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II. IL REGIME DI TUTELA AVVERSO L’ILLEGITTIMITÀ COMUNITARIA DEGLI ATT

2. L’autotutela come rimedio esperibile di fronte alla violazione del diritto comunitario

2.1. Un possibile modello di confronto: la revoca degli atti amministrativi comunitari

La disciplina della revoca degli atti amministrativi nell’ordinamento comunitario è stata fondamentalmente delineata, come la gran parte di istituti di diritto amministrativo europeo, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.

Questa, in difetto di espresse disposizioni normative, si è ispirata ai principi generali “comuni” ai sistemi amministrativi nazionali, applicando il metodo della c.d. “valutazione comparativa” (237), dunque attingendo a schemi e regole che potessero rivelarsi idonei in funzione dell’ordinamento giuridico europeo.

Sulla falsariga dei modelli nazionali, i giudici di Lussemburgo hanno riconosciuto in capo alle istituzioni comunitarie un analogo, generale potere di revisione e di caducazione dei relativi provvedimenti, potere che si è però via via distaccato dalle sue fonti di ispirazione, gradualmente assumendo vita e carattere propri.

Elemento base di tale ricostruzione pretoria è l’inquadramento del riesame quale competenza amministrativa sostanziale delle autorità comunitarie, senza necessità di una norma attributiva dei relativi poteri (238).

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Esposito A., La revoca degli atti amministrativi comunitari, accessibile presso l’URL:

http://www.iussit.it/RaamAE.htmin, Riv. giuridica Internet; su genesi ed evoluzione del principio de quo nell’ordinamento comunitario: Caranta R., La comunitarizzazione del diritto amministrativo: il caso della tutela

dell’affidamento, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 1996, 2, 439 ss.; D’Amato A., Revoca di decisione illegittima e legittimo affidamento nel diritto comunitario, in Il Diritto dell’Unione Europea, 1999, 2, 299 ss., nota a CGCE, 17 aprile 1997,

causa C-90/95, in Racc. 1997, I-1999.

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Riguardo alla “progressività” di tale processo, va rilevato che l’applicazione del principio è stata estesa man mano

dalla giurisprudenza comunitaria a tre diverse tipologie di poteri pubblici: l’attività esecutiva del diritto primario e derivato, posta in essere direttamente delle amministrazioni comunitarie (c.d. esecuzione diretta), quindi quella esecutiva di natura “indiretta” del diritto comunitario esplicata dalle amministrazioni nazionali (in particolare, CGCE, sentenza Toepfer, 3 maggio 1978, causa C-112/77, in Racc.1978, p. 1019); infine nei confronti della stessa attività legislativa comunitaria e nazionale. Peraltro, l’avvenuta codificazione di specifici presupposti e condizioni sostanziali e procedimentali del potere di revoca non sembra discendere dall’esigenza di dare all’amministrazione competenze di riesame di cui essa sarebbe altrimenti del tutto priva, ma piuttosto dall’opportunità di disciplinare specificamente il procedimento e gli effetti di tale potere in settori (quali, in via esemplificativa, concorrenza, pubblico impiego) in cui le istituzioni comunitarie dispongono di poteri esclusivi di amministrazione diretta.

Ulteriori principi ispiratori della materia, in un processo di costante contaminazione fra diritto interno e comunitario, sono apparsi sin dalle prime pronunce il principio di legittimità dell’azione amministrativa e quello di certezza del diritto, garantito dalla ponderazione degli interessi pubblici e privati in gioco: “dal momento che un diritto soggettivo è stato conferito, il bisogno di

salvaguardare l’affidamento nella stabilità della situazione così creata prevale sugli interessi di un’amministrazione a revocare la propria decisione”.

A partire da una delle più risalenti pronunce in materia, la sentenza Algera del 1957, la Corte ha peraltro accolto e progressivamente rielaborato la distinzione, già consolidata in alcuni ordinamenti nazionali, tra il regime dei provvedimenti amministrativi legittimi attributivi di diritti e quello dei provvedimenti illegittimi, affermando per i primi la regola della irrevocabilità, e, per i secondi, quella opposta della revocabilità anche ex tunc (239).

