• Non ci sono risultati.

II. LA PATOLOGIA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO NAZIONALE PER VIOLAZIONE DEL DIRITTO

5. L’orientamento della Corte di Giustizia: la riconosciuta autonomia del sistema processuale interno

5.2 Le più recenti “conferme” del giudice comunitario

Una recente pronuncia della Corte di Giustizia (182) conferma lo spirito di indifferenza della giurisprudenza comunitaria rispetto all’organizzazione processuale interna degli Stati membri. In sede di rinvio pregiudiziale, un giudice olandese ha chiesto chiarimenti interpretativi in ordine al potere del giudice nazionale di valutare d’ufficio la compatibilità di un atto amministrativo con la Direttiva 85/511 del Consiglio - recante misure di lotta contro l’afta epizootica –, che impone agli Stati membri di usare tutti i mezzi d’indagine ufficiali, atti a confermare o escludere la presenza della malattia e a prendere tutte le misure di contrasto alla relativa diffusione.

181

Cfr. Dato G.A., cit., che evidenzia come la tematica dell’errore o incertezza cagionati dalla condotta della pubblica amministrazione rappresenti una sorta di tema “trasversale”, riscontrabile in diversi settori dell’ordinamento italiano ed in particolare affrontato dall’A.P. n. 21 del 2001, che nel trattare dell’errore scusabile ha valorizzato il profilo del dovere di cooperazione imposto dalla P.A. in base all’art. 3, comma 4 della l. 241/1990, in un’ipotesi di omessa indicazione dei termini e dell’autorità giurisdizionale cui ricorrere, nel corpo di un atto amministrativo. In senso analogo, le riflessioni sul concetto di “errore scusabile” hanno ricevuto una forte spinta dalla tematica dell’ignoranza del diritto incolpevole o scusabile, oggetto di rivoluzionarie pronunce dalla Corte Costituzionale in diritto penale (in particolare, Corte Cost. n. 364/1988).

182

Nello specifico, i ricorrenti avevano sollevato motivi attinenti alla violazione da parte dell’autorità amministrativa nazionale di alcune definizioni di carattere tecnico – sanitario, oltre che di alcuni

iter procedurali.

La Corte di Giustizia, nel ricordare che spetta ai singoli Stati membri designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali, intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario, passa a valutare se il principio di equivalenza sia rispettato nella fattispecie.

Sotto tale profilo, il collegio olandese è competente a sollevare d’ufficio motivi inerenti alla violazione delle norme di ordine pubblico, relative secondo il diritto olandese non solo ai poteri degli organi amministrativi ma anche a quelli del giudice stesso, norme che sono evidentemente alla base anche dei procedimenti interni, poiché fissano i requisiti in presenza dei quali questi ultimi possono essere innescati e le autorità competenti sono titolate a incidere su diritti e obblighi degli amministrati.

Le disposizioni della direttiva invocata non sono però, secondo la Corte sopranazionale, assimilabili a tali norme, dal momento che “non fissano né i requisiti al ricorrere dei quali possono essere

introdotti procedimenti in materia di lotta contro l’afta epizootica, né le autorità competenti, in tale contesto, a determinare la portata dei diritti e degli obblighi degli amministrati”. Non valendo

alcun tipo di equiparazione, le norme comunitarie non possono essere considerate di ordine pubblico, pertanto il giudice del rinvio non è tenuto a procedere d’ufficio al controllo di legittimità degli atti amministrativi interessati nell’ottica dei criteri di cui alla Dir. 85/511.

Quanto al principio di effettività, l’esame di una norma processuale interna della cui legittimità comunitaria si dubiti, va svolto tenendo conto della rilevanza che tale norma ha nel cuore del procedimento, nel suo svolgimento e in relazione alle sue peculiarità.

In particolare, si dovranno considerare i principi posti alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela del diritto alla difesa, il principio della certezza del diritto ed il regolare svolgimento del procedimento.

