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Educazione comparata e storia delle idee: un’incerta relazione

Carlo Cappa

3. Educazione comparata e storia delle idee: un’incerta relazione

In questo quadro, ove la comparazione si propone quale snodo cruciale per comprendere il presente, per scorgere, utilizzando una felice formulazione

3 Aspetto, questo, non affatto scontato in altre tradizioni europee, come ad esempio quella francese: cfr. Kambouchner, 2013.

di Agamben, ciò che vi è di contemporaneo nell’attuale (Agamben, 2008), l’ambito internazionale appare poco incline a contaminare la riflessione educativa con uno studio concettuale sistematico e avvertito. Seppure non manchino eccezioni rilevanti, come le linee di ricerca di Stephen Carney, attuale Presidente della CESE e impegnato nel porre l’educazione compa- rata in dialogo con una parte del pensiero postmoderno (Carney 2010, 2016; 2017), sfogliando le recenti annate di una rivista come Comparative

Education, si può rilevare quanto sia marginale il contributo della filosofia

nella tematizzazione dei principali nodi della comparazione. Come nel ca- so di Carney e in linea con l’importanza che questa corrente filosofica ha avuto negli scorsi trent’anni, quando vi sono riferimenti filosofici in edu- cazione comparata, essi derivano principalmente dal postmoderno france- se, ma esso giunge nelle pagine degli studiosi attraverso la mediazione del- l’interpretazione anglosassone. Come si è cercato di spiegare altrove (Cap- pa, 2017; 2018b), ciò conferisce una preminenza ad alcune implicazioni di carattere sia metodologico sia etico che, tuttavia, pur presenti, non sono la principale preoccupazione del pensiero postmoderno francese, riducendo- ne il portato squisitamente filosofico e la dimensione ontologica. Inoltre, tale profilo del postmoderno tende a privilegiare alcuni autori a discapito di altri, compiendo una marginalizzazione che assume due precise vesti: la prima è l’identificazione di alcuni autori solo con le loro opere più note, come avviene per Jean-François Lyotard che è fatto coincidere spesso con il fortunato volumetto La condition postmoderne (Lyotard, 1979); la secon- da, invece, è il completo oblio di altri, nonostante il possibile contributo per tematiche di urgente attualità, come ad esempio Maurice Blanchot per la nozione di comunità (Blanchot, 1984).

È interessante leggere in questa prospettiva il numero monografico del 2004 di Comparative Education dedicato proprio alle possibile intersezioni tra comparazione e filosofia: accanto a studi focalizzati in singoli contesti culturali – Polonia, Lituania, Slovenia, Cina, Taiwan, Giappone e demo- crazie africane – vi sono due saggi con un respiro più ampio a firma di Te- rence McLaughlin (2004) e Paul Standish (2004). Nel primo, sulla scorta di un apparato incentrato nella filosofia dell’educazione di stampo anglo- sassone sono poste in evidenza le necessità, le difficoltà e le opportunità di un dialogo tra comparazione e dimensione filosofica. Nel secondo, invece, Standish compie un interessante periplo che, prendendo le mosse dal con- cetto di Europa, si sofferma su Baudrillard, Lyotard, Deleuze e Derrida, cercando di trarne delle indicazioni riguardo alla sfera educativa e del-

l’istruzione. Un pregio affatto secondario che si deve riconoscere all’artico- lo risiede nel porre in discussione delle banalizzazioni in cui spesso incap- pano alcune superficiali letture del postmoderno e del post– strutturalismo (Standish, 2004, pp. 489-495): tra questi “inciampi intepretativi”, vi è la perniciosa attribuzione a dette correnti filosofiche di una recisa rottura con il passato, alla quale Standish contrappone, con puntuali citazioni, il ri- chiamo al rapporto vitale da esse intrattenuto con la tradizione, la quale è sempre considerata, pur criticamente, l’elemento da interrogare e con cui dialogare. A partire da tali cautele, tuttavia, sono proposte delle conseguen- ze educative di cui non si può non essere sorpresi: tanto per il curriculum quanto per la valutazione, le istanze suggerite non si legano direttamente al pensiero degli autori citati, arrivando finanche ad allontanarsene (Stan- dish, 2004, pp. 497-499) e non considerando, specie per quanto riguarda Derrida, la messe di lavori e di pratiche da lui realizzata, tra cui il fonda- mentale Rapport Bleu, scritto con François Châtelet, Dominique Lecourt e Jean-Pierre Faye (1988). Allo stesso modo, è poco comprensibile come si possa affermare che “the ethical implications of poststructuralism are such that moral education or citizenship education will cease to be the province of a particular aspect of the curriculum, for virtually everything will be un- derstood in these terms” (Standish, 2004, pp. 498). Ancora una volta, il versante ontologico è sacrificato in favore di quello etico, giacché nell’uni- co caso nel quale il primo è citato il riferimento è posto al pensiero di Le- vinas, giustificando esattamente una sua subalternità alla sfera etica.

Vi è un’altra conseguenza, però, di quest’impostazione: la scarsa impor- tanza prestata all’ontologia nell’interpretazione del postmoderno fa svanire molti pensatori italiani che si sono posti in dialogo diretto con la cultura francese e tedesca della seconda metà del XX secolo: in nessun saggio di quelli qui menzionati, infatti, compaiono riferimenti alla cultura italiana; sono pertanto assenti suoi importanti filosofi dell’educazione, come per esempio Franco Cambi, così come filosofi stricto sensu quali Massimo Cac- ciari, Giorgio Agamben o Roberto Esposito. Ciò è tanto più un vulnus per l’educazione comparata, poiché è proprio il pensiero filosofico italiano ad aver assegnato all’intreccio tra ontologia e politica una funzione irrinuncia- bile per comprendere la condizione umana nella sua interezza (Esposito, 2010). Non solo: la nostra filosofia si lega indissolubilmente alla sfera edu- cativa, tanto da presentare implicazioni pedagogiche anche quanto esse non occupano prepotentemente la scena e, al contempo, la relazione con il passato è sempre mantenuta come elemento qualificante, un reale volano

per interpretare il presente e per immaginare il futuro. Tali consapevolezze, tra l’altro, strutturano intimamente il nostro sguardo educativo, permean- do anche l’architettura istituzionale dei corsi di laurea triennali e magistrali direttamente deputati alla formazione universitaria dei futuri educatori e pedagogisti, Scienze dell’educazione (L-19) e Scienze Pedagogiche (LM- 85), nei quali vi sono numerosi insegnamenti di ambito filosofico, a diffe- renza di altri paesi, tra i quali Gran Bretagna e Francia. Proprio muovendo da queste considerazioni, nel ricostruire lo sviluppo dell’educazione com- parata in Italia (Cappa, 2018a), si è recentemente suggerito come un fitto intreccio tra storia pedagogica e filosofia dell’educazione possa rappresen- tare una via italiana per questo ambito di studio. Beninteso, una via neces- sariamente in vivo dialogo con altre di sicura importanza e che si sono af- fermate negli anni, come quella dedicata alla storia dei sistemi d’istruzione o all’approfondimento di singoli episodi, spesso trascurati, della nostra cul- tura pedagogica aventi un carattere comparativo (Gaudio, 2018).