l’unica a fondare il potere dell’amministrazione agente e risulti a sua volta viziata per contrasto col diritto comunitario.
A queste condizioni, la nullità del provvedimento è stata rilevata d’ufficio, ravvisandosi la completa assenza del relativo presupposto normativo, idoneo a radicare l’azione amministrativa (127).
Occorre infatti considerare che la “primauté”, imponendo di dare immediata applicazione alla norma comunitaria, chiede che si disapplichi la norma interna con essa incompatibile, o meglio che la medesima venga non applicata, quasi a sottolineare che essa, più che passare in secondo piano, non viene affatto in rilievo (128).
Più precisamente, se in linea di principio il diritto comunitario non incide sull’attribuzione del potere alle amministrazioni, lasciando il legislatore nazionale libero di ripartire le attribuzioni di competenza, le fonti comunitarie potrebbero incidere indirettamente sulla norma nazionale attributiva del potere: quest’ultima, quindi, qualora contrastante con la fonte sovraordinata, è destinata a “soccombere”, attraverso il meccanismo della disapplicazione.
Al di là di queste disquisizioni teoriche, la soluzione della nullità non ha riscosso successo in dottrina, né in giurisprudenza, prestandosi ad applicazioni più che altro “scolastiche”.
127
Cfr. TAR Piemonte, sez. II, 8 marzo 1989, n. 34; CGCE, sentenza 9 settembre 2003, causa C- 198/01, in Racc. I- 8055 (sul regime degli atti nazionali emanati sulla base di norme interne difformi dal regime comunitario in materia di concorrenza e mercato) ha riconosciuto in capo all’autorità Garante della concorrenza non solo la facoltà di disapplicare la norma interna, ma anche l’obbligo di sanzionare i comportamenti pregressi delle imprese che fossero stati semplicemente agevolati o incoraggiati dalla norma illegittima.
128
La sottigliezza della distinzione, più che a dare risalto al “declassamento” della norma interna serve a valorizzare l’efficacia piena ed immediata della fonte esterna, che viaggia su una corsia di applicazione per così dire “preferenziale”; rilievi terminologici sul punto sono espressi da Tesauro G., Diritto comunitario, 2008, op. cit., p. 203.
La tesi della carenza di potere, pur se suscettibile in astratto di riscontri (129), in concreto si mostra “inadeguata” per il nostro ordinamento, considerando che le norme attributive del potere sono per lo più di esclusivo diritto interno, e il diritto comunitario raramente vi interferisce.
Nonostante la pervasiva influenza del diritto comunitario nel ramo amministrativistico, sono in effetti rare le ipotesi in cui il provvedimento amministrativo investa esclusivamente competenze rimesse alle sole istituzioni comunitarie, in settori in cui anche le mere funzioni esecutive si svolgono senza l’intervento di apparati statali.
Inoltre, il vizio di nullità è stato escluso laddove il contrasto della norma italiana col diritto sovranazionale ricada solo su alcuni ”segmenti” della disciplina del potere amministrativo, non sull’intera fattispecie che radica il potere: in questi casi, infatti, le norme disciplinano le modalità di esercizio del potere, ma non dettano i presupposti indefettibili per la sua spendita, quindi la loro disapplicazione non dovrebbe ripercuotersi in termini di carenza di potere-nullità dell’atto.
Quest’ultimo regime è riservato alle sole ipotesi di mancata corrispondenza fra il procedimento concreto ed il relativo paradigma normativo, cioè fra le modalità “normative” di esercizio del potere e quelle fatte valere in concreto dall’amministrazione: il vizio non attiene all'esistenza dell'atto finale, ma alla sua validità, restando l’atto perfezionato nei suoi elementi essenziali e costitutivi, pur se difforme dall’archetipo normativo in virtù del complessivo comportamento tenuto dall'autorità.
Un simile vizio potrebbe, per l’appunto, rilevarsi solo laddove la norma anticomunitaria fosse l’unica attributiva del potere amministrativo e suscettibile di disapplicazione, determinando con effetto “a cascata” la caducazione dell’atto amministrativo, emanato in assenza del potere, e non con “cattivo uso” dello stesso.
Con effetto a cascata, la disapplicazione della norma interna che non si limiti a regolare le semplici modalità di esercizio del potere ma radichi il potere stesso, essendone l’unica fonte attributiva, comporterà che l’amministrazione che abbia agito in base ad essa, avrà adottato un atto in carenza di potere, non facendone semplicemente un “cattivo uso” (130).
129
Cerulli Irelli V., Luciani F., Diritto comunitario e diritto interno, fra Stato e Regioni, in Rivista italiana di Diritto
pubblico comunitario, 2007, 5, p. 873, sull’incompatibilità con il diritto comunitario dovuta ad una norma nazionale
facoltizzante provvedimenti restrittivi di quote di importazione, quindi emananti in “carenza di potere” sulla base di norma attributiva del potere radicalmente viziata.
130
In tal senso Cons. Stato, V, 16 novembre 2005, n. 6023/2005, sui presupposti per la nullità o inesistenza dell’atto amministrativo (individuati, normativamente, nella c.d. nullità testuale ed in quella strutturale, dovuta al difetto di connotati essenziali – quali radicale carenza di potere da parte dell'autorità procedente, difetto dell’oggetto o del destinatario); in senso conforme TAR Basilicata, 17 ottobre 2006, n. 723 abbraccia la tesi per cui, mentre la violazione di una disposizione comunitaria implica un vizio di illegittimità-annullabilità dell’atto amministrativo con essa
Come ulteriore conseguenza, l’atto viziato non sarebbe più suscettibile di divenire inoppugnabile, rendendo oltretutto problematica la giurisdizione del giudice amministrativo: mancando una degradazione di posizioni di interesse, la controversia dovrebbe spostarsi nella sfera cognitiva del giudice ordinario, almeno laddove venga a incidere su preesistenti figure di diritto soggettivo (131).
La tesi della nullità per carenza di potere ha tuttavia, nel suo complesso, destato perplessità relative al regime di trattamento differenziato che verrebbe a crearsi nell’ambito della stessa categoria di “illegittimità comunitaria”: questo risulterebbe infatti discriminatorio, a parità di condizioni sostanziali delle situazioni disciplinate.
Si è inoltre censurata l’inopportunità del richiamo alla “carenza di potere”, nozione inerente piuttosto alla nullità di provvedimenti emessi nell’esercizio di un potere non riconosciuto affatto dall’ordinamento, o esistente ma attribuito ad un diverso plesso di poteri.
In senso contrario, si obietta che diverse ipotesi di nullità potrebbero più plausibilmente venire in luce applicando i principi generali in tema di invalidità, rilevando ad esempio il difetto di taluni elementi essenziali dell’atto, ove previsti nel diritto sovranazionale, come pure l’elusione o violazione del giudicato.