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I. IL SISTEMA DELLA RESPONSABILITÀ DEGLI STATI MEMBRI IN DIRITTO COMUNITARIO

5. La responsabilità come fattispecie “mista”

5.1 Il coordinamento fra le posizioni soggettive di radice comunitario ed i mezzi di tutela apprestati dal diritto interno

La vera portata innovativa del caso Francovich sta nel fatto che per la prima volta la responsabilità degli Stati, pur scaturendo da una lesione del diritto comunitario, viene radicata nelle giurisdizioni interne, in modo da non lasciare incompiuto il sistema di tutela dei singoli.

L’aspetto più intrigante di tale risposta sanzionatoria sta nel suo carattere “misto”, considerando che le sue vicende nascono da presupposti “sovranazionali”, ma i suoi profili risarcitori si attuano a livello interno. I meccanismi della giurisdizione interna daranno quindi reale contenuto al principio di effettività, che rimarrebbe altrimenti su un piano dogmatico e fumoso, dato dalla mera affermazione dei principi del “primato” e dell’ “effetto diretto”.

Su altro fronte, del resto, gli ordinamenti dei Paesi membri non possono interferire, attraverso le proprie qualificazioni di diritto interno, né sulle condizioni cui è subordinato l’obbligo risarcitorio, né sui fondamenti della posizione giuridica lesa.

77

Cfr. caso Factortame del 1990 (causa C-213/89, cit.): all’obiezione del giudice britannico - che adduceva una risalente norma di common law secondo cui non può essere inibita in giudizio l’applicazione di un atto del Parlamento, né contestata la presunzione di conformità, fino a prova contraria, delle leggi interne al diritto comunitario - la Corte di Giustizia ha opposto la necessità un’uniforme applicazione del diritto comunitario a qualsiasi costo, se del caso anche tramite provvedimenti provvisori, volti a scongiurare che un diritto protetto dalle norme dell’Unione possa subire un danno grave ed irreparabile.

78

Nella pronuncia The Queen . v. Secretary of State for Social Security, ex parte Eunice Sutton, 22 aprile 1997, causa C-66/95, in Racc. I-2163, la Corte ha rifiutato di estendere quest’approccio alle regole di diritto inglese sul pagamento retroattivo di benefici di Stato, denegando che gli interessi fossero una componente essenziale del diritto di non discriminazione e del principio di adeguatezza della sanzione.

Quanto alla posizione soggettiva di cui si invoca la tutela, essa è in ogni caso definita nei suoi presupposti e contenuti dal diritto comunitario, che circoscrive le basi della sua protezione, fondando la pretesa risarcitoria su una violazione sufficientemente caratterizzata, commessa dallo Stato membro, laddove per “sufficiente caratterizzazione” si può intendere l’illecito commesso dagli organi interni con piena cognizione di causa dell’infrazione (79).

Ci si può chiedere, alla luce di tutto ciò, se emerga un illecito di tipo comunitario, come tale riconducibile per fonti e disciplina al solo diritto sovranazionale, che richiederebbe una disapplicazione tout court di qualsiasi normativa eventualmente confliggente con essa, o piuttosto un illecito civile di diritto interno, che imporrebbe dunque un’applicazione del solo diritto nazionale (per quanto, rigorosamente conforme al diritto sovrastatuale).

La dottrina tende ad eludere simili problemi qualificatori, ritenendo di avere davanti, al di là di definizioni trancianti, una fattispecie “comunitaria” nei suoi presupposti normativi - senza la cui violazione, in effetti, non si potrebbe parlare a monte né di responsabilità né di illeciti -, ma con implicazioni dirette negli ordinamenti interni.

In quest’opera di mediazione e di “incasellamento” dei vari tratti della responsabilità, il ruolo definitorio della giurisprudenza è notevole, se solo si considera che la gran parte di pronunce che hanno aperto pionieristicamente lo studio della materia, nelle varie branche dell’attività statale, sono state rese dalla Corte di Giustizia, sia pure nell’ambito di rinvii pregiudiziali, quindi scaturendo da vicende strettamente radicate nell’ordinamento statale (80).

Lo stesso giudice comunitario, nel demandare in misura costante l’accertamento degli elementi costitutivi ai giudici nazionali, implicitamente lascia intendere che la disciplina comunitaria non è destinata a sostituirsi al diritto interno, ma ad integrarsi con esso: in particolare, i giudici sono chiamati a riscontrare, da “tutori” dell’ordine comunitario, l’integrazione di quei requisiti che lungi dall’essere tipizzati sono stati indicati solo in modo astratto e per “categorie” dalla Corte di Lussemburgo (81).

79

Tale carattere viene associato a ipotesi in cui sussista una pregressa e consolidata giurisprudenza comunitaria, in cui sia stata constatata l’infrazione, o sia stata comunque resa una pertinente pronuncia in sede di rinvio pregiudiziale.

