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I difetti del sistema di educazione de’ due inglesi Bell e Lancaster È questo il contesto nel quale Bartolomeo, nel 1839, scrive I difetti del si-

Caterina Sindon

2. I difetti del sistema di educazione de’ due inglesi Bell e Lancaster È questo il contesto nel quale Bartolomeo, nel 1839, scrive I difetti del si-

stema di educazione de’ due inglesi Bell e Lancaster, un’aspra critica al mutuo insegnamento dedicata al Sopraintendente del Reale Albergo dei Poveri di

Palermo, il principe di Palagonia, Francesco Paolo Ferdinando Gravina. Il lavoro, composto di 138 pagine, oltre alle note, si articola in cinque capitoli; il primo, intitolato De’ vantaggi e della necessità dell’educazione, è dedicato all’educazione femminile ed ai benefici che si ricavano dall’istru- zione pubblica rispetto a quella domestica e collegiale; il secondo, Le scuole

di Lancaster sono popolari, cioè destinate alla sola istruzione delle classi infime della società, offre un quadro delle scuole lancasteriane in Europa e nei re-

gni italici mentre i restanti tre capitoli sono riservati a mettere in luce i di-

fetti del sistema lancasteriano anche in relazione ai «mali che ne derivano

alla morale dei fanciulli».

Bartolomeo, sulla scia dei pedagogisti risorgimentali, nutre una fede nella potenza redentrice dell’educazione secondo i principi del Cattolicesi- mo. Solo questa prospettiva, secondo il Nostro, garantisce un incontro au-

tentico, in grado di raggiungere, attraverso «discorsi, azioni ed esempi» la mente, il cuore e la volontà del fanciullo (Bartolomeo, 1839, p. 131); solo

così è possibile promuovere nelle generazioni «la civiltà, la virtù, il benes- sere della nazione» e così garantire l’osservanza delle «buone leggi». La scuo-

la e l’educazione, quindi, sempre per Bartolomeo, devono essere stretta-

mente collegate alla vita: «Che mai avrebbe detto [Montaigne] – scrive il

11 ASPA, Cpie, 388. 12 ASPA, Cpie, 388.

sacerdote messinese – se avesse veduto le scuole di Lancaster, in cui o non si fanno dal maestro discorsi, ed istruzioni di morale, ma soltanto qualche libro che ne tratta vi si legge da’ fanciulli senza comprendersi, ed anche compreso in opposizione sempre colle azioni reali, ed abitudini della vita scolastica?» (Bartolomeo, 1839, pp. 131-132)13.

Il metodo di Lancaster, che considera freddo e meccanico, è del tutto insufficiente ad attuare quella che Bartolomeo definisce l’arte di coltivare

l’infanzia. Esso, infatti, contempla tecnicismi che sono inutili ai fini del-

l’educazione la quale, così come emerge dalle preziose esperienze di Pesta- lozzi ad Yverdon e Stans – che Bartolomeo cita con dovizia di particolari – non necessita di “troppe parole”; «Io, dice Pestalozzi, non ho quasi mai dato a’ miei allievi delle spiegazioni, io non ho mai lor dato delle lezioni dirette sulla religione, e morale. Quand’eglino erano riuniti intorno di me, e vi re- gnava un profondo silenzio; io lor diceva: quando vi regolate così non siete più ragionevoli che quando fate strepito? Quand’eglino m’abbracciavano, e mi chiamavano lor padre. Se voi mi riguardate come vostro padre, ed in- tanto fate dietro di me delle cose che mi affliggono. Si fa bene così?» (Bar- tolomeo, 1839, pp. 133-134).

Tra i difetti legati alla sfera educativa, Bartolomeo identifica anche quelli legati all’educazione morale, che nel sistema monitoriale adopera «le molle più riprovevoli» ossia «l’emulazione e l’invidia» e all’educazione fisica, in- spiegabilmente trascurata dal metodo con grave danno della formazione completa dell’allievo che è «corpo e anima» ed ha «sovrabbondanza di vita e bisogno di attività»(Bartolomeo, 1839, p. 132).

Altri difetti sono poi individuati negli scarsi risultati che tramite il me- todo di Lancaster si ottengono con riguardo all’istruzione la quale, per il Nostro, resta quasi sempre superficiale, effimera, incompleta ed inferiore a quella che si otterrebbe con qualsiasi altro sistema. Il metodo, quindi, non solo non è adeguato a offrire l’apprendimento del leggere e dello scrivere ai ceti popolari, ma non è nemmeno capace di garantire quelle basi indispen- sabili per avviare i fanciulli appartenenti alle famiglie benestanti allo studio delle lingue, delle belle lettere e della filosofia.

