II. LA PATOLOGIA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO NAZIONALE PER VIOLAZIONE DEL DIRITTO
3. La categoria dell’invalidità del provvedimento anticomunitario Introduzione ai modelli ricostruttivi e
3.3 La tesi contraria alla mera dicotomia nullità annullabilità
Altra dottrina (132) si è opposta alla classica, quanto tormentata dicotomia fra regime di nullità ovvero di annullabilità degli atti amministrativi anticomunitari.
contrastante, la nullità (o inesistenza) è configurabile nella sola ipotesi in cui il provvedimento nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna (attributiva del potere) incompatibile con il diritto comunitario (e, quindi, disapplicabile); ne consegue che, al di fuori di quest’ultimo caso, l’inosservanza di una disposizione comunitaria direttamente applicabile comporta l’annullabilità del provvedimento viziato e, sul piano processuale, l’onere della sua impugnazione dinanzi al giudice amministrativo entro il prescritto termine di decadenza, pena la sua inoppugnabilità
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In tal senso cfr. Antonioli M., Inoppugnabilità e disapplicabilità degli atti amministrativi, in Riv. It. Dir. Pubbl.
Com., 6, 1375 ss; nell’amplissima produzione di Caranta R. sui temi dell’illegittimità comunitaria, cfr. Inesistenza (o nullità) del provvedimento amministrativo adottato in forza di norma nazionale contrastante con il diritto comunitario?
in Giurisprudenza italiana (di seguito, “Giur. It.”), 1989, 3, 284 ss.; Il Conseil d’Etat e la responsabilità della Pubblica
amministrazione per violazione del diritto comunitario, nota a Conseil d’Etat, 28 febbraio 1992, in Riv.it. Dir. Pubbl. Com., 1993, 3, 495 ss; Conferme e precisazioni in materia di responsabilità per violazioni del diritto comunitario, nota
a CGCE, 5 marzo 1996, cause riunite C-46-48/93, in Il Foro amministrativo TAR (di seguito, “Foro amm. TAR”), 1997, 1, 58 ss.
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Cfr. Torchia L., Il giudice disapplica e il legislatore reitera: variazioni sul tema di rapporti fra diritto comunitario e
In particolare, poiché molti fautori della tesi dell’annullabilità invocano a paradigma il sistema del controllo di costituzionalità delle leggi - per cui, caducata la legge incostituzionale, gli eventuali atti amministrativi di esecuzione devono ritenersi annullabili - un indirizzo contrario non ritiene traslabile in via automatica la categoria dell’annullabilità al caso in esame.
Essa, infatti, non valuterebbe la fondamentale differenza fra il controllo costituzionale, costituito come controllo accentrato, e quello di illegittimità comunitaria, che invece è diffuso in capo al complessivo potere giurisdizionale.
Inoltre si obietta - in senso analogo a quanti rilevano che verrebbe falsato il rapporto fra atti normativi ed atti amministrativi rispetto alle fonti comunitarie – il paradosso per cui il giudice nazionale sarebbe chiamato a disapplicare una norma contraria al diritto comunitario, mentre non potrebbe mai disapplicare il relativo provvedimento di attuazione, salvo suo ritiro da parte della pubblica amministrazione competente in sede di autotutela decisoria.
Resterebbe allora da percorrere un’unica soluzione: il giudice nazionale, una volta rilevato il contrasto fra norma comunitaria e norma esecutiva interna, dovrebbe rilevare d’ufficio anche l’illegittimità comunitaria degli atti amministrativi, attuativi della norma disapplicata.
Il riconoscimento del potere, per il giudice amministrativo, di dichiarare “l’illegittimità comunitaria sopravvenuta del provvedimento attuativo della norma disapplicata” (133), conduce quindi innanzitutto a criticare la qualificazione dell’atto come radicalmente nullo.
La tesi della nullità, fondata sull’inesistenza del parametro cui ragguagliare la legalità dell’azione amministrativa (a causa della ritenuta “separatezza” degli ordinamenti) viene così contestata perché, diversamente, “si finisce con l’assimilare la condizione della legge interna inapplicabile a quella
della legge inesistente, contraddicendo così apertamente la premessa di principio secondo cui la legge interna, in conformità alla quale il provvedimento è stato adottato, è esistente e valida ancorché inefficace e… per giunta, tale inefficacia si è determinata solo all’indomani dell’adozione della normativa comunitaria confliggente, cosicché il provvedimento non può dirsi adottato in carenza di potere” (134).
In ogni caso, a prescindere dalla tesi più persuasiva di quelle rassegnate, le considerazioni finora svolte evidenziano l’importanza del corretto inquadramento dogmatico da dare alla norma italiana in contrasto con la normativa comunitaria, e la rilevanza dell’intreccio fra norma comunitaria, norma nazionale e provvedimento amministrativo.
pubblico (di seguito, “Riv. Trim. Dir. Pubbl.”)1991, 3 796 ss., richiamato da Stigliani V., Atti amministrativi nazionali e norme comunitarie, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com.,1999, 6, 1413 ss.
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Niro R., Disapplicazione di norme e declaratoria di illegittimità di provvedimento, in I garanti delle regole, (a cura di) Cassese S. e Franchini C., Il Mulino, 1996, 202 ss.
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Quest’ultimo, in effetti, sembra porsi quale ultimo anello di una vera e propria catena di rapporti. Nel paradigma dell’illegittimità comunitaria degli atti amministrativi, la norma interna fa dunque da diaframma: da una sua qualificazione in termini di “inesistenza” deriverebbe un’analoga considerazione per il provvedimento amministrativo che l’avesse assunta a paradigma di azione. Invero, la Corte Costituzionale nelle sue pronunce ha rilevato che la norma italiana anticomunitaria dovrebbe essere considerata non nulla, bensì valida pur se inapplicabile. In ogni caso, tali differenze nominalistiche non porterebbero a conseguenze di molto difformi, dal momento che l’atto amministrativo, fondandosi su un atto inefficace, risulterebbe pur sempre emesso in carenza di potere.
Problemi applicativi possono poi discendere dal contrasto con norme non auto-esecutive.
In tale ipotesi, nonostante il mancato recepimento della norma comunitaria precluda all’amministrazione di disapplicare la norma nazionale, l’obbligo di collaborazione sancito dai Trattati impone pur sempre un onere di interpretazione conforme alla direttiva non self – executing, i cui principi guida si pongono come limite esterno ad eventuali scelte discrezionali. Un eventuale “scostamento” rileverà pertanto sotto il profilo dell’irragionevolezza.
Laddove, peraltro, sia necessario chiarire e circoscrivere la portata della norma comunitaria, il giudice nazionale potrà esperire il rimedio del ricorso pregiudiziale alla Corte di Giustizia: a seguito di tale pronuncia, una volta precisato il significato della norma, il giudice nazionale avrà davanti una norma direttamente applicabile, quale risulta dalla statuizione del giudice comunitario. Qualora si evidenzi, a seguito di tale meccanismo interpretativo, il contrasto della norma nazionale con quella comunitaria, l’autorità giurisdizionale interna potrà far valere l’invalidità dell’atto amministrativo nazionale incompatibile con la disciplina comunitaria.