II. LA PATOLOGIA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO NAZIONALE PER VIOLAZIONE DEL DIRITTO
4. La tesi più controversa: la disapplicazione dell’atto amministrativo difforme dal diritto comunitario.
4.1 La tesi favorevole alla disapplicazione
Fra i fautori della disapplicazione, quanti supportano la tesi monistica dell’integrazione fra gli ordinamenti, ragionando a contrario si chiedono innanzitutto perché l’anticomunitarietà dell’atto amministrativo debba essere trattata diversamente rispetto ai casi ordinari di contrarietà delle norme interne alle disposizioni dell’ordinamento nazionale (138).
Inoltre, si rileva che disapplicare norme processuali interne impositive di termini impugnatori a pena di decadenza creerebbe una pesante discriminazione in danno di quelle norme sostanziali la cui violazione va dedotta negli stretti termini di decadenza, e, di riflesso, delle posizioni incise dalla violazione di tali norme (139).
Le conseguenze di una simile lettura sono significative: l’atto amministrativo comunitariamente illegittimo non può diventare inoppugnabile, nonostante il decorso del termine decadenziale per la relativa impugnazione diretta.
Al contrario, esso sarà impugnabile senza limiti di tempo e disapplicabile dalla medesima amministrazione o nell’ambito di giudizi amministrativi contro atti connessi o conseguenziali.
Sulla formazione di tale indirizzo ha avuto un indubbio ascendente un celebre caso (140) (“sentenza
Ciola”), in cui la Corte di Giustizia ha sancito l’illegittimità comunitaria di una norma processuale
138
In senso favorevole alla dsapplicazione, fra le sporadiche pronunce di merito – significativamente risalenti e superate in seguito dall’orientamento maggioritario –, cfr. TAR Veneto, sez. I, 10 giugno 1991, n. 432, che non esige l’immediata impugnazione da parte degli interessati degli atti anticomunitari, pur se lesivi di posizioni giuridiche soggettive, poiché “potendo l’organo amministrativo competente alla sua esecuzione disapplicarlo, la concreta lesione
della posizione giuridica dedotta in causa si produce unicamente per effetto del provvedimento applicativo”; inoltre per
T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 10/05/1996, n. 253, in Tribunali Amministrativi Regionali, 1996, I, 2727, l'amministrazione è legittimata a disapplicare qualsiasi norma o atto amministrativo avente carattere generale in contrasto con la normativa comunitaria, applicando direttamente quest'ultima.
139
È facilmente ravvisabile la lesione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, privilegiandosi la tutela di alcune posizioni giuridiche piuttosto che di altre, in violazione dei principi di eguaglianza sostanziale e di effettività della difesa in giudizio.
140
CGCE, 29 aprile 1999, in causa C-224/97, “Ciola”, cit., in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 1999, 6, 1347 ss., con note di Antonioli M., op.cit., e Stigliani V., op. cit., che condivide le conclusioni della Corte, ritenute strumentali alla massima espansione del diritto comunitario; cfr. inoltre Rossolini R., Conflitto tra diritto comunitario e provvedimento
amministrativo alla luce della sentenza della Corte di Giustizia sul caso Ciola, in Il diritto comunitario e degli scambi internazionali, 1999, 4, 729 ss., che ripercorre il contrasto dottrinale e giurisprudenziale sul confronto fra procedimento
amministrativo interno e diritto comunitario: nel condividere la tesi della Corte di Giustizia, l’A. esprime delle perplessità sulla motivazione, ritenendo che la disapplicazione debba definirsi funzionale non al rispetto del diritto comunitario ma alla sua efficacia diretta; inoltre, nega che le finalità della disapplicazione dell’atto presupposto
che vieti al giudice nazionale di valutare d’ufficio la compatibilità di un provvedimento di diritto nazionale con una disposizione comunitaria, laddove quest’ultima non sia stata invocata dal singolo entro un prescritto termine di decadenza (141).
Nel rispondere ad un quesito sollevato dal Tribunale superiore amministrativo austriaco, la Corte dopo aver rilevato che nelle disposizioni di diritto interno in contrasto con la disposizione comunitaria ricadono anche disposizioni amministrative, non inclusive unicamente di norme regolamentari, ma anche di provvedimenti individuali, ha significativamente ammesso la disapplicazione dell’atto amministrativo individuale e concreto, divenuto definitivo, che si ponesse tuttavia in contrasto con il diritto comunitario.
Più precisamente, la Corte non ha statuito la generale disapplicazione provvedimentale per esigenze di effettività del diritto comunitario, ma ha disposto che “un divieto emanato anteriormente
all’adesione di uno Stato membro all’Unione europea non attraverso una norma generale ed astratta, bensì attraverso un provvedimento amministrativo individuale e concreto divenuto definitivo, che sia in contrasto con la libera prestazione di servizi, va disapplicato nella valutazione della legittimità di una ammenda irrogata per l’inosservanza di tale divieto” (142).