La figura del monitore, in particolare, non consente all’allievo di misu- rarsi direttamente col maestro per ricevere tempestivamente e senza nessu-

na intermediazione gli aiuti necessari per migliorare la pronuncia e far pro- pria la lingua italiana abbandonando definitivamente il dialetto; l’azione del monitore e le esercitazioni meccaniche previste dal Lancaster, impedi- scono all’allievo di comprendere ciò che legge e non gli consentono di prendere coscienza degli sbagli commessi. Anche l’apprendimento della scrittura, benché rapido, è approssimativo, soprattutto a causa dell’assenza di spiegazioni da parte del maestro. Secondo Bartolomeo, il primo impe- gno del fanciullo, quello dell’alfabeto, non deve essere legato ad un atto di mera trasmissione meccanica né tantomeno deve dipendere da inutili eser- cizi di memoria, ma deve consentire allo scolaro di agire liberamente e di istruirsi grazie all’aiuto immediato e diretto di un maestro.

Tutte le discipline, inoltre, dal suo punto di vista, sono necessarie alla formazione dei fanciulli, sia dei figli delle famiglie abbienti, sia dei fanciulli poveri. Quest’idea, evoca l’immagine di una scuola pubblica aperta a tutti ed intesa quale luogo privilegiato per un primo incontro con il mondo cir- costante e con la società: «L’educazione intellettuale, morale e fisica della prima età – chiarisce a questo proposito Bartolomeo – dev’essere tale da servire bene ai bisogni di tutti i fanciulli di qualsiasi stato e condizione. Nelle scuole infantili devono i figli del ricco, del patrizio, del magistrato, del negoziante avvezzarsi a non sdegnare i cenci dei figli del contadino e dell’artigiano, e a non riguardarli come esseri appartenenti ad una specie meno nobile e privilegiata. Le scuole infantili devono essere il ritrovo in cui gli uni e gli altri convivono per conoscersi, e avvicendarsi gli affetti di ami- cizia e di benevolenza, prima che negli anni della adolescenza la diversità degli affari, delle professioni, delle abitudini, delle fortune induca una ne- cessaria separazione»(Bartolomeo, 1839, p. 91).

Lo scritto del Bartolomeo, suscita vive reazioni da parte di molti intel- lettuali del tempo e soprattutto da parte dei fautori del metodo lancasteria- no. Numerose sono le recensioni su’ I difetti pubblicate nelle riviste, ora con toni aspri e negativi, ora con toni benevoli.

Tra le prime va ricordata la critica mossa, ad un anno dalla pubblicazio- ne del volume, da Gaetano Daita, Ministro dell’Interno sotto Garibaldi nonché direttore della Scuola centrale del metodo lancasteriano di Paler- mo, fautore della pedagogia girardiana e sensibile alle idee della Giovane Italia. Daita, affezionato al sac. Niccolò Scovazzo, morto nel 1837 a causa del colera, primo ad introdurre il mutuo insegnamento nell’isola ed autore del noto Discorso sopra il metodo di mutuo insegnamento, letto all’Accademia di Scienze, Lettere e Arti il 10 agosto 1835, in una recensione pubblicata

nel 1840 nelle «Effemeridi scientifiche e letterarie di Sicilia»14, pur ricono-

scendo i meriti del sacerdote messinese, specie laddove afferma che l’istru- zione pubblica è più vantaggiosa della privata, demolisce tutte le contesta- zioni mosse dal Bartolomeo. Secondo il patriota trapanese, nelle scuole lan- casteriane il fanciullo non è abbandonato alla mercé del monitore poiché il maestro sempre vigila con la massima scrupolosità su tutte le operazioni svolte dai suoi allievi; sottolinea, inoltre, che il migliore maestro di un fan- ciullo è il fanciullo stesso, nella misura in cui «la voce e il linguaggio di un pedagogo di cinquant’anni è troppo forte all’orecchio di un bambino». I fanciulli, per Daita, sono capaci di apprezzare ed amare i compagni capaci di guidarli.

Tra le recensioni che mostrano una maggiore prudenza ed un discreto pragmatismo, va segnalata quella ad opera di un anonimo pubblicata ne’ «L’Annotatore piemontese» nella quale è sottolineato che il metodo di Lan- caster è utile «dove non si può per qualunque causa aver numero sufficiente d’istitutori»: «Al valico d’un torrente – scrive l’anonimo commentatore – può bastare un tronco d’albero; ma se v’ha un ponte è meglio. Dove si può rivolgere a ciascuno scolare l’occhio e la voce del maestro, sarebbe follia preferir il cenno automatico del condiscepolo»15.

