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Alle origini dell’Istituto San Vincenzo

Anna Debè

1. Alle origini dell’Istituto San Vincenzo

Prima ampia e solida esperienza territoriale destinata ai fanciulli insuffi- cienti mentali – non vi erano difatti nella Milano del tempo altre realtà di simile genere1– l’Istituto San Vincenzo fu inaugurato nel 1901 grazie al-

l’iniziativa del sacerdote meneghino Luigi Casanova (Pennati, 1936; Recal- cati, 1981; Ascenzi, 2013). Nel 1881 il giovane Casanova, mentre stava ter- minando gli studi seminariali, fu incaricato di coadiuvare don Giulio Tarra nella direzione del Pio Istituto Sordomuti poveri di campagna di Milano, sorto nel 1854 per educare i bambini e i ragazzi sordi provenienti da nuclei familiari indigenti (Castelli, 1983; Fusina, 2008; Debè, 2014). L’operato pro– sordomuti condusse i due sacerdoti a individuare tra gli allievi alcuni bambini che mostravano non solo problemi di udito, ma soprattutto diffi- coltà linguistiche e comportamentali, connesse a un’evidente insufficienza intellettiva. I due sacerdoti iniziarono a dedicarsi all’educazione di questi bambini, sommariamente identificati come “deficienti”, a causa dei loro deficit mentali.

Nel 1897, otto anni dopo la morte del Tarra, Casanova fondò una se- zione per circa venti piccole deficienti, affidate alla Suore di Maria Conso- latrice nel loro istituto di Milano in via Gioia, alla quale l’anno seguente si aggregò anche una sezione maschile. Dati i risultati positivi di questi primi tentativi educativi, nel 1899 si iniziò a edificare una nuova sede per i ma- schi deficienti, inaugurata nel dicembre di due anni dopo nella centrale via Copernico, a cui si affiancò nel 1903 Casa San Gerardo di Monza per le ra- gazze (Vanin, 2009; Debè, 2017). All’interno del neonato Istituto San Vin- cenzo, affidato alla direzione di don Ettore Bellani, venivano accolti

1 L’Istituto rimase a lungo unico punto di riferimento nel campo delle anormalità men- tali a Milano. Infatti, nel capoluogo lombardo solo nel 1915 fu avviata, con un inter- vento inaugurale di Sante de Sanctis, una scuola speciale che ottenne eguale fama. La scuola, intitolata alla memoria di Zaccaria Treves, medico torinese che tra il 1907 e il 1910 diresse a Milano il Laboratorio Civico di psicologia pura e applicata dedicato allo studio dei fanciulli con anomalie mentali e alla formazione dei maestri, era economi- camente sostenuta dal Comune (Bencini Bariatti, 1962; Debè, 2013).

quei fanciulli e quelle fanciulle […] difettosi di favella o udito, o di intelligenza e che come tali ven[ivano] esclusi dagli istituti dei sor- domuti perché non completamente sordi; e non [erano] ammessi al- le pubbliche scuole perché refrattari all’insegnamento comune, quindi: i sordastri – gli udenti– muti – i balbuzienti – i tardivi – gli arretrati. [Erano] però esclusi i cretini e gli idioti profondi […] non […] suscettibili di sufficiente educazione2.

La sussistenza del San Vincenzo era affidata in maniera pressoché esclu- siva alla generosità dei privati, sollecitata specialmente tramite le pagine del bollettino mensile “La Beneficenza”, avviato nel 1904. Grazie alla carità dei singoli benefattori e all’operosità del personale, progressivamente altre strutture furono aperte per ampliare l’offerta educativa ai disabili mentali residenti al di fuori delle mura cittadine. Obiettivo generale dell’Istituto, nel quale gli allievi erano ammessi tra i 7 e gli 11 anni3, era quello di far

raggiungere al giovane deficiente “un minimum di adattabilità all’ambien- te sociale”, ovvero un certo grado di autonomia e la capacità di essere “me- no passivo o pericoloso alla società, e il più sufficiente possibile a se stesso nella selezione naturale”4. Tale finalità era perseguita tramite una formazio-

ne integrale del ragazzo, comprendente aspetti intellettuali, morali e reli- giosi, tecnico-manuali e ginnici, e in un ambiente residenziale, in modo da evitare che un contesto di vita poco stimolante vanificasse il lavoro condot- to dagli educatori.

