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L’autonomia “inter-dipendente” del sistema comunitario ed il rapporto con i modelli di responsabilità in

I. IL SISTEMA DELLA RESPONSABILITÀ DEGLI STATI MEMBRI IN DIRITTO COMUNITARIO

7. L’autonomia “inter-dipendente” del sistema comunitario ed il rapporto con i modelli di responsabilità in

L’autonomia e la diretta applicabilità del diritto comunitario ha implicato per i cittadini dei Paesi membri un notevole ampliamento del proprio “ventaglio” di diritti e facoltà nel mondo giuridico. È come se, assumendo come contesto l’ordinamento sovranazionale, le posizioni soggettive facenti capo ai singoli di fatto “raddoppiassero”, dovendosi dare piena cittadinanza e tutela nella rispettiva sfera giuridica anche alle situazioni giuridiche di derivazione comunitaria.

Del resto, le potenzialità insite nel diritto comunitario possono essere concretamente sfruttate, perché non solo riconosciute in sede sovranazionale, ma anche attuabili nelle competenti giurisdizioni interne.

Al tempo stesso, con “moto circolare”, poter invocare in giudizio le posizioni soggettive di matrice comunitaria ed azionare forme di tutela corrispondenti alla loro lesione, significa rafforzare ulteriormente il primato e l’effetto diretto del diritto comunitario.

Del resto, già dagli anni ’70, nella Rewe –Zentralfinanz (89), si riconosce che il singolo possa chiedere al giudice nazionale la tutela dei diritti derivanti da un Regolamento e che, simmetricamente, non gli siano opponibili “disposizioni legislative o amministrative non conformi

ad un obbligo tasativo e sufficientemente preciso imposto da una Direttiva”.

Infatti, “qualsiasi tipo d’azione contemplato dal diritto nazionale deve poter essere esperito dinanzi

ai giudici nazionali per garantire il rispetto delle norme comunitarie direttamente efficaci alle stesse condzioni di ricevibilità e di procedura che valgono quando si tratta di garantire l’osservanza del diritto nazionale”.

Nondimeno, l’assenza di un sistema “compiuto” di garanzie all’interno del diritto comunitario ha portato ad abbracciare i rimedi offerti dal diritto nazionale: del resto, in assenza dei dettami della giurisprudenza Francovich, non esisteva neppure uno strumento alternativo per i cittadini degli Stati membri, non potendo questi eccepire l’inadempimento dell’Autorità statale per invocare, quindi, la violazione del diritto comunitario, né potendo, d’altro canto, azionare gli strumenti di diritto strettamente comunitario (attivabili dalle sole Istituzioni e dagli Stati membri).

Ciò si ripercuoteva sulla possibilità stessa di identificare il sistema comunitario come un organismo autonomo e dotato di propria dignità “giuridica”, poiché, per quanto imperativo, esso non appariva dotato dei caratteri della coercitività.

89

Di fronte a questo vuoto di tutela, è il soggetto privato (con le sue istanze di tutela) il reale propulsore della costruzione del sistema di responsabilità statale per violazione del diritto comunitario.

Al di là della mera procedura di infrazione, si è demandata così al diritto positivo interno l’individuazione di ulteriori strumenti di tutela, la cui messa in opera fosse attivabile nei sistemi giuridici nazionali (tanto da far parlare di “nazionalizzazione della disciplina della responsabilità statale (90), pur se sulla base di procedure e di principi di derivazione comunitaria, ed in stretta cooperazione con la Corte di Giustizia.

Ne è derivato un sistema in cui, pur operando su piani differenti, la tutela di tipo “comunitario” e quella di matrice “nazionale” contro le violazioni degli Stati membri creano in realtà una sinergia tale da coprire ogni possibile esigenza di tutela.

Nonostante le distinzioni tecnico-processuali e sostanziali, esse si mostrano quali coerenti “complementi” di una “funzione unitaria di garanzia” dell’osservanza degli obblighi comunitari (91). Sviluppando ulteriormente queste considerazioni conclusive sull’illecito statale per violazione del diritto comunitario, possono emergere altri, interessanti aspetti.

La necessità di un riconoscimento pieno della supremazia del diritto comunitario, non solo nei principi ma anche nelle applicazioni concrete del diritto vivente, è stata una delle prime intuizioni della Corte di Giustizia. E il tramite di un simile pragmatismo, che riflette lo stesso approccio spesso “atecnico” al diritto, proprio del giudice comunitario, non potevano che essere le giurisdizioni interne.

L’assunta autonomia e supremazia dell’ordinamento comunitario sembra a questo punto cadere in un trabocchetto: il costante richiamo ai sistemi di tutela nazionale porta a rilevare facilmente l’anomalia del “primato” comunitario, dato che il sistema comunitario vive nell’ordinamento e

dell’ordinamento degli Stati membri, in un rapporto simbiotico.

