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Educazione degli adulti a scuola? Il quadro normativo

Elena Marescott

2. Educazione degli adulti a scuola? Il quadro normativo

In via preliminare, va sottolineato il fatto che l’offerta formale e pubblica di Educazione degli adulti è, a tutt’oggi, strettamente agganciata al sistema scolastico (CTP, dal 1997 al 2014 e CPIA, dal 2015), confermando un consistente perdurare dell’e qua zione tra educazione degli adulti e “recupe- ro scolastico”, quantomeno in riferimento, come si diceva, al settore for- male. Equazione necessaria – la scuola non può mai essere elusa, una scuola imperniata sulla ricerca (Genovesi, 2002) che si dà come officina di meto- do, ove si costruiscono conoscenze generative ed euristiche (Frabboni, 2009) – ma che richiede, in riferimento all’adulto, un’attenta riflessione sulla permanenza dell’educazione, sulla relazione di insegnamento/appren- dimento, sull’impianto didattico.

Al riguardo, quindi, si intende qui ricostruire ed indagare le vicende del- le scuole per adulti nell’Italia immediatamente post– unitaria e, nello spe- cifico, entrare nel merito delle consapevolezze teoriche e delle strategie di- dattiche che andavano maturando, assumendo come fonte privilegiata un interessante periodico, “Il maestro degli adulti”, edito nel 1867-1868, che consta di venti fascicoli, molto corposi, per un totale di quasi mille pagine, rilegati in due volumi. Una vera e propria guida per gli insegnanti impe- gnati in un compito educativo qualitativamente e quantitativamente diver- so rispetto a quello della scuola “regolare” che, tra non poche difficoltà ma- teriali e culturali, cominciava ad avviare il suo travagliato cammino come scuola italiana.

In primo luogo, è quindi opportuno riprendere sia pure brevemente il quadro normativo delle scuole per adulti all’indomani dell’Unità e nei de- cenni immediatamente successivi, così da coglierne l’evoluzione sul piano delle politiche culturali. Per ragioni di spazio, si dovrà lasciare sullo sfondo una rassegna puntuale di questi provvedimenti, di cui ci si limita ad elen-

2 Il presente lavoro rientra nel progetto di ricerca FIR 2017 “L’identità adulta: implica- zioni educative (adultescenza; teorie, prassi e politiche di educazione degli adulti e di lifelong learning; epistemologia e storia della formazione in età adulta, nel contesto nazionale e internazionale)” dell’Università degli Studi di Ferrara.

care i più significativi nel momento di avvio e di primo sviluppo di questo comparto scolastico, a partire dalla Legge Casati (L. 13 novembre 1859, n. 3725), ove compare solo un cursorio esplicito riferimento agli adulti, al Capo IV, Delle scuole private, art. 356:

Le persone che insegnano a titolo gratuito nelle scuole festive per i fanciulli poveri, o nelle scuole elementari per gli adulti, od in quelle dove si fanno corsi speciali tecnici per gli artieri, sono dispensate dal far constare la loro idoneità.

È un cenno che attesta l’esistenza di corsi elementari attivati nelle varie realtà territoriali pre-unitarie, gestite dai Comuni o da enti privati, allo sco- po di contrastare l’analfabetismo, la cui consistenza numerica, com’è noto, all’indomani dei primi censimenti del Regno, si attestava su percentuali drammatiche. Tali corsi elementari sono generalmente indicati come “scuola popolare”, intendendo con questa espressione – invero ambigua, ed utilizzata sia nei testi ufficiali dei provvedimenti sia nei saggi pedagogici a partire dal primo Novecento – fare riferimento alla condizione sociale degli alunni e delle loro famiglie: una condizione di arretratezza e povertà, e quindi caratterizzata non solo dalla difficoltà di accesso all’istruzione ma, anche e soprattutto, per la quale la necessità di istruzione è pensata limita- tamente ai rudimenti dell’alfabeto e alle nozioni necessarie allo svolgimen- to di un lavoro manuale (Tancredi Torelli, 1978, pp. 75-81).

Va altresì richiamata la Legge Orlando (L. 8 luglio 1904, n. 407) grazie alla quale le scuole serali e festive per adulti analfabeti poterono contare su uno stanziamento annuale di bilancio per la retribuzione dei maestri. Da notare che, per incentivare la partecipazione degli adulti, non solo i pro- grammi di insegnamento prevedevano nozioni spendibili nella vita quoti- diana, soprattutto lavorativa, ma, in una prospettiva che si potrebbe defi- nire, se non preventiva, quantomeno di tempestivo recupero, si specificava che la possibilità di fruire di alcuni diritti era collegata alla comprovata ca- pacità di saper leggere e scrivere (come la concessione del permesso d’armi, per i nati dopo il 1885, della licenza d’esercizio e rivendita, per i nati dopo il 1890) (art. 16).