Ad esprimersi con toni di elogio, invece, è Casimiro Danna, allievo di Ferrante Aporti e primo titolare della cattedra di metodo all’Università di Torino, il quale, in una lettera aperta indirizzata il 20 novembre del 1845 all’Aporti e pubblicata negli «Annali universali di statistica», critica aspra- mente il metodo di mutuo insegnamento e le iniziative inglesi di educazio- ne popolare tra le quali anche quella di Robert Owen capace, a suo dire, di addestrare i fanciulli solo «ad immagini dipinte, a corporei movimenti, a ginnici esercizi»16.

Lo scritto che, però, più di tutti è significativo per comprendere la por- tata del pensiero del Bartolomeo è la lettera che Ferrante Aporti invia al-

14 La recensione, che si trova nel tomo XXVIII (anno IX, 1840), in seguito è pubblicata col titolo Sul metodo di mutuo insegnamento. Memoria in risposta alle Osservazioni del

signor Filippo Bartolomeo su i difetti di quel metodo, Palermo, 1840.

15 Vol. X, Torino, Tip. Di G. Favale e Figli, 1839, pp. 201-211.

16 Intorno al Mutuo Insegnamento. Lettera al chiarissimo cav. Aporti in Bollettino di notizie

italiane e straniere e delle più importanti invenzioni e scoperte. Progresso dell’industria e delle utili cognizioni (1845). vol. XIX, pp. 256-257.

l’autore de’ I difetti. Aporti concorda pienamente con tutte le idee del Bar- tolomeo: «le pubbliche istituzioni di qualunque età, di ambedue i sessi, di qualunque condizione [...] debbono essere erette allo sviluppo, al possibile perfezionamento delle facoltà fisiche, intellettuali e morali del fanciullo, quale individuo e membro inseparabile della domestica e umana famiglia [...]. Commendevolissime sono le ragioni ch’ella adduce a favore delle co- muni e pubbliche istituzioni [...]. È tempo ormai che si cessi in Italia dal provvedere parzialmente ai bisogni dal che risulta che ne’ suoi pubblici co- stumi offre il miserando spettacolo di un abito intessuto a rapezzi; è nostra suprema necessità l’educazione comune, uniforme, diretta con metodi ra- zionali per conseguire quella consonanza d’idee che produce l’armonia dei sentimenti e che stabilirà quella cristiana fraternità che costituisce il fine ul- timo inteso dal Vangelo pel bene dell’uomo viatore» (Piseri, 2016, pp. 72- 74). Insomma, non mettiamo più «rapezzi», dice Aporti. Non è più tempo di accontentarsi.

Conclusioni

Oltre I difetti del sistema di educazione de’ due inglesi Bell e Lancaster Filippo Bartolomeo non scrive altri lavori di carattere pedagogico se si eccettua la pubblicazione, nel 1856, sempre a Messina, di una Geografia fisica, o natu-

rale per uso delle scuole d’Italia, censurata dal governo borbonico il quale

«s’accorse che Roma in quel libro scolastico era annunciata come capitale d’Italia».

Filippo Bartolomeo è un visionario, un intellettuale non pragmatico co- me lo Scovazzo o il Daita ma, come uomo indissolubilmente legato alle idee risorgimentali, capace di guardare avanti, di andare oltre, di immagi- nare la costruzione di una nuova società a partire da fondamenta solide quali sono una serie di istanze pedagogiche di grande valore come: la ne- cessità di rendere l’insegnamento educativo; la centralità del rapporto in- terpersonale tra educando e maestro; l’attenzione ai ritmi, alle peculiarità ed alle esigenze di fanciulli e fanciulle. L’intero scritto del Bartolomeo è at- traversato da una costante preoccupazione educativa che vede nel metodo lancasteriano il peggiore ostacolo per una reale crescita culturale dell’isola.

Forse non sbaglia. I tempi sono maturi per nuove e più ambiziose “scommesse”. E forse il volume del Bartolomeo, che denuncia uno stato di cose che da lì a poco ci si appresterà a smantellare, scuote le coscienze, in-

dica una via, una nuova via, anche a chi ha l’onere di governare.

Nel 1858, l’Intendente di Messina, il marchese di Collalto Artale, in oc- casione della solenne inaugurazione del Consiglio provinciale, sottolinea che le scuole pubbliche della città versano in uno stato forte degrado: «varie innovazioni si son fatte per l’insegnamento primario ed ho speranza, ben- ché lontana, di vederlo migliorare. Le cure di un prete spinto dal più filan- tropico intendimento han fatto nascere in Messina uno stabilimento pri- vato l’educazione dei maschi con principi tali da non fare più altri invidiare stranieri stabilimenti [...]»17.

Nel discorso non troviamo più alcun cenno al sistema inglese.

Va sorgendo una coscienza nazionale e con essa una nuova coscienza educativa. È tempo di voltare pagina.

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