A tale classificazione si è poi sovrapposta, nella giurisprudenza più risalente, l’ulteriore distinzione tra i provvedimenti favorevoli, costitutivi di nuove posizioni di vantaggio in capo ai destinatari (costitutivi), e gli atti meramente dichiarativi.

In particolare, ammettendosi la revocabilità, anche con effetti retroattivi, in relazione ad atti amministrativi illegittimi da parte dell’istituzione o dell’organo emanante, l’esercizio del relativo potere è stato assoggettato a presupposti e condizioni più stringenti, al fine di garantire la certezza del diritto e di tutelare l’affidamento dei destinatari dell’atto (240).

Con stretto riferimento agli atti revocabili ex tunc, la Corte di Giustizia ha fissato, a partire dalla sentenza “Snupat” (241), la regola per cui il potere di riesame deve intervenire in un “periodo di tempo ragionevole” dalla data di adozione dell’atto oggetto di riesame. Se tale periodo è da ritenersi trascorso, la garanzia della certezza del diritto e dell’affidamento legittimo del beneficiario prevalgono sull’interesse alla rimozione della misura illegittima.

L’annullamento degli atti dichiarativi è stato subordinato, invece, ad una più ampia ponderazione degli interessi pubblici e privati coinvolti, nell’ambito della quale il passaggio del “periodo di

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Per un quadro giurisprudenziale, cfr. CGCE, sentenza Mavrides c. Parlamento, 19 maggio 1983, causa C 289/81, in

Racc.1983, p. 1731, par.21; Tribunale di primo grado, Chomel c. Commissione sentenza 27 marzo 1990, causa T- 123/89, in Racc. 1990, II-131, par.25 e 26.

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Per quanto riguarda il ritiro ex nunc degli atti illegittimi, la più recente giurisprudenza ha escluso perentoriamente la libera revocabilità degli atti costitutivi, sulla base dell’affermazione per cui l’esercizio del potere di riesame è subordinato, anche in tal caso, al rispetto del principio del legittimo affidamento e deve intervenire entro un lasso di tempo ragionevole. Le pronunce più risalenti sembravano, invece, affermare non solo il potere ma anche il dovere dell’amministrazione di procedere al ritiro non retroattivo degli atti meramente dichiarativi, soprattutto nel caso in cui la mancata caducazione degli atti in questione avesse potuto determinare una lesione delle posizioni giuridiche di soggetti terzi.

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tempo ragionevole” è solo uno dei possibili elementi valutabili al fine di esercitare il potere di riesame: pertanto, anche ove il periodo in questione fosse trascorso, l’amministrazione potrebbe egualmente rimuovere l’atto illegittimo, affermando il primato dell’interesse pubblico al ripristino della legalità, su quelli dei destinatari del provvedimento.

In ogni caso, il fattore “tempo ragionevole” gioca un ruolo di primo piano nella definizione dei concreti assetti d’interesse, da ponderare per la meritevolezza della decisione di revoca.

Il suo rispetto è dirimente per osservare la certezza del diritto, individuata sin dalle prime pronunce quale limite generale al potere di autotutela, anche perché è il “tempo” a consentire la formazione di legittime aspettative nella conservazione della posizione derivante da un provvedimento amministrativo (242).

Peraltro, della certezza del diritto costituisce un immediato precipitato la tutela dell’affidamento: nelle più recenti affermazioni della Corte, la decisione di revocare un provvedimento illegittimo, pur se intervenuta in un termine ragionevole, non è comunque conforme al principio di certezza del diritto ove risulti leso il legittimo affidamento del destinatario dell’atto:

La verifica della “ragionevolezza” sotto il profilo temporale si è quindi, specie di recente, resa relativamente autonoma dal principio della tutela dell’affidamento: (243).

Questo dato è significativo e permette di evidenziare che fra i vari elementi che costellano l’iter procedurale dell’autotutela, spicca senz’altro la tutela del legittimo affidamento dei destinatari di un atto legislativo o amministrativo, quale principio fondante riconosciuto dai giudici comunitari a tutela dei singoli, nonché limite primario all’esplicazione del potere revocatorio delle amministrazioni comunitarie.

