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II. LA PATOLOGIA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO NAZIONALE PER VIOLAZIONE DEL DIRITTO

3. La categoria dell’invalidità del provvedimento anticomunitario Introduzione ai modelli ricostruttivi e

3.1. Lo schema dell’annullabilità ed i suoi profili applicativi

Nell’opera di “selezione” dei vizi che colpiscono i provvedimenti amministrativi contrari al diritto comunitario, ha notevoli ricadute applicative l’accoglimento o meno del modello monistico dei rapporti fra ordinamento interno e comunitario.

La tesi in questione è oggi, del resto, assolutamente consolidata, e dai suoi assunti muove il presente lavoro.

In particolare, “incastrando” le previsioni di cui agli artt. 1, comma 1-bis, 21-secties e 21 – octies, della legge sul procedimento amministrativo, si otterrebbe il seguente quadro: l’azione amministrativa deve conformarsi ai principi dell’ordinamento comunitario; il vizio di illegittimità comunitaria non è espressamente contemplato fra le cause tassative di nullità; il regime di annullabilità in diritto amministrativo è ricondotto, in via generale, al vizio di violazione di legge. In altri termini, la tesi della integrazione fra ordinamenti, nell’equiparare le fonti cui soggiace l’azione amministrativa (interne e comunitarie) fa discendere dalla loro violazione le medesime conseguenze (121).

120

Cfr. Pignatelli N., op. cit, cfr. 3639 ss.

121

Così Cons. Stato, sez. IV, 21 febbraio 2005 n. 579, ha ritenuto in contrasto “diretto” con le norme comunitarie sulla libera circolazione e non discriminazione dei lavoratori nel territorio dell’Unione (diretto parametro di legalità dell’atto nazionale) la previsione di un bando di concorso limitativo dell’accesso alla procedura ai soli cittadini italiani con conseguente regime ordinario di illegittimità-annullabilità. In particolare per il Supremo consesso di giustizia amministrativa,“non può sostenersi che, se oggetto di disapplicazione può essere l’atto normativo, a fortiori, se

anticomunitario, deve essere sottoposto al medesimo regime l’atto di natura amministrativa, sotto pena di inversione del valore giuridico degli atti nazionali. E’ vero, al contrario, che, una volta che la norma comunitaria sia entrata a fare parte integrante dell’ordinamento interno, essa gode del medesimo regime di illegittimità-legittimità degli atti o conformi alle altre disposizioni dell’ordinamento nazionale”.

In sostanza, l’equiparazione di atti normativi ed amministrativi rispetto alla violazione comporta che l’esecutivo, in qualità di componente fondamentale dell’apparato statale, sia chiamato a garantire l’effettiva applicazione di tutte le previsioni normative.

Il diritto comunitario, quindi, una volta entrato a far parte integrante del sistema delle fonti interne, costituisce un paradigma di legittimità dell’atto amministrativo nazionale, la cui lesione ricadrà in quell’ampia nozione di “violazione di legge” che costituisce causa di annullabilità del provvedimento amministrativo (in base, evidentemente, al disposto di cui all’art. 21 – octies).

In ogni caso, tale assunto deve fare i conti con la considerazione che le norme attributive del potere amministrativo di regola vengono adottate a livello nazionale, poiché difficilmente in sede sovranazionale il legislatore comunitario statuisce sulla ripartizione delle competenze e delle potestà amministrative.

Ricomponendo le tessere del mosaico, aderendo all’integrazione dei due ordini di fonti normative, e concludendo che il diritto di matrice comunitaria convive col sistema delle fonti comuni, dottrina e giurisprudenza dominanti assumono che la lesione del diritto comunitario da parte degli atti amministrativi produca conseguenze analoghe alla violazione del diritto interno, dovendo quindi inquadrarsi negli schemi della invalidità – annullabilità.

Si ritiene così che il provvedimento “anticomunitario” sia affetto non da carenza di potere, bensì da cattivo uso del potere, implicante la semplice illegittimità del provvedimento stesso e, conseguentemente, la sua annullabilità, con tutte le conseguenze del caso, a livello processuale e probatorio.

Di tale regime, infatti, si fanno valere “onori ed oneri”, sotto il profilo della tempestiva impugnazione: la parte interessata dovrà far valere l’invalidità nella competente sede giurisdizionale o giustiziale, entro i prescritti termini di decadenza, con la conseguenza che si dovrà ritenere sottratta al potere del giudice amministrativo, senza limiti di tempo, la disapplicazione di un atto amministrativo a contenuto non regolamentare (tipico caso integrato da una clausola o da un intero bando di gara o di concorso, la cui natura non normativa è ormai riconosciuta unanimemente in giurisprudenza e dottrina).

