• Non ci sono risultati.

Alcuni vantaggi dell’etnografia

Anselmo R Paolone

2. Alcuni vantaggi dell’etnografia

Per capire la portata di questa nuova realtà, l’etnografia soccorre la ricerca comparativa ad esempio in quanto metodologia empirica spendibile per studiare le singole unità di comparazione deterritorializzate. Essa è stata già impiegata in questi termini nuovi, nell’ambito della propria disciplina ma- dre, l’antropologia. Già da diversi anni l’antropologia si è confrontata e si confronta con i flussi globali, le realtà deterritorializzate, i network, (Whit- ten e Wolfe, 1974) le comunità immaginate e quant’altro è legato alle te- matiche che siamo usi richiamare facendo ricorso a termini quali: globaliz-

zazione e postmodernità. Per questo un confronto con i dibattiti, le temati-

che, le nuove modalità di ricerca già esperite dall’antropologia, può essere estremamente fecondo per l’educazione comparata. Può indicare una pro- mettente nuova direzione per affrontare i nuovi e inediti problemi legati al- le unità di comparazione e al campo di ricerca contemporanei (Paolone, 2009).

Tra tutti gli studiosi di scienze umane e sociali, gli etnografi sono stati tra i primi a essere costretti, sotto la spinta di quelle novità in parte ricon- ducibili al tema della globalizzazione, a sfumare e rinnovare i criteri per de- terminare le unità di studio, dato che molto spesso non si può fare più af- fidamento su confini socio-culturali “naturali”. Più che di confini oggi si tratta di varie interazioni tra la dimensione macro e la micro. Da un lato le stesse comunità locali possono rivelarsi unità troppo estese e complesse per poterle trattare nel loro insieme, e non sempre rilevanti, in quanto unità, per il tipo di analisi che si ha in mente. Dall’altro, non si possono trascurare i legami delle comunità con l’esterno, vale a dire con la regione, la nazione, o il resto del mondo. Allora, a proposito dell’unità di ricerca, si sono fatti strada concetti come quello di “campo sociale” che consiste nel ritagliare da un tessuto praticamente infinito di relazioni, un insieme di queste, parti- colare e limitato, di cui sia possibile individuare la formazione e gli effetti.

Un campo di questo tipo può estendersi attraverso i confini di più sistemi sociali distinti. Il concetto di network ha rappresentato un passo ulteriore nell’approccio a queste entità relazionali, in quanto ha reso possibile una descrizione più rigorosa della natura dei legami sociali all’interno del “cam- po” (Hannertz, 1980).

In questo nuovo panorama, come può destreggiarsi l’educazione compa- rata? La lezione del dibattito etnografico intercorso su questo genere di te- mi, ci insegna che il compito della scienza sociale comparativa, laddove è vieppiù difficile parlare di realtà culturalmente o nazionalmente ben distin- te da comparare, diventa anche quello di descrivere e comprendere l’esten- sione, la morfologia, il funzionamento, i limiti delle nuove realtà ibride e transculturali. In questo senso l’etnografia ci fornisce anche una serie di spunti metodologici importanti. Essa infatti ha elaborato una serie di nuo- vi strumenti concettuali e metodologici, man mano che la materia studiata rivelava nuovi risvolti e la ricerca poneva nuove esigenze.

Dunque in questi nuovi scenari uno degli spunti metodologici fonda- mentali rimane, con i dovuti aggiornamenti, quello etnografico, la cui ado- zione nel campo dell’educazione comparata è stato già sollecitato e speri- mentato da più parti (Carney, 2010).

Già tre decenni or sono l’etnografia era stata invocata come metodolo- gia di ricerca in educazione comparata, ma per motivi in parte diversi dagli

attuali. A quell’epoca il dibattito sulla decostruzione dell’unità di ricerca

era ancora agli inizi, non si parlava ancora molto di network, di decostru- zione della separatezza tra culture diverse, di sganciamento tra cultura e lo- calità. Piuttosto, la necessità di adottare la metodologia etnografica era sta- ta motivata con la necessità di meglio comprendere quel che realmente av- veniva nelle istituzioni e situazioni formative.

Molti degli studi comparativi fino ad allora compiuti, infatti, si basava- no su descrizioni e analisi dei fenomeni educativi svolte da ricercatori e stu- diosi che rimanevano esterni al processo di insegnamento/apprendimento nel suo farsi. Su questo si appuntava la critica di coloro che ritenevano che tali studi, che fossero idiografici o miranti a stabilire leggi costanti di rap- porto scuola-società, dicevano poco su quello che realmente avveniva nelle scuole (e più in generale nell’educazione) e sul suo significato (Masemann, 1982).

Invece bisognava focalizzare la ricerca sull’interazione educativa. La ri- cerca non si doveva basare solo su fonti scritte e neppure su visite compiute in veste di osservatore, ma doveva prevedere l’esperienza di ricerca sul cam-

po e il coinvolgimento diretto del ricercatore. Solo in questo modo si po- teva giungere a una comprensione del significato di ciò che realmente av- veniva nelle istituzioni e situazioni formative.

Si ponevano tuttavia problemi di comparabilità. Rispetto alle possibilità di generalizzazione, anche una convinta sostenitrice degli studi interpreta- tivi come V. Masemann (1982) riconosceva che, benché essi dessero una comprensione di come funziona una realtà educativa, la somma di tutte queste realtà non dava uno studio di educazione comparata che potesse soddisfare gli interessati a una più generale teoria delle relazioni scuola-so- cietà.

Sin dalle prime esperienze infatti fu chiaro che l’etnografia comparativa pone vari e articolati problemi, come fu subito messo in evidenza dal primo progetto del genere compiuto in Europa. Si trattò di una ricerca intrana- zionale, in cui vennero messe a confronto due grammar school (una maschi- le e una femminile) e una secondary modern school (maschile) nella zona di Salford, in Inghilterra, sotto la direzione di M. Gluckman. La difficoltà di coordinare le ricerche sul campo e il raffronto dei dati, portò il progetto co- munitario a un parziale fallimento. I singoli ricercatori produssero infine monografie individuali, i cui risultati erano per vari aspetti incommensu- rabili (Paolone, 2006).

Ma oggi il senso della necessità di fare etnografia in educazione compa- rata è in parte diverso rispetto al passato, e ciò comporta anche una possi- bile revisione di questo giudizio negativo. Come ho già illustrato in altre sedi (Paolone, 2009), il ricorso alla metodologia etnografica diventa neces- sario tra l’altro perché si tratterebbe di uno strumento in grado di esplorare quegli assemblaggi culturali peculiari e instabili che sono le relazioni nelle attuali società complesse.

A detta di R. Cowen (2010) l’uso dell’etnografia costituirebbe in questo senso un elemento cruciale, in particolare con riferimento allo studio del- l’impatto che i transfer di idee e/o pratiche formative da un contesto all’al- tro hanno sulle biografie degli individui coinvolti, in una prospettiva che richiama gli intenti di ricerca di C. Wright Mills. Tuttavia, perché si possa parlare di vera educazione comparata, non basta limitarsi a confrontare tra loro i dati raccolti etnograficamente in siti multilocali. Come abbiamo già accennato, occore anche inserire tali dati in un contesto di studio più am- pio, che includa lo studio dei rapporti di potere e il loro influsso sulla tra- sformazione che le idee e/o pratiche oggetto di transfer subiscono nel con- testo di destinazione.