II. IL REGIME DI TUTELA AVVERSO L’ILLEGITTIMITÀ COMUNITARIA DEGLI ATT
4. I principi guida nella giurisprudenza della Corte di Giustizia sul potere di ritiro degli atti amministrat
Il potere caducatorio degli atti amministrativi viziati da illegittimità comunitaria esige una ponderazione ancor più puntuale dei contrapposti interessi in gioco.
La rimozione dell’atto amministrativo deve sempre confrontarsi con la tutela dell’affidamento ingenerato dall’atto che si intenda rimuovere, e con la salvaguardia delle posizioni consolidate, secondo principi attentamente osservati anche in sede di amministrazione comunitaria diretta (255).
255
In sede comunitaria si richiama l’opportunità di ponderare la rilevanza dell’interesse alla rimozione dell’atto anche con la tutela delle ragioni di quanti, incisi da un atto limitativo della propria sfera giuridica, trarrebbero dal suo annullamento una indubbia posizione di vantaggio.
L’affidamento (256), o legitimate expectation ha trovato proprio nella giurisprudenza comunitaria la sua consacrazione, e configura un primario principio di civiltà giuridica, destinato a dar prova di sé ogni qualvolta l’autorità ritorni sull’esercizio del proprio potere (257).
Di tale concetto si possono cogliere un substrato soggettivo, dato dalla fiducia che permanga la situazione determinata da un atto o comportamento autoritativo, maturata in capo al destinatario, ed uno oggettivo, inteso come aspettativa a che l’amministrazione si attenga a canoni di correttezza nel suo agire, canoni che le impongono del resto, qualora intendesse ritornare sulle proprie decisioni, di tenere conto delle posizioni soggettive altrui, da essa stessa create.
Infine, si può apprezzare un fattore “tempo”, che riveste in materia un ruolo di primo piano: limite insuperabile dell’affidamento di fronte al “diritto di pentimento” dell’amministrazione è infatti il consolidamento della posizione di vantaggio, in ragione del decorso del tempo.
Un interessante caso in cui affidamento comunitario e nazionale si sono “sfiorati” nella giurisprudenza della Corte è in causa C-5/89, sentenza del 20 settembre 1990, laddove si riconosce che uno Stato membro – le cui autorità abbiano concesso un aiuto in deroga a precise norme procedurali – non può invocare il legittimo affidamento dei beneficiari per sottrarsi all’obbligo, intimatogli con decisione della Commissione, di ripetere l’aiuto comunitario invalido .
Di recente, la Corte ha sancito che l’illegittimità comunitaria di un atto amministrativo nazionale, pur se definitivo, esige che le autorità amministrative lo rimuovano con sollecitudine, specie se “non vi sia stata lesione dell’affidamento dei terzi in ordine alla certezza ed alla stabilità dell’atto
divenuto inoppugnabile”(258).
256
Per un’introduzione generale alla nozione, cfr. Sacco R., voce in Enc. Dir pubbl., Utet, Torino, 660.
257
In. CGCE, sent. August Toepfer c. Commissione (fra i primi riconoscimenti in materia della Commissione),3 maggio
1978, causa C-112/77, in Racc. I-1019 “il principio della tutela del legittimo affidamento fa parte dell’ordinamento giuridico comunitario”. Nella più risalente pronuncia in materia, Algera, 12 luglio 1957, cause riunite n. 7/56 e da 3 a 7/57, in Racc. I-79 (part. 111-113), la Corte già indicava quale limite al potere amministrativo di annullamento in autotutela il rispetto da parte dell’amministrazione di un termine ragionevole, cioè sufficientemente breve da non far insorgere nel privato un affidamento circa la conservazione della situazione acquisita; in sentenze di poco successive, (cfr. Snupat, 22 marzo 1961, cause riunite C- 42-49/59, part. par. 99; Hoogovens, 12 luglio 1962, causa C- 14/61), si è posto l’accento sul necessario contemperamento degli interessi in gioco, poiché “il principio della certezza del diritto,
per quanto importante, non va applicato in modo assoluto, ma in concomitanza col principio di legittimità; la decisione se l'uno o l'altro di detti principi debba prevalere nel caso singolo dipende dal confronto fra l'interesse pubblico e gli interessi privati in contrasto”.
Sulla tutela procedimentale delle posizioni individuali in diritto comunitario, cfr. Barbagallo, I principi generali
dell’ordinamento Comunitario e la tutela degli interessati del procedimento amministrativo: Ordinamenti aperti e comunicanti e ritorno del diritto comune Europeo, in Quaderni del Consiglio di Stato, Attività amministrativa e tutela degli interessati. L’ influenza del diritto comunitario, Giappichelli, Torino, 1997, 95 ss.
