I. IL SISTEMA DELLA RESPONSABILITÀ DEGLI STATI MEMBRI IN DIRITTO COMUNITARIO
6. Profili attuativi Tutela risarcitoria e considerazioni a margine sul rimedio della cosiddetta
Di fronte ad una disciplina comunitaria non autosufficiente, l'illecito dello Stato può essere ricostruito solo attraverso il delicato, ma necessario, coordinamento tra diritto comunitario e diritti nazionali.
Pertanto, i modelli di responsabilità elaborati, nello specifico, nell’ordinamento italiano – cui è limitata la presente analisi – non possono essere accantonati, ma anzi sono chiamati a fornire tutta la strumentazione giuridica del caso: in tale processo un ruolo basilare è svolto dal modello di responsabilità civile dei pubblici poteri.
La peculiarità di quest’influsso non toglie in ogni caso che il fondamento della tutela risarcitoria resti squisitamente comunitario, imponendosi come tale anche laddove l’ordinamento interno non
nazionale?), in Diritto amministrativo (di seguito, “Dir. Amm.”), 2003, 2; Leone C., Diritto comunitario e atti amministrativi nazionali, nota a TAR Lombardia Milano, sez. III, ord. 8 agosto 2000, n 434, in Riv. it . Dir. Pubbl. Com., 2000, 5, 1174 ss.
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Del resto, riconoscere prima del mutato orientamento della giurisprudenza italiana pienezza di tutela ai soli interessi legittimi corrispondenti a posizioni soggettive di fonte comunitaria, avrebbe comportato un’indebita disparità di trattamento (c.d. discriminazione “alla rovescia”, cfr. supra, p. 56) rispetto ad analoghe figure soggettive di diritto interno. Si sarebbe trattato, infatti, di dare tutela in forma risarcitoria ai soli interessi legittimi di derivazione comunitaria, lasciando scoperte corrispondenti posizioni soggettive di origine nazionale.
la accolga per corrispondenti fattispecie di diritto interno, come nell’ipotesi dell’attività legislativa (84), oppure la ammetta ma a condizioni più rigorose, come nell’ipotesi della responsabilità dei magistrati (85).
Al ricorrere di circostanziati requisiti, sorgerà comunque in capo ai privati un diritto al ristoro del danno che, per quanto radicato nel diritto comunitario, deve essere rivendicato davanti alle Corti interne, secondo le regole sostanziali e procedurali del singolo Stato (86).
La soluzione risarcitoria, sebbene paventata per la mole di richieste da cui potrebbe essere investita l’amministrazione, è del resto lo strumento più idoneo a garantire l’effettività del primato comunitario: essa interviene a rafforzare la piena efficacia delle norme comunitarie, diversamente messa a repentaglio se i singoli non potessero ottenere, con pronuncia dei giudici nazionali, un
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La giurisprudenza di legittimità italiana si mostra renitente a riconoscere che possa configurarsi un reale illecito del legislatore, pur se derivante da mancata trasposizione di una direttiva in diritto interno; così per Cass. sez. lav., 11 ottobre 1995 n. 10617, cit, (sulla legittimazione passiva in un caso di mancato recepimento di una direttiva sulla tutela dei lavoratori subordinati, ai sensi della Dir. 80/987/Cee), “di fronte all’esercizio del potere politico non sono
configurabili situazioni soggettive protette dei singoli; deve perciò escludersi che dalle norme dell’ordinamento comunitario, come interpretate dalla Corte di Giustizia, possa farsi derivare nell’ordinamento italiano il diritto soggettivo del singolo all’esercizio del potere legislativo e comunque la qualificazione in termini di illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c. da imputare allo Stato-persona, di quella che è una determinata conformazione dello Stato – ordinamento. Ne discende che, alla stregua dell’ordinamento giuridico italiano, la pretesa dei singoli ad ottenere il risarcimento dei danni che siano stati loro provocati a seguito della mancata attuazione di una direttiva comunitaria, sussistendo le condizioni individuate dalla sentenza della Corte di Giustizia, non può essere altrimenti qualificata che come diritto ad essere indennizzati delle diminuzioni patrimoniali subite in conseguenza dell’esercizio di un potere non sindacabile dalla giurisdizione”.
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La relativa disciplina interna, dettata dalla l. n. 117/1988, oltre a non fondare il principio di risarcibilità del danno subito, che resta esclusivamente di fonte comunitaria, non individua neppure le relative condizioni, rimanendo peraltro le sue regole procedurali soggette ad un rigoroso vaglio di adeguatezza ai requisiti comunitari di “protezione efficace”. Di conseguenza, i limiti contenuti nella legge italiana sia sotto il profilo oggettivo della definizione dell’azione dannosa, sia sotto quello soggettivo, che esclude la responsabilità per colpa lieve, non sono invocabili a fronte di un’attività giurisdizionale rivelatasi contraria al diritto comunitario.
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Ciò si renderà del resto possibile a condizione che non sussista una specifica disciplina comunitaria della materia e che la disciplina nazionale garantisca un trattamento non peggiorativo rispetto a quello previsto per analoghe posizioni di diritto interno, secondo il costante richiamo all’equivalenza ed all’effettività di tutela.
Si può osservare peraltro come la teorica della tutela risarcitoria non sia andata esente da critiche: per Tesauro G.,
Diritto comunitario, op. cit., ci sarebbe un salto logico nel ragionamento della Corte, per cui la violazione di una norma
quale l’art. 249 TCE direttamente vincolante lo Stato verso la Comunità, è stata intesa come produttiva di un illecito verso un altro soggetto, cioè il singolo leso, trasformando il legislatore inadempiente verso la Comunità in un debitore diretto del singolo.
ristoro del pregiudizio subito dai loro diritti, sorti in base al diritto sovranazionale ma violati dalla condotta difforme dello Stato-apparato.