E, anche, vanno richiamati i programmi emanati l’anno successivo (R.D. 29 gennaio 1905, n. 45) che riportavano, infatti, contenuti basilari di Educazione morale e istruzione civile; Lingua italiana, Aritmetica, Nozioni

ai bisogni della scolaresca”, storia aneddotica del Risorgimento italiano, co- gnizioni geografiche con particolare riferimento alle colonie e al commer- cio locale), per il corso di un anno; per il corso biennale, il secondo anno prevedeva l’ampliamento degli insegnamenti del primo, tramite l’appro- fondimento di nozioni relative alle leggi che disciplinano il mondo del la- voro (leggi protettive del lavoro, sanzioni penali, obbligazioni civili e com- merciali), esercizi epistolari (riferite all’ambito familiare ed aziendale), mi- surazioni metriche, computi commerciali, tenuta dei conti.

Il panorama delle scuole per adulti si amplia con la Legge 15 luglio 1906, n. 383, portante provvedimenti per le provincie meridionali, per la Sicilia e per la Sardegna, che istituisce scuole per emigrati, scuole itineranti per pescatori, pastori, agricoltori, carbonai ecc. che abbiano sede tempora- nea in luoghi distanti dalle scuole ordinarie, e scuole autunnali per alunni rimandati, a cui si aggiunge l’istituzione di sale e premi di lettura per gli operai che si dimostreranno più assidui (Tancredi Torelli 1978, p. 97).

Successivamente, con la Legge Daneo-Credaro (L. 4 giugno 1911, n. 487), diviene obbligatoria la scuola elementare reggimentale – i cui prodro- mi risalgono al 1831, già attivata in tutto il Regno nel 1868, poi soppressa nel 1892 (Mastrangelo 2008) – rivolta ai militari “in servizio, non prosciol- ti dalla istruzione elementare obbligatoria, a norma della legge, o per i quali sia accertato che non conservino l’istruzione ricevuta nelle scuole elemen- tari” (art. 54). Nel medesimo provvedimento si prevedeva, inoltre, l’istitu- zione o il riordino delle scuole elementari “nelle carceri e negli stabilimenti penitenziari” (art. 62) e si innalzava il fondo di bilancio destinato all’istitu- zione di scuole serali e festive, regolamentando, infine, anche la retribuzio- ne degli insegnanti “nelle scuole serali per adulti analfabeti” (art. 63).

3. “Il maestro degli adulti” (1867-1868): pedagogia e didattica da applicare Su quali saperi e strumenti gli insegnanti potevano contare per svolgere questo difficile lavoro che, nella legislazione, cominciava ad affermarsi co- me un tutt’uno con il progresso civile ed economico del Paese? E quali con- sapevolezze didattiche, “andragogiche”, stavano maturando in merito al- l’educazione permanente e degli adulti?

Per abbozzare alcune prime riflessioni, non sono di marginale rilevanza le fitte pagine di una guida che si offriva come occasione di formazione e aggiornamento, ma anche di dibattito, confronto e partecipazione del cor-

po docente, arruolato all’ambiziosa finalità di dare coesione, ed impulso, alla società italiana a partire dalla padronanza dell’alfabeto e, via via, dei sa- peri disciplinari.

“Il maestro degli adulti. Periodico ad uso delle scuole serali, domenicali e reggimentali del Regno d’Italia”, rilegato in due volumi, il primo del 1867 e il secondo del 1868, è diretto dal Professor Vincenzo Garelli (Mon- dovì 1818-Carmagnola 1878), che fu allievo di Ferrante Aporti alla scuola di metodo e professore di Filosofia nei collegi di Cuneo, Genova e Torino. Abbandonato l’insegnamento, Garelli ricoprì l’incarico di Provveditore agli Studi a Genova e Torino. Già nel 1843 sollecitò l’apertura di scuole di metodo per una formazione dei maestri in grado di corrispondere alle ca- ratteristiche dell’istruzione popolare (Morandini, 2003, pp. 40-41).