258
Inoltre, interrogandosi sul corretto esercizio del potere di riesame e suoi specifici rapporti con la tutela dell’affidamento, ha rilevato che i suoi presupposti vanno inquadrati nella più complessa questione dei rapporti fra autorità e libertà, così come tradizionalmente intesi nel nostro ordinamento (259).
In questa sede appare quindi utile svolgere un rapido parallelo con l’analogo istituto dell’autotutela esplicata dalle istituzioni comunitarie sui propri atti, esaminando il ruolo attribuito dalla giurisprudenza comunitaria alla tutela dell’affidamento.
La rilevanza di un simile principio, infatti, si evince proprio dallo spazio che sono tenute a conferirgli gli organi comunitari, e che, precipuamente, gli è riservato dalla Commissione europea, in sede di revoca dei propri atti.
Da un’analisi comparata con il diritto italiano, si può trarre l’impressione di un diverso approccio di fondo alla materia: se nell’ordinamento interno si dà maggior risalto all’apparenza di legittimità dell’atto favorevole e al fattore “tempo”, la giurisprudenza comunitaria sembra attribuire un maggior peso alle scorrettezze ed alla condotta negativa dell’amministrazione.
In altri termini, in ambito comunitario la tutela delle posizioni consolidate di cittadini ed imprese tende a porsi più che come generico principio d’azione, come un vero e proprio criterio di conformità, quindi come un parametro giuridico, alla cui stregua valutare la legittimità dell’atto di ritiro.
Questo valore si registra principalmente in materia di mercato e concorrenza, dove i giudici comunitari richiedono l’osservanza di alcuni parametri da contemperare con i diritti procedurali delle imprese: in particolare, per poter esercitare una revoca ex tunc, le istituzioni devono rispettare alcuni parametri definiti di “conformità”, veri criteri-guida tratti dai principi generali di diritto comunitario, volti a saggiare la legittimità del potere di riesame.
I due protagonisti principali di questo processo di rivalutazione sono, da un lato, il ripristino della legalità violata, dall’altro la certezza dei rapporti nell’ambito del mercato comune, obiettivo quest’ultimo assorbente, per il quale la Commissione è disposta a spendere il suo potere di riesame anche in assenza di una specifica legittimazione di fonte normativa.
259
Così Veronelli M., I poteri di revoca dell’amministrazione comunitaria in materia di concentrazioni, in Riv. Trim.
Dir. Pubbl. 2007, 2, 479 ss., che sul tradizionale paradigma statuale richiama Giannini M.S., Lezioni di diritto amministrativo, Giuffré, Milano, 1950, 71, e sulla non pacificità del tema, Mattarella B.G., L’imperatività del provvedimento amministrativo. Saggio critico, Padova, Cedam, 2000. Lo spunto di riflessione deriva da Tribunale di I
Nondimeno, ad essi si affiancano la natura del provvedimento e circostanze contingenti, come la condotta negligente o l’affidamento, incolpevole o meno, dei privati (260).
Il giudice comunitario tende a conferire rilevanza autonoma a tali parametri, dando credito all’affidamento del privato con analisi disgiunta rispetto alla verifica degli altri due termini (legittimità e ragionevolezza del termine).
In definitiva, pur contemperandosi con altri valori, la tutela dell’affidamento rileva come obiettivo “in sé”, come un valore assoluto nella contrapposizione all’interesse pubblico.
5. … il principio di legalità …
L’incidenza del diritto comunitario sui sistemi nazionali non ha lasciato indenne neppure il principio basilare della legalità dell’azione amministrativa.
I cospicui poteri di cui dispone la pubblica amministrazione, pur se coercitivi rispetto alla sfera giuridica dei privati, sono fortemente condizionati dal vincolo del “fine”, inteso come cura dell’interesse pubblico specificamente proprio: i contenuti di tale vincolo si sono enormemente arricchiti alla luce del principio di legalità comunitaria, e con essi, in quanto manifestazione di un “potere”, deve misurarsi anche l’esercizio dell’autotutela.
Alla luce di quest’ulteriore parametro andrà quindi valutata la sussistenza dell’interesse pubblico all’annullamento d’ufficio dell’atto.