Quanto ai presupposti ed ai contenuti di tale principio, le aspettative del singolo nei confronti dell’amministrazione sono legittime quando egli “sia in una situazione nella quale appare che la

condotta dell’amministrazione lo abbia indotto a concepire ragionevoli aspettative” (244).

242

CGCE, Alpha Steel/Commissione, 3 marzo 1982, causa 14/81, in Racc. I-749.

243

I criteri di valutazione della ragionevolezza del lasso di tempo entro il quale è intervenuta la revoca e l’individuazione del relativo dies a quo non sono peraltro oggetto di un apprezzamento univoco: in particolare, sotto il primo profilo la Corte ha respinto l’idea di fissare, praeter legem, un preciso termine per la revoca di provvedimenti amministrativi, analogo a quello di decadenza per l’esercizio dei relativi ricorsi amministrativi o giurisdizionali,procedendo ad una ricognizione “casistica” della ragionevolezza del tempo trascorso, anche se normalmente si è avvalsa di parametri essenzialmente oggettivi, quali la complessità della raccolta e della ponderazione degli interessi rilevanti nel procedimento di riesame del provvedimento, che incidono sui tempi della decisione revocatoria; l’atteggiamento eventualmente ostruzionistico delle parti, qualora idoneo a determinare almeno in parte il ritardo nell’adozione dell’atto di ritiro; il sopraggiungere della revoca entro un lasso di tempo inferiore al termine previsto per la presentazione di un reclamo in via amministrativa contro lo stesso atto; la presenza di un errore manifesto che non poteva essere ignorato dagli operatori interessati.

L’oggetto di tale aspettativa consiste nella stabilità della posizione soggettiva derivante dall’adozione di un dato atto amministrativo, e deriva, a sua volta, dall’affidamento circa la legittimità della disciplina provvedimentale, determinato dal comportamento dell’amministrazione e, più precisamente, dalla costante e regolare esecuzione dell’atto.

Diventa così fondante la circostanza per cui “così come nei diritti nazionali dei diversi Stati

membri, un atto amministrativo, anche se irregolare, gode in diritto comunitario di una presunzione di validità, sino a quando non sia stato annullato o ritualmente revocato dall’istituzione da cui emana” (245).

La tradizionale presunzione di legittimità del provvedimento amministrativo viene così a configurarsi non più come retaggio di un arcaico privilegio dell’amministrazione, ma, al contrario, come garanzia per gli stessi amministrati.

L’aspettativa meritevole di protezione può inoltre rafforzarsi grazie ad una prassi consolidata, al “contatto” con l’amministrazione intervenuto nel corso del procedimento ed in fase esecutiva, mentre una peculiare ipotesi di sicuro affidamento sussiste laddove l’amministrazione non abbia proceduto al ritiro del provvedimento, nonostante fosse a conoscenza di cause che ne avrebbero legittimato la caducazione. In tal caso, peraltro, deve ritenersi che il potere di revoca venga meno per acquiescenza.

Il legittimo affidamento non può invece radicarsi in atti o condotte dell'amministrazione, posti in essere successivamente all’emanazione del provvedimento oggetto di riesame, difformi dalla normativa comunitaria primaria o derivata.

Sotto altro profilo, inoltre, il “beneficiario” dell’atto non deve essersi comportato in modo incompatibile con la formazione di un affidamento legittimo, come nel caso dell’allegazione di informazioni false ed incomplete o di infrazione manifesta della normativa vigente da parte del destinatario del provvedimento.

Un’ulteriore ipotesi in cui la giurisprudenza comunitaria ha ritenuto escluso l’affidamento si manifesta quando l’interessato abbia potuto ragionevolmente prevedere la modificazione della

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La giurisprudenza sembra, peraltro, avere definito in senso più restrittivo i presupposti per la formazione del

legittimo affidamento dei dipendenti delle istituzioni e degli organi comunitari, il quale sorgerebbe esclusivamente in presenza “di assicurazioni precise fornite (al dipendente) dall’amministrazione”: tale impostazione sembra fondata sull’affermazione di una presunzione di conoscenza, da parte dei dipendenti, delle disposizione dello Statuto del personale applicabili al caso concreto, presunzione che impedirebbe, appunto, la formazione di un legittimo affidamento.