80

Cfr. Calzolaio E., La responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto comunitario, Giuffré, Milano, 2004, 70 ss.; per l’A. “quando si riconosce al singolo di invocare davanti ai giudici nazionali i diritti nascenti dal sistema

comunitario, la responsabilità degli Stati membri, non attiene più al piano dei rapporti internazionali … ma sembra costituire piuttosto l’espressione della natura stessa del diritto comunitario: ci si rivolge direttamente al giudice nazionale perché assicuri al singolo la tutela dei diritti attribuiti in sede comunitaria, garantendo ad essi quella rilevanza non riconosciuta dallo Stato inadempiente”, Ivi, p. 10.

81

Cfr. Caranta R., Diritto comunitario e tutela giuridica di fronte al giudice amministrativo italiano, in Riv. Trim. Dir.

Pubbl. , 2000, 1, 81 ss., rileva come in assenza di specifiche misure di armonizzazione, rivolgendosi il diritto

5.2 I riscontri applicativi in Italia ed il problema della qualificazione delle posizioni giuridiche soggettive riconosciute dal diritto comunitario

Le difficoltà di attuazione e coordinamento in Italia del sistema di responsabilità per illecito comunitario sono pressoché riconducibili ad una malintesa applicazione del principio di autonomia procedurale, riconosciuto agli Stati membri nella messa in opera delle posizioni soggettive scaturenti dal diritto comunitario.

In particolare, si è colta tutta l’inadeguatezza della classica bipartizione fra diritto soggettivo ed interesse legittimo, prendendo atto dell’assoluta indipendenza della tutela dal diritto comunitario dalla diversa entità delle posizioni soggettive lese. La relativa qualificazione è infatti una questione assolutamente ininfluente, si potrebbe dire di carattere politico, rimessa al prudente apprezzamento del singolo Stato, e deve solo premurarsi di non comprimere ingiustamente la tutela di posizioni di diritto comunitario rispetto alla tutela riconosciuta per analoghe posizioni fondate sul diritto interno.

È escluso quindi, in virtù dei principi di effettività ed equivalenza, che posizioni giuridiche nascenti dal diritto comunitario, ammesse alla tutela risarcitoria per un generale principio dello stesso ordinamento comunitario, si possano tradurre in categorie interne per le quali la tutela risarcitoria è esclusa.

Questi principi hanno naturalmente avuto in Italia un effetto dirompente su categorie e concetti cristallizzati, facendo ripensare l’approccio non solo all’individuazione dei mezzi interni di tutela dei diritti comunitari, ma anche allo stesso modello classico di “responsabilità civile” dello Stato. È innegabile, in tal senso, l’influsso del “post-Francovich” sulla revisione del riparto di giurisdizione interna fra giudice ordinario e amministrativo, sull’elaborazione di normative come la l. n. 241/1990 e il d.lgs. n. 80/1992 e, come naturale epilogo, sull’ammissione degli interessi legittimi violati alla tutela risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione (82).

sono divenuti i “giudici ordinari” del diritto comunitario, quelli cioè cui è demandato in via normale l’enforcement della disciplina prodotta dalle istituzioni europee” (p. 82).

82

F. Patroni Griffi, L’interesse legittimo alla luce del diritto comunitario e dei paesi membri: quali prospettive?, in Riv.

It. Dir. Pubbl. Com. 1993, 367 ss.; G. Ponzanelli, L’Europa e la Responsabilità civile, op. cit., segnala come il caso

Francovich potesse dare un preciso impulso ai nuovi equilibri della responsabilità civile in diritto interno, in rapporto alla risarcibilità dei danni derivanti dalla violazione di interessi legittimi e di quelli causati dall’attività legislativa dello Stato; Greco G., Effettività del diritto amministrativo nel sistema comunitario (e recessività nell’ordinamento

La dicotomia tutta italiana fra interessi legittimi e diritti soggettivi faceva sì che le posizioni comunitarie tradotte nella categoria degli interessi legittimi, si vedevano automaticamente negata, secondo la monolitica impostazione della giurisprudenza antecedente a Cass.Civ., S.U. 22 luglio 1999, n. 500, la tutela risarcitoria in caso di loro illegittima compressione da parte della Pubblica Amministrazione.

Ciò portava a una “dequotazione”, per usare un termine caro alla giurisprudenza amministrativa italiana di questi ultimi tempi, delle posizioni soggettive di matrice comunitaria.

L’epocale svolta recepita nel sistema di giustizia amministrativa ha tuttavia rilevato che la mera qualificazione di una posizione giuridica, ricevuta sulla base del diritto interno, non potesse occultarne la sua effettiva origine comunitaria ed ha fatto cadere i residui ostacoli alla tutela anche in favore di situazioni soggettive di radice comunitaria, ma ascritte al nomen juris dell’interesse legittimo in virtù del discutibile meccanismo di “traduzione” nelle categorie interne applicato dalla giurisprudenza italiana (83).

6. Profili attuativi. Tutela risarcitoria e considerazioni a margine sul rimedio della cosiddetta

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