In una recente pronuncia la Corte di Giustizia ha ravvisato il parametro diretto del giudizio di legittimità nel principio della cosiddetta “legalità comunitaria” (261): basta il contrasto con essa (sub
specie di Direttiva relativa ai costi amministrativi sostenuti per rilascio, gestione, controllo ed
260
Così, nella revoca di un’autorizzazione, fondata su errore di diritto per valutazione di talune clausole -erroneamente
considerate accessorie, quindi valutate compatibili con l’ordinamento – il provvedimento di secondo grado, pur se inserito nominalmente dalla Commissione come un’integrazione della motivazione della precedente decisione di autorizzazione alla concentrazione, viene ad incidere direttamente sul dispositivo dell’atto di primo grado, precludendo in concreto la possibilità di realizzare l’operazione di concentrazione nel mercato.
261
In Arcor AG & Co. KG c. Bundesrepublik Deutschland, 19 settembre 2006, cause riunite C- 392-422/04, cit., l’illegittimità comunitaria di un atto amministrativo nazionale, ancorché definitivo, impone ai giudici e alle autorità statali di utilizzare gli stessi strumenti presenti nel loro ordinamento per rimuoverlo, specie se non è sacrificato l’affidamento dei terzi sulla certezza dell’atto divenuto inoppugnabile; in massima uff. “allorché, in applicazione di
norme di diritto nazionale, l’amministrazione è tenuta a ritirare una propria decisione divenuta definitiva … manifestamente incompatibile con il diritto interno, identico obbligo deve sussistere ove la manifesta incompatibilità sia con il diritto comunitario.”
esecuzione delle licenze individuali di telecomunicazioni), affinché i provvedimenti amministrativi, anche se definitivi perché non opposti, siano “manifestamente illegittimi”.
La pronuncia è significativa nella misura in cui dà per scontata la piena integrazione fra ordinamento nazionale e sovranazionale, consentendo di individuare un ulteriore criterio di giudizio sull’azione amministrativa, dato dalla cosiddetta “legalità comunitaria”.
In ciò la Corte redarguisce il giudice del rinvio tedesco, che fonda la sua richiesta interpretativa sul presupposto contrario della separatezza degli ordinamenti giuridici: questa impostazione è tradita da una sua affermazione, in base alla quale, applicando il diritto tedesco, dovrebbe probabilmente pronunciarsi in un modo differente se invece applicasse le norme del diritto comunitario.
Il giudice comunitario perviene ad un’applicazione strumentale sia del diritto che delle amministrazioni nazionali, data l’assenza, in sede sovranazionale, di strumenti diretti di tutela delle imprese.
Invocando il principio di leale cooperazione, la Corte piega un istituto di diritto interno, consistente nel ritiro di una atto inoppugnabile, possibile per illegittimità manifesta, alla realizzazione della normativa comunitaria ed al pieno ripristino della legalità violata.
Come rilevato, essa rimuove gli ostacoli frapposti all’integrazione fra ordinamento comunitario e ordinamento interno “con una giurisprudenza dai significativi riflessi di teoria generale. Essa
sottende una configurazione dinamica dell’ordinamento giuridico europeo, che, da un lato spezza la staticità dell’approccio dualista, dall’altro pone il monismo non come un dato ma come un risultato” (262).
6. … il principio di economicità. TAR Sicilia, 28 settembre 2007 n. 2047, sez. II…
Come ulteriore linea-guida del potere di riesame si appalesa il principio di economicità, specialmente quando vengano in rilievo atti endoprocedimentali: occorre infatti evitare, in ossequio a tale principio, che un atto illegittimo possa suscitare l’illegittimità derivata del provvedimento conclusivo del procedimento principale, con tutte le prevedibili ricadute in termini di ampliamento del contenzioso.
262
Saltari L., La legalità comunitaria prevale sulla certezza (nazionale) del diritto, nota a CGCE, cause riunite C-392- 422/04, cit.,in Giorn. Dir. Amm., 2007, 5, p. 483. Il significativo risultato cui perviene la pronuncia in rassegna, in nome del primato e del valore della legalità in diritto comunitario, è che vanno restituite le somme versate all’amministrazione da imprese di telecomunicazioni per l’ottenimento di licenze individuali, se il computo dei «diritti amministrativi» contrasta col parametro normativo sovranazionale. Ciò anche se tali imprese non avevano fatto opposizione alle misure individuali di liquidazione, avendole così rese definitive.
Tali considerazioni sono tanto più valide in ipotesi di annullamento d’ufficio di provvedimenti amministrativi incidenti su atti negoziali.
Non a caso, frequenti casi di violazioni in via amministrativa del diritto comunitario sono “perpetrate” da bandi di gara con clausole viziate, in cui l’iter procedimentale sfoci nell’approvazione di un contratto.
Appaiono inoltre d’interesse, in materia di autotutela, gli spunti rintracciabili nelle leggi finanziarie che si sono succedute negli ultimi anni.