Nel primo fascicolo, inaugurando l’iniziativa editoriale, Garelli ne espli- cita l’intento, che è quello di affrontare “la questione umile ma importante del miglior modo di ammaestrare gli adulti” (Vol. I, p. 4). Una questione che a sua volta si articola in prospettive ora più speculative, di riflessione, ora informative, ora metodologiche ed esemplificative, così come si evince dalla struttura del periodico, giacché ogni fascicolo (sia pure con qualche variante) presenta la medesima struttura di suddivisione in “sezioni”: Peda- gogia; Didattica; Didattica pratica; Atti ufficiali; Notizie di libri utili al- l’educazione degli adulti; Corrispondenza.

In particolare, le prime due sezioni, Pedagogia e Didattica, sono gene- ralmente costruite con la formula di domanda e risposta, ovvero vengono poste delle questioni, anche provocatorie, a cui segue l’illustrazione delle teorie o dei principi pedagogici e didattici presi a riferimento. Proprio que- ste prime sezioni del periodico consentono di esplicitare i fondamenti – che già si potrebbero dire andragogici – che informano l’avventura cultu- rale intrapresa.

Riprendendo le parole di Garelli, la parte pedagogica

si propone la questione teorica di determinare quali sieno le condi- zioni morali e intellettuali dell’adulto per conchiudere che la scuola che per lui s’istituisce, è tutt’altra cosa da quella che si frequenta dai fanciulli, e che però i principii direttivi di quella si scostano per grandissimo intervallo dai principii che governano le istruzione dell’infanzia e della puerizia (Vol. I, p. 5)

mentre la parte didattica “determinerà il metodo proprio che vuolsi se- guitare nelle scuole degli adulti” (Vol. I, p. 5).

Consequenzialmente, la parte della Didattica pratica presenterà “esem- pi di lezione”,

non fatte a tavolino soltanto e col lavoro della penna e della testa, le quali perciò non rappresentano la scuola quale essa è di fatto, ma in- vece quali si raccolsero nelle frequenti lezioni sperimentali che si tentarono; cioè le lezioni che si recheranno in mezzo a dimostrar ei precetti, saranno quelle stesse che si fecero in vari luoghi, con alunni di diverse età e che si indirizzano così all’onesto operaio, come all’in- felice che sconta nel carcere la pena del delitto, dell’ignoranza e dell’abbandono; tanto al soldato nella caserma quanto al contadino e alla donna di città e del contado.

A tutte queste condizioni sociali vuolsi impartire quel maggiore gra- do di istruzione che valga a diffondere la civiltà nel nostro popolo (Vol. I, p. 6).

A titolo paradigmatico, vale la pena almeno elencare alcune tra le prin- cipali questioni pedagogiche e didattiche prospettate (Voll. I e II):

[questioni pedagogiche]

1. Può egli l’adulto, che venne su privo d’ogni conoscenza di lette- ra, imparare qualcosa etiam cum senuerit?

2. Fino a quale età potrà essere ammaestrato l’adulto? 3. Solo agli illetterati han da giovare le scuole degli adulti? 4. È egli una medesima cosa ammaestrare fanciulli od istruire uo-

mini fatti?

5. È più facile ammaestrare l’adulto illetterato od il fanciullo? 6. Come si può rendere interessante la istruzione dell’adulto? 7. Come si può destare nelle moltitudini il desiderio di andare a

scuola?

8. L’istruzione popolare ha da essere gratuita o non?

9. A che tutto questo frastuono? per diffondere un po’ più celer- mente l’alfabeto? Oh quanto sarebbe meglio che ci dessimo pen- siero di far dei galantuomini!

10. E quando il popolo più minuto saprà leggere e scrivere, che cosa faremo in seguito?

11. Con quale mezzo attireremo l’adulto a continuare l’opera del suo ammaestramento?

[questioni didattiche]

1. Quali cose vogliamo più specialmente insegnare all’adulto? 2. Coteste cose s’insegneranno per ordine ed in guisa che finita

l’una si dia cominciamento all’altra, ovveramente si intrecceran- no e si faranno quasi promiscue?

3. Ammesso cotesto intreccio è pur giuocoforza incominciare dall’una che sia come mezzo e stromento dell’altra, quale sarà questa?

4. Qual è il primo passo a farsi nello scrivere?

5. Quali dimensioni debbono avere queste lettere od elementi di lettura?

6. Si può egli all’adulto insegnare la calligrafia? 7. Quale è il primo passo nella lettura?

[ecc.]

È evidente che tali sezioni, insieme a quella di Didattica pratica, sono coerentemente agganciate: alle affermazioni teoriche si intreccia il piano della teoria e della fattibilità didattica.