Circa l’entità della tutela, il danno, scaturente secondo un nesso di causalità immediato e diretto, deve ricomprendere le voci di danno emergente e lucro cessante e soppesare eventuali negligenze del destinatario della norma violata: il diritto ad una riparazione adeguata rientra del resto nel più ampio concetto di tutela dell’effettività: fra i casi di riconosciuta adeguatezza, la Corte ha rilevato, in ipotesi di responsabilità per omessa trasposizione di direttive, che il recepimento interno completo, pur se retroattivo, potesse costituire uno strumento di riparazione sufficientemente idoneo.
Sul tema, di recente la Grande Sezione della Corte di Giustizia (87) ha richiesto che il risarcimento sia “effettivo, adeguato al danno subito e non ammissibile alcuna condizione aggiuntiva, che possa
rendere eccessivamente oneroso il conseguimento di tale rimedio”: è forte l’affermazione per cui
non è conforme al diritto comunitario una disciplina nazionale che, in via generale, limiti il danno risarcibile alle sole lesioni inferte a determinati e specifici beni, che sarebbero così passibili di “tutela speciale”.
Quanto ad uno dei profili più pragmatici della tutela risarcitoria nel sistema di responsabilità, esso è dato dall’individuazione dell’organo da adire.
Si può ipotizzare, coerentemente con l’articolazione interna della funzione giurisdizionale, che laddove la violazione incida su materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo o vengano in rilievo provvedimenti illegittimi, potrebbe espandersi la giurisdizione del giudice amministrativo.
In particolare, laddove si deduca la lesione di un interesse legittimo derivante da provvedimento illegittimo, la domanda risarcitoria dovrebbe proporsi innanzi allo stesso giudice amministrativo, e qualora l’impugnativa dell’atto possa efficacemente prevenire il danno o limitarne l’entità, dovrebbe imporsi una tutela caducatoria in via “pregiudiziale” rispetto a quella risarcitoria.
In senso contrario, se l’impugnativa appare come mero adempimento di un onere di diligenza “civilistico” e si allega la sola violazione del diritto comunitario, si può ipotizzare la proposizione dell’azione risarcitoria innanzi al giudice ordinario.
Tuttavia, nel complesso, le considerazioni sinora svolte sul carattere rigorosamente unitario della responsabilità statale dovrebbero far propendere per una diretta chiamata in causa dello Stato, con
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conseguente affermazione della giurisdizione ordinaria (88), a prescindere dalla specifica natura dell’organo responsabile (sia esso legislatore, giudice o pubblica amministrazione).
Le precedenti analisi sollevano peraltro perplessità in ordine all’effettivo rispetto dei principi di equivalenza ed effettività di tutela.
Bisogna infatti considerare le travagliate vicende della giustizia amministrativa ed il controverso rapporto fra tutela caducatoria e risarcitoria, con particolare riguardo al terreno scivoloso della pregiudiziale - su cui Consiglio di Stato e Cassazione si fronteggiano con continue “scosse” di assestamento, nonostante alcune miliari pronunce del giudice di legittimità (ordd. nn. 13659 e 13660 del 2006) -: in tale ottica, sembrerebbe non rispettata la giurisprudenza di Lussemburgo, per la quale gli Stati, come visto, “non possono rendere eccessivamente difficile l’esercizio dell’azione
risarcitoria, né esigere il previo esperimento di altre forme di tutela, quale condizione di accesso al risarcimento del danno” (così nel caso Hedley Lomas, in causa C-5/94, cit.).
La necessità di attivarsi pregiudizialmente per una tutela di tipo demolitorio, al fine di ottenere giustizia delle proprie ragioni e vedersi risarcito il danno, sembra in effetti andare al di là dei dettami del giudice comunitario: appare quantomeno incongruo uno strumento processuale, che esige quale condizione di accesso alla tutela risarcitoria il previo esperimento di ulteriori mezzi di tutela (l’annullamento del provvedimento illegittimo).
Del resto, al di là di questa divergenza di fondo dai principi comunitari, si può notare che in base di principi di diritto interno, per altri aspetti, l’istituto della pregiudiziale risponde al principio di civiltà giuridica per cui la persona lesa deve dimostrare di avere usato la dovuta diligenza per evitare il danno o comunque limitarne l’entità, tentando ogni possibile mezzo giuridico a disposizione: si ritorna così ai contenuti di cui all’art. 1227 c.c., sul “concorso del fatto colposo del creditore”.
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In tal senso, cfr. Calzolaio E., op. cit., p. 98, per il quale “l’oggetto specifico dell’azione resta sempre la condotta
dello Stato, «considerato nella sua unità», come insegna la Corte comunitaria”, dovendosi rilevare che secondo un ragionamento contrario “si aprirebbero anche ulteriori profili di contrasto con la giurisprudenza comunitaria sull’illecito dello Stato: … per la Corte di Giustizia gli Stati non possono rendere particolarmente difficile l’esercizio dell’azione risarcitoria e a questo riguarda l’avvocato generale Léger, nelle conclusioni rese nel caso Hedley Lomas ha chiaramente affermato che il diritto comunitario si oppone al previo esperimento di altri mezzi di tutela (come l’annullamento di un atto amministrativo illegittimo) quale condizione per l’accesso alla tutela risarcitoria”.
7. L’autonomia “inter-dipendente” del sistema comunitario ed il rapporto con i modelli di