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Il circolo virtuoso

Emilio Lastrucc

3. Il circolo virtuoso

In effetti, in diversi casi, e in particolare nel caso del sistema scolastico ita- liano, in un arco di tempo relativamente ristretto, in ragione dell’avvicen- darsi delle compagini di maggioranza governativa e dei loro orientamenti di politica educativa, sono state realizzate diverse riforme, di orientamento concorrente e talora addirittura contrapposto. La conseguenza più proble- matica della necessità di realizzare una riforma radicale è consistita in que- sti casi nelle difficoltà che insegnanti e altre figure professionali hanno do- vuto sormontare al fine di adattarsi a nuovi e ripetuti cambiamenti profon- di degli indirizzi pedagogici e degli scenari organizzativi introdotti nel si- stema.

Sulla base di tali premesse, si può affermare che un modello ideale di ri- forma del sistema scolastico ed educativo dovrebbe necessariamente preve- dere una fase preparatoria, volta a sperimentare le innovazioni in una pro- porzioni circoscritta di scuole e accertarne l’impatto, in particolari in ter- mini di consenso ed aderenza al cambiamento da parte dei professionisti coinvolti. Al fine di assicurare che i risultati di questa valutazione d’impatto siano attendibili, è necessario però mettere in campo metodi e strumenti basati su criteri scientifici che garantiscano l’oggettività delle procedure e dei riscontri ottenuti. Di conseguenza, appare necessario coinvolgere esper- ti e istituzione scientifiche nel processo di valutazione e validazione delle nuove pratiche previste dalla riforma. In accordo con ciò, un’importante ulteriore conseguenza di questo processo di generale trasformazione del si- stema educativo dagli anni ’90 al presente consiste nel fatto che la ricerca empirica e la sperimentazione in campo educativo giocano oggi un ruolo centrale e determinante come mai in passato per le politiche educative.

Ora, attraverso l’indagine comparativa intorno alle esperienze delle di- verse riforme realizzate negli ultimi vent’anni nell’ambito dei sistemi dei Paesi considerati si perviene ad evidenziare come l’impatto di una riforma

sulle pratiche educative e quindi la sua efficacia dipendono in larga misura dalla corrispondenza fra i nuovi modelli introdotti dalla riforma, da una parte, e gli orientamenti innovativi e le aspirazioni al cambiamento già ope- ranti nella pratica educativa, almeno in alcune situazioni più avanzate, dall’altra. In altre parole, un nuovo modello educativo è suscettibile di es- sere diffuso e di divenire in un arco di tempo relativamente breve una pra- tica corrente e condivisa nella misura in cui l’innovazione si configura non solo come facilmente assimilabile nel tessuto connettivo del sistema, già permeabile ad essa, ma risulta già sedimentata e magari promossa e solleci- tata dai professionisti della formazione più attivi e preparati, e comunque, più in generale, apprezzata e desiderata dalla maggior parte di essi. Una ri- forma elaborata “a tavolino”, opera esclusiva dei decisori politici e orientata magari a forzare cambiamenti nei metodi e nelle pratiche educative – che significa specialmente cambiamenti nella cultura professionale – rischia di produrre il contro– effetto di un indebolire tanto la motivazione e gratifi- cazione professionali, quanto le competenze padroneggiate dalla massa dei professionisti, nonché l’attiva e fattiva partecipazione degli altri attori coin- volti nelle attività educative, studenti inclusi.

Dal finire degli anni ’90 in avanti, essendo stato chiamato a cooperare, su incarico di vari Ministri dell’Istruzione, all’elaborazione di nuovi model- li di insegnamento, finalizzati alla revisione dei curricoli, nonché alla co- struzione di un modello istituzionale di valutazione della qualità del siste- ma (Lastrucci 2001, 2017b), sono stato indotto a riflettere sulle modalità più efficaci per promuovere la familiarizzazione con tali modelli e la cultura professionale che ne costituisce il necessario retroterra e per questa via a de- lineare un nuovo modello teorico attorno al modo ideale per assicurare l’adattamento continuo delle prassi educative alle trasformazioni della so- cietà complessa. Questo modello (Lastrucci, 2002) è basato sull’idea di fa- vorire la creazione di un circuito virtuoso fra i processi di natura top-down e quelli di natura bottom-up, intendendo i primi come intesi ad introdurre, attraverso opportune misure legislative, innovazioni generalizzate nel siste- ma educativo, laddove i secondi concernono fermenti innovativi partico- larmente avanzati (le cosiddette good practices) preesistenti che agiscono nel tessuto del sistema, maturati lentamente, dapprima in condizioni e conte- sti limitati e privilegiati e poi più o meno estesamente diffusi nell’ambito del sistema, nella cosiddetta “scuola militante”. Tali innovazioni generaliz- zate introdotte dai decision makers possono in tal modo attecchire e diffon- dersi, e dunque costituire una sistematizzazione di quelle spontanee inizia-