Del resto, un argomento a favore della tesi dell’invalidità-annullabilità fa leva proprio su considerazioni di natura processuale, in particolare sulla circostanza che la Corte di Giustizia ha ritenuto compatibile il regime di decadenza, cui soggiace l'azione di annullamento dell’atto illegittimo, con la tutela delle posizioni giuridiche conferite dall’ordinamento comunitario (122).

Semmai, a parità di contrasto con le fonti comunitarie, una distinzione d’interesse fra atti normativi e provvedimenti amministrativi potrebbe essere data dalla circostanza che nel primo caso resterebbe in piedi anche la responsabilità innanzi alle Autorità comunitarie, potendo la Commissione promuovere ricorso per infrazione.

122

CGCE, sentenza “Ciola”, 29 aprile 1999, causa C-224/97, in Racc.1999, p. 2517; sentenza 18 giugno 2002 causa C- 92/00, in Racc. I-5553; sentenza “Santex” 27 febbraio 2003, causa C-327/2000, in Racc.I-1877, resa su ord. TAR Lombardia, Milano, 8 agosto 2000, n. 234.

A tali riflessioni si è pienamente conformato il Supremo Consesso di giustizia amministrativa italiana (123), del resto già propenso alla tesi dell’ordinario regime di annullabilità.

Se la soluzione dell’annullabilità deve ritenersi più appagante per i suoi aspetti di pragmatismo, bisogna però considerare che il “tipo” di illegittimità dell'atto amministrativo varia a seconda del rango della norma comunitaria violata.

Nell’ipotesi di violazione di regolamenti e direttive auto-esecutive, l’annullabilità si ritiene configurata sotto il profilo della violazione di legge.

Analogo apprezzamento non può farsi invece per la violazione di direttive non “self-executing”, dovendosi ritenere che la mancata osservanza di tali fonti, suscettibili di incanalare o frenare l'esercizio della discrezionalità amministrativa, può cogliersi sotto il diverso profilo dell'eccesso di potere (124).

Infatti, la mancata attuazione in sede nazionale della norma sovraordinata impedirebbe all’amministrazione nazionale di disapplicare la norma interna, benché costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 11 e 117 della Costituzione, e soggetta al sindacato del Giudice delle leggi.

Al contrario, per il consolidato orientamento della Corte di Giustizia gli organi amministrativi nazionali sono tenuti, per quanto possibile, ad applicare la norma interna in misura conforme alla direttiva comunitaria (125), che pone delle linee guida per orientare la scelta discrezionale dell’amministrazione (126).

Più blandi, seppur riconducibili nell’ambito dell’eccesso di potere, si ritengono gli effetti dovuti all’inottemperanza a decisioni, raccomandazioni e pareri: di essi comunque l’amministrazione

123

Cons. Stato, sez. IV, n. 579/2005, cit.

124

Tale potrebbe essere il caso, rilevato anche in Cons. Stato, VI sez., 8 marzo 2006, n. 1270, della norma nazionale difforme da Direttiva non auto-esecutiva, non ancora recepita nel nostro ordinamento senza che sia però decorso il termine fissato all’uopo dal legislatore con legge comunitaria.

125

Cfr. CGCE, sentenza 26 settembre 2000, causa C-443/1998; 13 novembre 1990, causa C-106/1989.

126

Del resto, per Chiti M.P. – Greco G., Tr. Dir. Amm. Eur., op. cit., p. 563, un problema di rapporti – ed eventuali contrasti - fra direttive comunitarie non immediatamente applicabili ed atti amministrativi italiani potrebbe porsi, in linea di principio, solo in caso di attuazione di tali fonti attraverso regolamenti o atti amministrativi generali, ai sensi dell’art. 11, l. n. 183/1987, assumendosi le prime quali veri e propri parametri di legittimità dei secondi. Le direttive non self-executing sono infatti portatrici di un doppio vincolo all’azione amministrativa: da un lato, prima del recepimento, esse precludono l’adozione di misure eventualmente difformi, dall’altro, all’atto della trasposizione in diritto interno, tracciano un sicuro indirizzo all’agire discrezionale della pubblica amministrazione (sempre che vengano in rilievo poteri di natura discrezionale), potendo rilevare la relativa violazione sotto il profilo dell’eccesso di potere.

nazionale deve tener conto in sede di esercizio delle potestà pubbliche, potendo discostarsene solo motivatamente.

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