Richiamando le cause Peterbroek, Van Schijndel e Van Veen (183), la Corte fa presente come sotto il profilo della effettività sia stata già riscontrata la compatibilità comunitaria di un principio di diritto nazionale in forza del quale “il potere del giudice di sollevare motivi d’ufficio in un procedimento

interno è limitato dall’obbligo del giudice stesso di limitarsi all’oggetto della controversia e di fondare la propria decisione sui fatti sottoposti al suo esame”. Tale principio, comprensibile alla

luce del principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, non sminuisce il diritto di

183

Sentenze Peterbroeck 14 dicembre 1995, causa C-312/1993, Rac. I-4599 e Van Schijndel e van Veen, cause riunite C- 430/1993 e C-431/1993, in Racc. I-4705.

difesa, anzi garantisce il regolare svolgimento del procedimento e lo preserva da ritardi dovuti alla valutazione di motivi nuovi.

La Corte conclude che non osta al principio di effettività una norma di diritto interno che precluda al giudice interno di sollevare d’ufficio un motivo basato sulla violazione del diritto comunitario stesso, qualora l’esame di tale motivo lo costringa a soprassedere al principio dispositivo, oltretutto esulando dai confini della lite circoscritta dalle parti, e basandosi su fatti e circostanze diversi da quelli che la parte interessata alla loro applicazione ha posto alla base della propria domanda.

Non potendo quindi mettere in discussione giurisprudenza già consolidata sul punto, il giudice comunitario conclude che, avendo già avuto i ricorrenti la possibilità, nella causa nazionale, di sollevare motivi attinenti alla Direttiva in esame, né il principio di effettività, né quello di equivalenza impongono al giudice del rinvio di sollevare d’ufficio un motivo attinente alla violazione di disposizioni della normativa comunitaria da parte di un atto amministrativo.

Se dalla sentenza esaminata risulta rafforzato il principio di piena autonomia processuale degli Stati membri, a breve distanza un’altra pronuncia ha ribadito, per altri aspetti, che le peculiarità degli ordinamenti interni non possono essere mai invocate per giustificare lo Stato – e in esso la Pubblica amministrazione, per appalti aggiudicati in violazione del diritto comunitario – per lesioni inferte all’effettività del diritto comunitario.

Con pronuncia del luglio 2007, la II sezione della Corte ha esaminato un’ipotesi di aggiudicazione illegittima, perché giunta all’esito di una procedura negoziata non preceduta da pubblicazione del bando di gara, sebbene non ricorressero i presupposti della Direttiva 92/50, che consente di aggiudicare appalti mediante trattativa privata, senza bando di gara a livello comunitario.

Relativamente alla Dir. 89/665 in tema di appalti pubblici, la Corte ribadisce come, benché gli Stati membri siano autorizzati in virtù della normativa comunitaria a mantenere gli effetti di contratti conclusi in violazione delle direttive sull'aggiudicazione degli appalti pubblici, tutelando così il legittimo affidamento dei contraenti, ciò non può esimere le amministrazioni aggiudicatrici dal rispondere, verso i terzi, della violazione del diritto comunitario, successivamente alla conclusione di tali contratti (richiamando in ciò la sentenza 10 aprile 2003, Commissione/Germania, punto 39). Ne risulterebbe altrimenti inficiata la piena efficacia delle norme del Trattato sull’effettività del mercato comune.

In sostanza, se la Direttiva appalti non incide sull'applicazione dell'art. 226 TCE in tema di infrazione, essa non può neppure incidere sull'applicazione dell'art. 228 TCE, pena la riduzione della portata delle disposizioni del Trattato CE istitutive del mercato interno.

Poiché nella controversia venivano in rilievo anche i principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, si osserva che anche a voler ritenere che l'amministrazione aggiudicatrice

possa vedersi opporre il principio pacta sunt servanda e il fondamentale diritto di proprietà da parte del suo contraente in caso di risoluzione del contratto, uno Stato membro non potrebbe mai avvalersene per giustificare la mancata esecuzione di una sentenza che constati l'inadempimento ai sensi dell'art. 226 CE e sottrarsi in tal modo alla propria responsabilità di diritto comunitario.

Le particolarità di un regime di proprietà esistente in uno Stato membro non possono quindi giustificare la persistenza di un inadempimento che vada a pregiudizio della libera prestazione dei servizi; né, sotto altro profilo, si possono addurre disposizioni, prassi o situazioni dell’ordinamento interno per giustificare l'inosservanza degli obblighi risultanti dal diritto comunitario (sentenza Commissione/Italia, cit., punto 25 e giurisprudenza ivi citata).

6. L’approccio al problema nella giurisprudenza amministrativa italiana: il raccordo con i

Outline

Documenti correlati