90

Peraltro, l'ampia discrezionalità lasciata ai giudici nazionali ha sollevato dubbi sulla possibilità che in sede nazionale residuino margini di elusione al complessivo sistema di responsabilità; così in Regno Unito la pronuncia della

House of Lords, R. v. Chief Constable of Sussex, ex parte International Trader's Ferty Ltd. (1999), 1, Ali E.R. 129,

ha escluso la responsabilità per violazione del diritto comunitario, senza adire pregiudizialmente la Corte di Giustizia, sulla base di una lettura degli artt. 30 e 34 TCE apparsa discutibile perché difforme da CGCE, Commissione v.

Repubblica francese, 9 dicembre 1997, causa C-265/95, infra, (sulla lesione del principio di libera circolazione delle

merci e del dovere di cooperazione imposto agli Stati membri dal Trattato), in Racc.1997, p. I-6959 ed in Foro it., 1998, IV, p. 400.

91

Cfr. Timmermans C. W.A., Judicial Protections against the Member States: Articles 169 and 177 Revisited, in

Institutional Dynamics of European Integration Essays in honour of Henry G. Schermers, II, Dordrecht – Boston -

London, 1994, 392 ss., rileva come i rapporti fra i due ordini di tutele debbano impostarsi in termini di complementarietà e non di sussidiarietà.

Se il giudice interno deve accertare la sussistenza dei presupposti indicati dalla Corte alla base della responsabilità statale “secondo le regole del diritto interno”, è evidente che la disciplina nazionale dell'illecito civile, lungi dal poter essere disapplicata per far posto al cosiddetto “illecito comunitario”, dovrà al contrario rappresentare il contesto normativo pronto ad accoglierlo.

Sono dunque i Paesi membri i reali “dispositivi” di sicurezza, i tutori della sua effettività, posti a chiusura del sistema (92): è dai meccanismi attuativi di diritto interno che dipende funzionalmente il diritto comunitario, nonostante la separatezza formale di rispettivi ordinamenti (93).

Da ciò si evidenzia l’opportunità di analizzare gli strumenti di messa in opera della responsabilità dello Stato di fronte ai giudici nazionali, ai fini della tutela risarcitoria, considerando anche possibili interferenze con i meccanismi comunitari di protezione e l’eventuale intervento della Corte di Giustizia, che sia chiamata a pronunciarsi in una procedura d’infrazione.

È facile del resto osservare che questo processo di “ibridazione” fra sistemi è reciproco: come non si può analizzare la materia della responsabilità per illegittimità comunitaria senza l’apporto dei diritti nazionali, così l’impatto “creativo” della giurisprudenza comunitaria ha inciso profondamente sulla configurazione dei modelli di responsabilità in diritto interno, oltre a giocare un ruolo consistente nella politica di integrazione dei Paesi membri (94).

92

cfr. Bridge J.W.,Procedural Aspects of the Enforcement of European Community Law through the legal system of Member States in European Law Review, 1984, in materia di relazioni definite “one-side” e “symbiotic”; Collins L., European Community Law in the United Kingdom, London-Dublin-Edimbourgh, 1990; Curtin D., Mortelmans J.,

Application and Enforcement of Community Law by the Member States: Actors in Search of a Third Generation Script, in Institutional Dynamics of European Integration. Essays in honour of Henry G. Schermers, Dordrecht-Boston-London,

1994 ; Rideau J.,Le mie des Etats membres dans l'application du droit communautaire, in Ann. francais dr. int., 1972. 93

Cfr. Calzolaio E., op. cit., secondo cui “non solo non esiste una disciplina comunitaria completa, ma probabilmente

neppure esiste una unica fattispecie di illecito dello Stato, quanto piuttosto coesistono più ipotesi, eterogenee, tutte egualmente catalogabili come “illecito civile dello Stato membro per violazione del diritto comunitario”, ma comunque diverse e con un proprio sistema di regole opportunamente adattate” (part. 70 ss.).

94

Alla base delle riflessioni della Corte di Giustizia sulla “conformazione” della responsabilità statale ai principi comunitari, c’è per S. Cassese (Per una nuova disciplina dei diritti dei privati nei confronti delle pubbliche

amministrazioni, in Corriere giuridico – di seguito, “Corr. Giur.” -, 2007, 1, p. 119), un postulato giuspositivistico,

consistente nel riconoscere ed applicare la teoria della responsabilità civile a tutti i poteri pubblici, non potendosi accettare la tesi di un “potere politico illimitatamente libero nei fini”. La prevalenza del pubblico interesse rispetto alla tutela delle posizioni giuridiche soggettive appare in tale ottica il normale tributo da versare all’organizzazione di uno Stato di diritto, ma quando esso travalichi i suoi limiti, il titolare del potere deve pagare, secondo le categorie classiche della responsabilità civile. Il rilievo di quest’assunto segnalato peraltro nella giurisprudenza di legittimità, (cfr. Cass. Civ., ord. N. 13911/2007) che considera tale sistema in linea con l’evoluzione subita dall’interesse legittimo, ed il suo acquisto di contenuti sostanziali, “coerentemente del resto con l’evoluzione della stessa nozione di interesse pubblico,

Sul processo di “ripensamento” della responsabilità statale hanno avuto un grande peso le direttive di stampo processuale sugli appalti pubblici (95), che hanno imposto per la prima volta agli Stati membri, in nome dell’effettività della tutela della concorrenza, di munirsi di un idoneo strumentario giuridico atto a tutelare i privati che fossero lesi da provvedimenti illegittimi o, più indirettamente, dalla violazione della normativa comunitaria in materia (96).