Le risposte sollecitate e fornite a tali quesiti di fondo sono sicure e inco- raggianti, a testimonianza del fatto che il necessario impegno dei maestri potrà essere fruttuoso solo se collocato in un orizzonte di senso fiducioso nella suscettibilità educativa degli adulti, e avvertito sul piano metodologi- co e didattico.

Alcuni passaggi sono particolarmente esplicativi al riguardo.

1. Può egli l’adulto, che venne su privo d’ogni conoscenza di lettera, impa- rare qualcosa etiam cum senuerit?

La risposta fornita è affermativa, e suffragata dai fatti: ad esempio quel- lo, ampiamente riscontrabile in letteratura, di persone che solo da adulti hanno intrapreso gli studi e che comunque sono riusciti a raggiungere ri- sultati eccellenti nelle scienze, nelle lettere e nelle arti3. Ma si rileva che an-

cora molti, purtroppo, pensano che alla fine della giovinezza conviene al ri- guardo “lasciare ogni speranza” (Vol. I, p. 8).

E come motivare questa possibilità di educazione degli adulti e della sua efficacia? Cominciando dal significato dell’imparare:

3 Il periodico si riferisce, a questo proposito, agli spaccati di biografie illustri annoverate da Samuels Smiles nel suo Self-help (1859), tradotto in italiano nel 1865.

Pare a me che s’impari quando si aggiunge qualcosa di nuovo a quel- lo che si sapeva dianzi, sia che questa aggiunta appaia come una con- tinuazione, cioè come un allargamento, sia che l’aggiunta si faccia per l’aggregazione di qualità discrete e separate (Vol. I, p. 8).

Il maestro deve pertanto in primo luogo chiedersi: l’adulto non scola- rizzato, analfabeta, “sa egli qualche cosa?”, verificando che egli “non sa nul- la del sapere scolastico, del sapere de’ nostri libri; ma sa ben altre cose e di molte” e traendo da ciò il primo, basilare, convincimento didattico:

Noi dunque vogliamo edificare su quello che già esiste. Strana ed as- surda cosa se noi volessimo piantare le primissime fondamenta men- tre abbiamo già de’ sostegni validi e sicuri; e per fermo l’adulto sa tutto quello che apprese fra le pareti domestiche imparando a parla- re; sa ciò che s’impara nelle officine e col contatto degli altri uomini; ciò che gli vien per gli occhi dallo spettacolo della natura e dell’arte; ciò che gli ha rivelato Dio col mezzo della Chiesa e della co scienza (Vol. I, p. 9).

2. Fino a quale età potrà essere ammaestrato l’adulto?

Per tutta la vita, giacché “nessuno è mai tanto vecchio e tanto sapiente che nulla più gli resti da imparare” (Vol. I, p. 10)

3. Solo agli illetterati han da giovare le scuole degli adulti?

Tutt’altro: le scuole degli adulti devono essere una “istituzione perma- nente”, anche se non ci fossero più illitterati! Le scuole per adulti servono permanentemente per correggere, ad esempio, gli errori dell’istruzione pri- maria, per perfezionarsi, per non cadere nell’analfabetismo di ritorno (cfr. Vol. I, pp. 10-12).

4. È egli una medesima cosa ammaestrare fanciulli od istruire uomini fat- ti?

“Mille volte no!” Non si possono usare gli stessi sillabari, gli stessi car- telloni, gli stessi sussidi utilizzati in classe con i bambini, né adottare il me- desimo stile comunicativo: “Vogliamo noi suscitare e fomentare nell’adulto il desiderio di imparare? Parliamogli quel linguaggio che gli si confà; egli non deve ritornare fanciullo” (Vol. I, p. 12).

E così via per le “questioni pedagogiche” successive, insistendo sul valo- re del riconoscimento dell’educando come adulto – la cui identità non vie- ne sminuita o intaccata – e della sua motivazione, affinché ognuno acquisti fiducia in se stesso, nelle proprie capacità di sviluppo.

Analogamente, le “questioni didattiche” sollecitano, a partire da un si- curo possesso dell’alfabeto e delle capacità di leggere, scrivere e far di conto “oramai tanto necessarie quanto il moto delle gambe e l’uso delle mani” (Vol. I, p. 14), a non scadere nella infantilizzazione degli educandi (ad esempio, anche attraverso semplici accorgimenti, come il richiedere loro di cominciare a scrivere come hanno visto fare agli altri adulti, ovvero in ca- ratteri di piccole dimensioni, e non a grandi lettere, come sono vergate le pagine dai bambini) e puntando piuttosto al mantenimento dell’attenzio- ne attraverso la varietà dei contenuti e degli esercizi da proporre.