In dottrina si è peraltro acutamente rilevato che quanto risulta disapplicato nella fattispecie non è tanto l’ammenda, quanto l’atto amministrativo sulla cui base essa era stata adottata, pertanto il provvedimento puntuale e concreto sembra in realtà possedere i caratteri dell’atto amministrativo generale, non assistendosi ad una reale disapplicazione quanto piuttosto all’invalidazione di una sanzione, previo accertamento incidentale dell’illegittimità provvedimentale dell’atto presupposto (143).
(asseritamente mirante alla sola valutazione di legittimità dell’atto conseguente) possano salvaguardare che l'autonomia processuale degli Stati membri sui termini d’impugnazione.
141
In realtà, come si darà conto nel prosieguo, la Corte di Giustizia ha ampiamente riaperto il dibattito, ammettendo la disapplicabilità d’ufficio dell’atto amministrativo “anticomunitario”, solo laddove un analogo potere faccia capo agli organi di diritto interno, rispetto alla violazione di norme nazionali.
142
Cfr. Valaguzza S., op. cit., p. 1141, rileva del resto come la Corte, nel perseguire l’obiettivo della piena effettività dell’ordinamento comunitario, avrebbe potuto raggiungerlo facendo leva sull’interesse a ricorrere e sull’istituto dell’invalidità sopravvenuta, “considerando che l’interesse a ricorrere contro l’illegittimità del divieto previsto dalla
normativa nazionale si sarebbe potuto computare solo dal momento in cui la sanzione è stata irrogata e non in un momento antecedente ad esso, per carenza di lesività concreta del divieto medesimo, nonostante la sua incompatibilità con il diritto comunitario della libertà di circolazione delle persone si fosse già consumata”.
143
Nel caso specifico, il signor Ciola, amministratore di una società di noleggio imbarcazioni, prendeva in locazione taluni terreni siti nella zona litoranea del lago di Costanza, ottenendo l’autorizzazione dalle autorità austriache per l’allestimento di 200 posti per imbarcazioni, in un’area dove però, in base a quanto stabilito dalle medesime autorità, potevano trovare al massimo ricovero 60 imbarcazioni i cui proprietari fossero residenti all’estero. L’organo
Le peculiari conclusioni dei giudici comunitari poggiano sulla considerazione che la tutela giurisprudenziale spettante ai singoli in virtù delle norme comunitarie direttamente efficaci non può dipendere dalla “natura” delle disposizioni di diritto interno, contrastanti con il diritto comunitario (144).
Alle riflessioni suscitate dal caso “Ciola” si mostrano quindi particolarmente sensibili i sostenitori della disapplicazione, i quali premono per un’estensione generalizzata dell’istituto a tutte le ipotesi di contrasto con il diritto comunitario, in nome di superiori esigenze di coerenza con l’ordine comunitario.
Si osserva, in tal senso, che se è indifferente l’articolazione interna dei poteri statali, deve esserlo anche la forma degli atti lesivi del diritto comunitario, non rilevando l’autorità che li abbia posti in essere. Pertanto, non ha importanza la veste attribuita dalla disciplina interna ad una data materia, purché ciò non incida sull’efficacia delle norme comunitarie nel diritto interno: da ciò si trae l’ulteriore corollario per cui non si può negare tutela al singolo che pretenda di esercitare un diritto discendente da norme comunitarie immediatamente applicabili, a causa della particolare natura (parafrasando il caso Peterbroeck) delle disposizioni di diritto interno che ne ostacolino il godimento, siano esse cioè di stampo normativo o amministrativo.
Lo strumento della disapplicazione potrebbe così rivolgersi non ai giudici rispetto a fonti normative, ma alla stessa autorità amministrativa rispetto a provvedimenti puntiformi, suscettibili di rimozione dall’ordinamento ove contrastanti col diritto sovranazionale.
Del resto, una delle notazioni più forti della tesi pro disapplicazione è il rischio di creare una sorta di “gerarchia alla rovescia” delle fonti nel nostro sistema, dato che le disposizioni di legge si presterebbero ad una disapplicazione incondizionata, mentre gli atti amministrativi lo sarebbero solo in ipotesi di tempestiva impugnazione.
Si giungerebbe cioè al paradosso di una capacità di resistenza degli atti amministrativi maggiore rispetto a quella delle stesse fonti normative, “cedevoli ogni qualvolta se ne prospetti
amministrativo incaricato del controllo di legalità degli atti dell’amministrazione dichiarava quindi colpevole il signor Ciola (con comminatoria di sanzione amministrativa) di aver concesso in locazione due posti barca a proprietari di imbarcazioni residenti all’estero, nonostante il contingente di 60 posti fosse già assegnato.