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propria posizione giuridica sulla base di elementi oggettivi, conosciuti o agevolmente conoscibili (246).

Una volta legittimamente acquisito, l’affidamento non può essere sacrificato se non in presenza di un interesse pubblico inderogabile alla revoca, e previa adeguata ponderazione degli interessi in gioco (247).

In particolare, perché la tutela delle legittime aspettative possa essere derogata, non si ritiene sufficiente la mera petizione di principio della “legalità” dell’azione amministrativa non potendo quindi bastare il mero ripristino di una situazione conforme al diritto.

Occorre, invece, un interesse di tipo ulteriore ed effettivamente sussistente nel caso concreto, che imponga la soluzione del ritiro dell’atto rispetto alla sua conservazione.

La revoca potrebbe, ad esempio, configurarsi necessaria ove la conservazione del provvedimento determinasse un’ingiustificata disparità di trattamento tra il suo destinatario e i destinatari di provvedimenti di contenuto analogo; in ogni caso, il provvedimento di secondo grado nella giurisprudenza della Corte deve motivare dettagliatamente in ordine agli specifici interessi la cui tutela implichi il ritiro dell’atto, nonché le ragioni della loro prevalenza sul legittimo affidamento dei destinatari.

Peraltro, va ricordato che, nei suoi più risalenti orientamenti, la Corte di giustizia si riservava il potere di sindacare sia l’omessa o erronea considerazione delle aspettative del singolo, sia gli errori di diritto compiuti dalle amministrazioni nel giudizio di ponderazione degli interessi, mentre gravava sul ricorrente l’onere di provare non soltanto la legittimità del suo affidamento, ma anche le ragioni della prevalenza di quest’ultimo sugli interessi pubblici posti dall’amministrazione alla base della revoca.

Un simile onere naturalmente aggravava pesantemente la tutela giurisdizionale delle aspettative legittime, consentendo all’amministrazione di giustificare le proprie ragioni anche sulla base di un genericissimo bilanciamento fra interessi pubblici e privati.

Su tale indirizzo c’è stato un netto cambiamento di rotta a partire dalla pronuncia De Compte (248), che ha adottato il cosiddetto “two step analysis approach”.

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Così, dalla casistica giurisprudenziale, possono emergere l’errore manifesto dell’amministrazione risultante dal provvedimento; l’esistenza di difficoltà di esecuzione del provvedimento, poi revocato, determinate da dubbi sulla sua legittimità, delle quali il destinatario sia stato informato dall’autorità amministrativa; la consapevolezza da parte del destinatario della natura illegittima dell’atto; l’espressa qualificazione del provvedimento come revocabile.

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In ipotesi di caducazione ex tunc di provvedimenti legittimi attributivi di posizioni di vantaggio, il legittimo

affidamento viene peraltro considerato prevalente, senza necessità di tale ponderazione, su qualsiasi interesse pubblico alla revoca.

Mutuando alcuni concetti precedentemente elaborati dalla Corte, per “contaminarli” con un’analisi propria delle giurisprudenze interne, questo tipo di analisi distingue la sussistenza del legittimo affidamento dalla verifica circa la sussistenza di eventuali interessi pubblici prevalenti.

Si vengono così a sovrapporre due distinti e successivi livelli di analisi, con riferimento ai quali la Corte di Giustizia redistribuisce gli oneri della prova tra le parti: sul ricorrente ricade esclusivamente l’onere di provare che le sue aspettative al mantenimento della posizione favorevole - derivante dall’atto annullato - siano ragionevoli e fondate su basi oggettive; una volta che ciò sia stato dimostrato, spetterà all’amministrazione convenuta provare l’esistenza di quegli interessi pubblici prevalenti che essa ha posto alla base della decisione di revoca.

La Corte si è, peraltro, riservata la facoltà di procedere d’ufficio ad accertamenti con riguardo a entrambe i livelli di analisi.

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