Nello specifico, il programma d’istruzione prevedeva l’insegnamento delle nozioni elementari di grammatica, lingua, geografia, aritmetica e geo- metria. Per incontrare l’esigenza di concretezza dei fanciulli, il materiale di- dattico serviva a rendere facilmente comprensibili ai deficienti i concetti astratti e a tal fine si caratterizzava per la sua eterogeneità. Venivano ad esempio utilizzate proiezioni, cinematografie, quadri viventi e plastici, esercizi di canto e di recitazione. Inoltre, i temi trattati facevano riferimen- to alla quotidianità in cui erano calati i ragazzi, affinché vi fosse “una vera preparazione dell’alunno a quella condizione d’ambiente e di vita in cui dovrà trovarsi uscendo dall’Istituto”5.

2 La Beneficenza, febbraio 1904, pp. 3-4.

3 I ragazzi permanevano in Istituto fino a 15-16 anni. 4 Programma, Filotipia Deficienti, s.d., p. 3.

5 Regolamento dell’Istituto S. Vincenzo per anormali psichici, Scuola Tipografica Istituto S. Vincenzo, Milano 1920, p. 10.

Accanto al rafforzamento delle funzioni psichiche degli allievi, un altro importante aspetto educativo riguardava la formazione morale, per mezzo della quale l’alunno apprendeva adeguati e sani stili di vita. Tramite l’inte- riorizzazione di buone abitudini di socialità, il frenastenico imparava a orientare la propria volontà e a indirizzare i comportamenti in senso con- trario agli istinti sregolati. Se forte insistenza era posta sulla disciplina, in- centivata tramite un sistema di premi e punizioni stabilito in base alle ca- ratteristiche dell’alunno, fondamento e allo stesso tempo fine della forma- zione morale era però l’educazione religiosa. Sempre per incontrare le esi- genze di concretezza del deficiente, le pratiche devozionali erano proposte agli alunni del San Vincenzo in maniera molto semplice, prive di un’arti- colata elaborazione concettuale e accompagnate da una forte sottolineatura sulla rettitudine e onestà che erano chiamati a esercitare i ragazzi.

A qualificare la proposta educativa dell’Istituto San Vincenzo vi era inoltre la formazione professionale degli allievi, finalizzata al loro inseri- mento nel mondo del lavoro. Tale insegnamento avrebbe permesso ai gio- vani insufficienti mentali di “compensare, almeno in parte, la società della spesa che le impongono e di vivere in mezzo ad essa e nella famiglia, non come invalidi od estranei, ma modesti cooperatori ai fini comuni”6. Furo-

no pertanto avviati laboratori di falegnameria, calzoleria, sartoria, matasse- ria, tipografia e legatoria, ai quali i fanciulli deficienti erano indirizzati a se- conda delle attitudini individuali, delle caratteristiche psichiche, della co- stituzione fisica e delle probabilità d’impiego in una certa arte, in relazione specialmente al mestiere svolto dal padre e dai parenti. Anche per le fan- ciulle deficienti della Casa San Gerardo di Monza era prevista un’educazio- ne tecnico-manuale, che si traduceva in lavori quali la maglia, il cucito, il rammendo. Essa era diretta all’apprendimento di quelle incombenze fem- minili che “fanno della donna l’essere indispensabile, prezioso, sovrano del- la famiglia”7.

A far da cornice al globale processo di istruzione ed educazione del di- sabile intellettivo al San Vincenzo vi era la continua attenzione del perso- nale a creare un connubio fra la prassi pedagogica e la riflessione medico– psicologica sulle anormalità. In un contesto nazionale di inizio Novecento

6 La Beneficenza, marzo 1913, pp. 55– 57.

7 Relazione per il IV Congresso Internazionale d’Economia Domestica, Roma, 14, 15 e 16 Novembre 1927, Scuola Tipografica dell’Istituto S. Vincenzo, Milano 1927, p. 4.

caratterizzato dall’interesse sempre più marcato nei confronti della ricerca sull’eziologia e sulla classificazione delle deficienze, l’Istituto aveva avviato una collaborazione con padre Agostino Gemelli, nell’ambito della quale furono organizzati e resi operativi un Laboratorio di psico-pedagogia emendatrice (1914) e un Ambulatorio (1920). Queste due strutture da un lato consentivano di riconoscere i fanciulli suscettibili di educazione e quindi ammissibili in Istituto, dall’altro lato contribuivano all’incremento delle conoscenze nel settore (Debè, 2017, pp. 46-52).