Fra queste, ad esempio, la legge finanziaria del 2005 ha posto regole speciali per conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche: in tale ottica, l’amministrazione pubblica può annullare provvedimenti illegittimi “anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso”, precisandosi che laddove l’annullamento riguardi provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati, si dovranno tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante.
In tale prospettiva di economicità ed efficienza, si tratterà di verificare se l’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione risponda – effettivamente – allo scopo perseguito dalla norma, cioè quello del maggior risparmio ovvero minore spesa per l’amministrazione: sembra in linea con questo spirito, oltre che ragionevole e “proporzionato” con il principio di buon andamento, che, in ipotesi, l’annullamento sia ammissibile solo se al venir meno dell’aggiudicazione illegittima segua la caducazione del contratto già stipulato, dato che, altrimenti, si avrebbe non un risparmio bensì una duplicazione di oneri per l’amministrazione pubblica (263).
I punti di contatto fra autotutela e rispetto dell’economicità, intesa come paradigma di azione amministrativa, sono stati di recente rilevati in una pronuncia del TAR Sicilia, n. 2047/2007 (264). Il Collegio siciliano ha ritenuto che nelle valutazioni proprie dell’autotutela, al cospetto del vizio di illegittimità comunitaria, l’interesse pubblico specifico debba connotarsi anche in relazione
263
cfr. TAR Calabria, Catanzaro, 29 marzo 2007 n. 279; il Dipartimento della funzione pubblica nella Direttiva in
materia di annullamento d’ufficio di provvedimenti illegittimi, ai sensi dell’articolo 1, comma 136, della legge 30.12.2004, n. 311 e dell’articolo 21-nonies della legge 7.8.1990, n. 241, come introdotto dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15 ha chiarito che tale misura si applica “esclusivamente in casi in cui l’atto di annullamento rinvenga il suo fondamento nella finalità ex lege di interesse pubblico di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche”.
264
TAR Sicilia Palermo, sez. II, 28 settembre 2007, n. 2047, (C. e altro c. Reg. Siciliana, Assessorato della Cooperazione del Commercio dell'Artigianato e della Pesca, Assessorato della Cooperazione del Commercio dell'Artigianato e della Pesca della Regione Siciliana - Dipartimento Regionale della Pesca), in Foro Amm. TAR, 2007,
all’esigenza di evitare che l’azione amministrativa anticomunitaria possa produrre effetti economici pregiudizievoli per la collettività territoriale di riferimento.
L’obiettivo è dunque prevenire le conseguenze pregiudizievoli di un possibile esercizio dell’azione di rivalsa da parte dello Stato, responsabile sul piano internazionale dell’inadempimento regionale degli obblighi comunitari, ai sensi dell'art. 1, comma 1215, l. 27 dicembre 2006 n. 296.
La vicenda processuale scaturisce dall’annullamento in autotutela di un decreto regionale – che aveva ammesso ai contributi regionali alcuni progetti di costruzione di nuove navi -, a causa del rilevato contrasto con una precedente decisione vincolante della Commissione europea e con una norma di un regolamento comunitario.
Il ricorso contro l’atto di ritiro viene rigettato, pur in presenza dell’obiettivo pregiudizio subito dal ricorrente. Il TAR riconosce, infatti, che il provvedimento di secondo grado non impedisce a questi di far fronte alle conseguenze pregiudizievoli derivanti dagli impegni assunti sulla base della inclusione nella graduatoria regionale - poi annullata in autotutela -, ben potendo il ricorrente invocare la tutela per equivalente, non venendo peraltro in rilievo profili afferenti alla pregiudiziale amministrativa.
L’atto di ritiro impugnato era motivato dal fatto che la Direzione Generale Pesca della Commissione europea aveva espresso parere negativo all’erogazione dei finanziamenti comunitari, contrastando essi con una precedente decisione vincolante della medesima Commissione, che aveva fissato il termine ultimo per l’ammissione al finanziamento delle nuove costruzioni; l’iniziativa della Regione Sicilia poteva quindi essere preordinata a eludere, nei fatti, il disposto di una normativa comunitaria direttamente applicabile e sulla base di tali elementi il provvedimento di secondo grado appariva non solo legittimo, ma addirittura dovuto, alla stregua dell’obbligo di cooperazione gravante sulle pubbliche amministrazioni nazionali in forza dell’art. 10 TCE.
E’ significativo in questo contesto il richiamo alla più volte esaminata Kühne & Heitz.