tive originarie, che usualmente rappresentano il risultato di bisogni emersi dalla società civile e di una nuova domanda espressa da differenti attori in- teressati nelle attività educative: insegnanti e gruppi organizzati di essi, as- sociazioni di studenti e genitori, imprese, Enti Locali, organizzazioni sin- dacali e così via (in una parola gli stakeholders). Affinché una revisione/rior- ganizzazione del sistema educativo possa avere successo, pertanto, si rende necessaria una fase propedeutica di consultazione estesa fra tutti questi sog- getti sociali, che coinvolga in qualche forma e misura l’intera società civile, nonché di coordinamento e sintesi delle loro richieste e aspettative. Questo approccio ha sostanzialmente ispirato l’evoluzione del sistema finlandese nelle varie fasi della sua attuazione e rappresenta, secondo la lettura deri- vante dalle mie ricerche, un fattore decisivo della sua riuscita. Un analogo approccio fu seguito nel nostro Paese nel periodo di riorganizzazione del si- stema in ragione del riconoscimento dell’autonomia, soprattutto nella fase preliminare di sperimentazione, ciò che spiega la generale risposta positiva del tessuto scolastico al cambiamento. La riforma del sistema francese, vi- ceversa, non avendo prefigurato e pianificato un pieno coinvolgimento di tutti gli attori e i soggetti istituzionali interessati e non avendo dato loro adeguata voce, ha incontrato resistenze ed ostacoli significativi.

Quale ruolo gioca la ricerca in campo educativo all’interno di questo quadro? Essa si inserisce nel circolo virtuoso, anzitutto, a livello locale, nei contesti più delimitati di esperimenti didattici ed esperienze pilota, assol- vendo la funzione di supportare le iniziative creative di singoli insegnanti e scuole, soprattutto in virtù della predisposizione di strumenti e di proce- dure scientificamente controllati, tramite una sorta di servizio di “assisten- za tecnico-scientifica” dei progetti di innovazione, anche allo scopo di ren- derne riproducibili i risultati; nella fase della prima applicazione dei nuovi paradigmi di apprendimento/insegnamento a livello generalizzato, le isti- tuzioni scientifico-accademiche sono chiamate a collaborare con quelle po- litiche per rendere effettivi ed efficaci i cambiamenti attraverso una valuta- zione analitica e approfondita del loro impatto sull’intero sistema. Gli esempi più rilevanti nella storia del nostro sistema scolastico-formativo so- no costituiti dalle maxi-sperimentazioni, le quali hanno preceduto in uno stadio propedeutico sperimentale l’applicazione a regime del sull’intero si- stema e le indagini di follow-up susseguenti a questa. Va dunque sottolinea- to come in tale circuito, affinché esso possa assumere un carattere effettiva- mente virtuoso, la ricerca in campo educativo sia chiamata a svolgere una funzione decisiva, ossia quella di validare e corroborare sul piano scientifico

modelli e prassi innovativi elaborati e sperimentati attraverso il movimento “dal basso”, fornendo così indicazioni decisive al legislatore nel processo di messa a punto delle nuove politiche scolastico-educative.

L’esigenza di gestire processi top-down sulla scorta di quelli incentrati su spinte e sollecitazioni di direzione contraria e quindi di pervenire ad un equilibrio ottimale fra le due strategie complementari trova attualmente sempre maggiore riscontro nello sviluppo di nuovi modelli di management nel contesto aziendale, nel quale gli approcci di carattere bottom-up vanno gradualmente affermandosi in rapporto a quelli più tradizionali di gestione verticistica del top management, configurando quella che alcuni Autori de- finiscono come fase 2.0 di gestione dell’impresa. La “terza via” prospettata da questo modello gestionale più complesso ed avanzato è stata sperimen- tata di recente anche nell’ambito delle organizzazioni pubbliche – in verità, sinora, piuttosto a livello di governance che di government di un intero si- stema nazionale – fra cui quello nel quale ha registrato risultati più promet- tenti è costituito dal sistema sanitario.

In conclusione, ritengo (e auspico) che il modello che ho proposto possa costituire un paradigma utile a spiegare e interpretare, sia da un punto di vista storico sia in una prospettiva comparativa, le riforme educative recenti realizzate nei Paesi sviluppati (o anche, adattando alcuni strumenti meto- dologie e calibrandone l’utilizzo in rapporto alle specificità dei contesi, nei Paesi in via di sviluppo) e potrebbe risultare altresì utile quale decalogo di principi– guida per l’elaborazione di futuri progetti di riforma o per la pro- mozione di pratiche innovative nei sistemi educativi.

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Sull’etica dell’inquietudine formativa.