144
Sul punto è significativa la pronuncia Peterbroek del 1995 in cui già si rileva che “il diritto comunitario osta
all’applicazione di una norma processuale nazionale che, a condizioni analoghe a quelle del procedimento di che trattasi nella causa davanti al giudice a quo, vieta al giudice nazionale, adito nell’ambito della sua competenza, di valutare d’ufficio la compatibilità di un provvedimento di diritto nazionale con una disposizione comunitaria, quando quest’ultima non sia stata invocata dal singolo entro un determinato termine”(CGCE, sent. 14 dicembre 1995, causa C-
312/93, cit., in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 1996, 688, con nota di Barbieri E., Poteri del giudice amministrativo e diritto
comunitario, 692 ss., e Russo E., E’ sempre “diffuso” il controllo il controllo di conformità al diritto comunitario ad opera del giudice nazionale? 701 ss.)
un’anticomunitarietà”: si assisterebbe ad una “inversione del valore giuridico degli atti giuridici nazionali, non giustificata da nessun convincente argomento generale” (145).
A rinforzare tale assunto, si evidenzia che il principio di disapplicazione per contrasto con il diritto comunitario ha per gli atti amministrativi una valenza molto più stringente che non per gli atti normativi: per questi ultimi, la disapplicazione – o meglio, non applicazione rispetto al caso specifico - , lascia ferma l’efficacia per ogni caso distinto da quello esaminato, che tale si conserva anche nella percezione dei suoi destinatari.
Per rimuovere realmente la violazione del diritto comunitario, sarebbe quindi necessaria l’espressa abrogazione della norma anticomunitaria.
Al contrario, per gli atti amministrativi nazionali, che in via naturale sono diretti a disciplinare particolari fattispecie, la disapplicazione produce effetti ben più pesanti, eliminando in nuce l’incompatibilità, così da rendere l’annullamento “un incombente solo formale” (146).
Si osserva inoltre che in determinati casi la mera possibilità dell’annullamento giudiziale non si sposa con la più netta esigenza di disapplicare le disposizioni in contrasto con precetti comunitari direttamente applicabili. Al contrario, può accadere che nessuno dei soggetti potenzialmente lesi da un atto anticomunitario possa ritenere utile esperire le vie processuali del ricorso.
Infine, i fautori della disapplicazione fanno leva sullo stesso fondamento costituzionale dei poteri del giudice e sulla ratio della “soggezione” del giudice alla legge, quale montesquieuana “bouche
de la loi”: una simile sudditanza alla legge imporrebbe di trovare sempre gli strumenti adatti a dare
tutela ai singoli e a ricomporre le fratture del sistema, pur nell’osservanza stretta della legge.
In nome di questo imperativo di legalità, si suggerisce quindi una disapplicazione ad ampio “residuale” ma a più ampio spettro, al di là dell’ambito storico e letterale nel quale è “confinato” l’istituto della disapplicazione di cui agli artt. 2, 4 e 5, l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, c.d. Legge di abolizione del contenzioso amministrativo, di seguito anche “LAC” ( 147).
145
Così Chiti M. P., Diritto amministrativo europeo, Giuffré, Milano, 2003, 356 ss.
146
Caringella F., Garofoli R., cit.
147
A norma dell’art. 4, LAC, “ Quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto
dell’Autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell’atto stesso in relazione all’oggetto dedotto in giudizio. L’atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali si confermeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso”. Ai
sensi del citato art. 5, “In questo, come in ogni altro caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi
ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi”. Per una ricostruzione generale del potere di
disapplicazione del giudice amministrativo, Giampiccolo G., Pellegrini C., La disapplicazione tra tutela dei diritti e
La disapplicazione sarebbe così invocabile da chiunque e d’ufficio, in senso sia migliorativo sia peggiorativo, in spregio o a favore di un diritto soggettivo, ogniqualvolta non soccorrano altri strumenti apprestati dall’ordinamento per tutelare la decisione del giudice da presupposti illegittimi (148).
Tale soluzione è interessante, perché a fronte della classica diatriba fra annullabilità e nullità (che pare peraltro nettamente superata a favore della prima), suggerisce l’obsolescenza di un criterio distintivo fra i due regimi: si dovrebbe, in senso contrario, propendere per un “potere affatto
originale, che non si può recepire isolatamente rispetto ai suoi corollari, tra i quali quello della vanificazione della base normativa degli atti amministrativi contrastanti con il diritto comunitario e, quindi, della loro inefficacia e disapplicazione anche da parte della P.A.” (149).
4.2 La tesi contraria alla disapplicazione. Cenni alle sue ragioni storiche e giuridiche nel sistema