Peraltro, in considerazione degli irrinunciabili obiettivi di pubblico interesse che permeano di sé l’autotutela, l’esigenza di economicità non può essere superata da argomentazioni di tipo né sostanziale, né procedurale (ai sensi dell’art. 21 – octies della legge 241/1990), volte a richiamare i superiori limiti all’esercizio dell’attività discrezionale, dato che il provvedimento impugnato di secondo grado, rimuovendo un contrasto con una fonte comunitaria, aveva di per sé “l’unico
contenuto dispositivo compatibile con l’ordinamento”.
La parte d’interesse della sentenza si riferisce anche al tipo di tutela che possa essere accordato al ricorrente, senza che questo torni a casa a mani vuote, non avendo ottenuto la tutela primaria di tipo demolitorio – caducatorio.
Si afferma infatti che è salva, in sostanza, la possibilità di fronteggiare le conseguenze negative derivanti dagli impegni assunti sul presupposto dell’inclusione nella graduatoria annullata con il provvedimento di autotutela, “altre essendo le forme di tutela riconosciute dalla giurisprudenza
all’interessato nel caso di comportamento affidante dell’amministrazione che si dimostri non sufficientemente consapevole degli obiettivi ostacoli normativi all’erogazione dell’utilità prospettata, (ovvero se ne dimostri consapevole ed anzi proprio per questo intenda comunque perseguire i propri obiettivi di politica economica)”.
In casi analoghi, la giurisprudenza riconosce pacificamente la possibilità di accordare tutela per equivalente pur al di fuori di una dichiarazione di illegittimità provvedimentale, “ogniqualvolta la
ragione della c.d. pregiudiziale amministrativa venga meno, pur a fronte di pregiudizio causato nell’esercizio della funzione – e dunque, in sede di esplicazione di potere autoritativo – in quanto il veicolo di lesione non sia rappresentato dal provvedimento, in sé formalmente legittimo, ma dal precedente comportamento affidante – oppure inerte – dell’amministrazione, nella misura in cui risulti contrario al canone di buona fede” (265).
L’attenzione dedicata al principio di economicità, nell’ambito del riesame amministrativo, induce ad una riflessione sulle conseguenze immediate dell’autotutela, che attengono principalmente alla quantificazione dell’indennizzo in favore del singolo leso.
In presenza di un vizio di illegittimità comunitaria, non sembrano invocabili i criteri applicabili in tema di pregiudizio da atto lecito: in questo caso, infatti, l’indennizzo misurerebbe meno del risarcimento, coincidendo con il solo danno emergente.
Diverso ancora sarebbe il discorso per una revoca illegittima, in cui il privato potrebbe invece vantare una pretesa risarcitoria comprensiva tanto del danno emergente, quanto del lucro cessante. Diversamente opinando, si produrrebbe un’irragionevole sovrapposizione tra indennizzo e risarcimento, anche quando, per conseguire il primo, il privato avrebbe interesse a far valere la legittimità della revoca, non già la relativa illegittimità, la cui deduzione innescherebbe il meccanismo risarcitorio, con conseguente onere di provare tutti gli elementi dell’art. 2043 c.c. (la colpa della pubblica amministrazione, il danno ingiusto ed il nesso causale fra revoca illegittima e danno).
265
Cfr. in tema di responsabilità contrattuale, Cons. Stato, sez. IV, 19 marzo 2003 n. 1457, TAR Lombardia, 2 ottobre 2003, n. 4503; TAR Puglia Lecce I, 8 luglio 2004 n. 4921; per la fattispecie di danno da ritardo, Cons. Stato sez. V, 18 gennaio 2006, n. 125; sez. VI 18 giugno 2002, n. 3338 che richiama sez. IV, 1 febbraio 2002, n. 952; in senso contrario TAR Puglia Bari II, 13 gennaio 2005 n. 56. Inoltre, sull’obbligo per la pubblica amministrazione di comportarsi sempre in buona fede anche al di fuori della materia contrattuale propriamente intesa, cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2003 n. 32.
Si rileva del resto che secondo diversa lettura il legislatore non distingue fra revoca legittima o illegittima, e che si debba in ogni caso fare applicazione dell’art. 1223 c.c..
Sulla questione è intervenuto il d.l. 31 gennaio 2007, n. 7 (conv. con modificazioni, in l. 2 aprile 2007, n. 40, che ha completato la disciplina della legge di riforma sul procedimento, lacunosa nella parte della quantificazione dell’indennizzo, attraverso l’inserimento di un comma 1-bis nell’art. 21-
quinquies.
La disposizione in esame ora parametra l’indennizzo per revoca di atto amministrativo incidente su rapporti negoziali al solo danno emergente (escludendo dunque il lucro cessante), e specifica che il relativo ammontare deve commisurarsi all’affidamento riposto dal privato sull'atto revocato (266).