Dalla forza di tali stimoli derivano ulteriori considerazioni, su un’altra, peculiare incidenza che il diritto comunitario ha avuto sui sistemi nazionali.

L’elaborazione di una sistema di responsabilità “diffuso” per violazione del diritto comunitario da un certo punto di vista sembrerebbe attentare alla sovranità dei Paesi membri.

In realtà, si deve considerare come l’ordinamento comunitario sia esso stesso “Comunità di diritto” (97), sensibile al richiamo della legalità e della certezza dei valori giuridici di ogni moderno “Stato di diritto”.

Tutto ciò che a prima vista i Paesi membri possono aver perso in termini di sovranità statuale, può ritenersi ampiamente recuperato sotto il profilo dell’arricchimento giuridico e dell’evoluzione di nuovi strumenti di tutela in diritto interno, se solo si considera la tematica relativa alla risarcibilità del danno da lesione degli interessi legittimi.

Se è vero quindi che, da un lato, i singoli Paesi membri sono chiamati a vigilare sul primato di un nuovo ordinamento sovranazionale quale l’Unione europea, cedendo anche una quota-parte dei propri poteri, sotto altro aspetto vedono arricchito il proprio ordinamento, grazie al rafforzamento del principio di legalità ed all’elaborazione di nuove forme di tutela per le posizioni soggettive dei loro cittadini.

In questi termini, l’appartenenza all’Unione – ed il correlato sistema di responsabilità statale (98) – non necessariamente deve leggersi come decurtazione di poteri, offrendo una concreta occasione di crescita per i singoli ordinamenti.

al cui perseguimento si accompagna un aumento della discrezionalità, ma anche della connessa responsabilità dell’amministrazione”.

95

Dir. 89/655/CEE e 92/13/CEE, cit., (rispettivamente regolanti i settori non esclusi ed esclusi), confluite in seguito nelle direttive CE/2004/17 e CE/2004/18.

96

La Corte di Giustizia, nella pronuncia Dorsch (17 settembre 1997, causa C-54/96, in Racc.I-4961) si è riconosciuta incompetente a conoscere tali posizioni giuridiche con effetti diretti negli ordinamenti interni degli Stati membri, pur ritenendo che, in linea col principio di effettività, la tutela risarcitoria spetti anche a fronte di posizioni soggettive qualificabili come interessi legittimi. Peraltro, l’ala protettiva dell’azione risarcitoria secondo i dogmi comunitari è arrivata a coprire anche le mere ipotesi di “rischio di lesione”, codificate in Italia solo con l’adozione del Codice dei

contratti pubblici, D. lgs. 12 aprile 2006, n. 163. 97

Il diritto comunitario diventa il motore per una macchina di nuovi adempimenti o limitazioni che in sua assenza non avrebbero gravato sugli ordinamenti nazionali, ma dalle “restrizioni” derivanti dalla primauté comunitaria s’innesca un processo virtuoso, che coinvolge tutte le manifestazioni del potere statuale, incrementando le possibilità di sviluppo, i diritti e gli strumenti di tutela di tutti i soggetti dell’ordinamento comunitario, dagli operatori economici a quelli privati.

Al di là della prospettiva teorica cui si intenda aderire circa i rapporti fra Stato e Comunità, è innegabile che l’espansione del diritto comunitario ha avuto effetti dirompenti sul diritto amministrativo italiano, facendogli compiere a livello sia sostanziale sia processuale dei “passi da gigante” nell’arco di pochi decenni.

Di tale spinta propulsiva è una dimostrazione anche lo sforzo di sistematizzazione che ha impegnato negli ultimi anni dottrina e giurisprudenza, nel dare un preciso spazio ed una disciplina a quella particolare forma di illegittimità che colpisce l’atto amministrativo in contrasto con il diritto comunitario, di cui si tratterà nel successivo capitolo.

98

Al riguardo, Calzolaio E., op. cit., rileva come “la responsabilità civile ha un ruolo di pregio, essendo utilizzata dalla

Corte di Giustizia proprio per intervenire nei rapporti che intrecciano gli Stati membri con l’Unione, quindi in un “settore estraneo agli scopi ed all’ambito applicativo che sono tradizionalmente assegnati alla materia dell’illecito extra-contrattuale”.

II. LA PATOLOGIA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO NAZIONALE PER VIOLAZIONE

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