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Il metodo lancastriano in Sicilia ed a Messina

Caterina Sindon

1. Il metodo lancastriano in Sicilia ed a Messina

Prima di soffermarmi sui ragionamenti del Bartolomeo sul metodo, mi sembra indispensabile fornire alcune indicazioni sul metodo lancasteriano, sulle sue origini e sulla sua diffusione. Il metodo, detto anche sistema mo-

nitoriale, è elaborato a Londra sul finire del Settecento da Joseph Lancaster.

Per istruire i fanciulli poveri nelle cognizioni essenziali all’esercizio delle ar- ti, dei mestieri, dell’agricoltura e del commercio, quali il leggere, lo scrivere e le prime nozioni di calcolo, Lancaster si avvaleva dell’aiuto degli scolari più in avanti negli studi, i cosiddetti monitori; l’applicazione del metodo, basata sull’uso di un materiale specifico come le tabelle, la ruota alfabetica e di materiale economico, come la sabbia al posto della carta e del lapis, consentiva al maestro, come anche alla maestra, di istruire simultaneamen- te, all’interno di grandi sale, un numero alto di scolari.

Il metodo, descritto per la prima volta nel 1803 in un pamphlet dal titolo Improvements in Education as it respects the Industrious Classes of the

Community, si diffonde in Europa, negli Stati Uniti, in Asia, in Africa

ed in Europa2. In Italia varie iniziative – come la costituzione di specifi-

che società e l’istituzione di nuove scuole3– sono avviate nel Ducato di

2 Per un quadro delle iniziative legate al mutuo insegnamento si vedano: Caruso, 2004, pp. 59– 88; 2013, pp. 33-45; 2015; Caruso, Roldan Vera, 2005, pp. 645-654; De Ga- briel, 1987, pp. 209-227; Rayman, 1981, pp. 395-409. Tschurenev, 2005.

Parma, nello Stato Pontificio, in Toscana, in Lombardia ed in Piemon- te4.

Nelle Due Sicilie, dopo un iniziale impulso dovuto all’emanazione di specifiche norme volte ad introdurre il sistema monitoriale nelle scuole già aperte o da attivarsi nei centri più popolosi5, l’adozione del metodo si esplica

in una varietà di realizzazioni distribuita in maniera disomogenea tra la par- te continentale e la parte insulare del Regno dove maggiore è la diffusione. Questa differenza è dovuta in parte alla disuguale legislazione emanata per i due domini come anche alle diverse istituzioni coinvolte ed in parte alla difforme reazione ai timori suscitati dai moti insurrezionali del 1820, assai tiepida in Sicilia, come si evince dalla flebile attività svolta dalla Giun-

ta di Scrutinio pe’ Letterati la quale, incaricata di vagliare l’operato dei mae-

stri durante i moti, di fatto conferma, almeno per quel che riguarda le scuo- le primarie, buona parte del corpo docente dell’isola (Agresta, 1995, pp. 45-48).

In particolare è a Messina, città natale di Filippo Bartolomeo e nei centri della provincia, che il metodo lancastriano, già durante il protettorato in- glese, inizia ad essere conosciuto ed apprezzato. Le scuole lancasteriane si aprono presso l’Accademia Carolina, pochi mesi dopo l’apertura a Palermo, nel 1819, della scuola di modello affidata dalla Commissione di Pubblica

Istruzione ed educazione al sac. Niccolò Scovazzo. L’apertura delle scuole è

caldeggiata dal Senato di Messina che nel luglio del 1819 invia Giacomo Cardile a Napoli dall’abate Mastroti, per apprendere il solo «esercizio e il

4 Per la situazione italiana si rimanda, in particolare, ai seguenti lavori: Ascenzi, Fattori, 2006; Bianchi, 2012; Bianchini, 2008; Gaudio, 2001; Morandini, 2003; Piseri, 2007, pp. 83– 111; Polenghi, 2012; Pruneri, Sani, 2008; Sani, 2011.

5 Tra queste bisogna ricordare, per i domini continentali, il Regolamento per le scuole pri-

marie de’ fanciulli di Napoli, e del Regno, emanato il 21 dicembre del 1819, che stabiliva

l’istituzione «nelle città più popolate del Regno di scuole di mutuo insegnamento in graduale sostituzione delle scuole con metodo normale», e per la Sicilia, i Regolamenti

per le scuole comunali, del 24 giugno del 1821, che obbligavano i comuni ad attivare

una scuola primaria con il metodo di Lancaster o con quello normale a seconda delle circostanze locali e «dei mezzi di cui si potrà disporre» e che prescrivevano l’apertura «nel capoluogo di ogni intendenza» di «una scuola primaria centrale», ossia una scuola

di modello nella quale gli aspiranti maestri, per «consagrarsi all’istruzione primaria»,

erano tenuti ad apprendere «il metodo pratico». Sulla diffusione del mutuo insegna- mento nel Mezzogiorno si rimanda a: Agresta, 2004; Agresta, Sindoni, 2012; Lupo, 2005; Sindoni, 2016, pp. 95-106; Id., 2015, pp. 101-116; Tanturri, 2013.

pratico meccanismo [del metodo] contandosi in Messina de’ soggetti, che ben conoscono le teorie [...], sia per averle apprese da’ libri, sia molto più dal conversare con persone estere di esso metodo istruttissime»6.

Il metodo mutuo, dunque, già nel primo ventennio dell’Ottocento, è noto ed apprezzato nella città dello Stretto; e ciò, forse, anche per l’influen- za esercitata del messinese Antonio Scoppa il quale, dopo avere visitato le scuole mutue francesi, aveva ricevuto da Ferdinando III l’incarico di aprire la prima scuola lancasteriana pubblica a Napoli. Tra gli anni Venti e fino l’Unità, inoltre, il numero delle scuole mutue nel messinese si accresce; su un totale di novantacinque comuni, infatti, molti dei quali di piccole di- mensioni, le scuole lancasteriane passano da quattro (1825) ad otto (1830) fino ad arrivare ad oltre venti alla vigilia del 18607.

Accanto alle scuole pubbliche, inoltre, si avviano in città anche iniziati- ve private, alcune delle quali, come emerge dai giornali del tempo, con grande risonanza. È il caso dell’Istituto di Flavia Grosso in Fiore, aperto nel 1835, che propone una offerta disciplinare indirizzata a fanciulle di fami- glie benestanti, prevalentemente orientata all’insegnamento della lingua italiana, della geografia, della musica, del ballo e delle consuete arti donne- sche e che fa dell’adozione del metodo lancasteriano nella scuola dei primi rudimenti delle bambine, il suo “punto di forza”8.

Bisogna sottolineare, però, che è difficile stabilire se ad un più diffuso uso del metodo mutuo, anche in istituzioni distanti per obiettivi e per utenza, corrispondono risultati positivi in termini di risultati. Le fonti, da questo punto di vista, non di rado svelano realtà caratterizzate dall’improv- visazione o, ancor peggio, dal degrado.

Il pastore della comunità evangelica di Messina, ad esempio, G. Linden-

6 Archivio di Stato di Palermo (ASPA), Commissione di Pubblica Istruzione ed Educazio-

ne (Cpie), b. 19.

7 Oltre che a Messina e nei villaggi di Bordonaro, Camaro, Catarratti, Gazzi, Giampi- lieri, S. Filippo Superiore e Santo, nella provincia le scuole mutue erano in funzione a Barcellona, Pozzo di Gotto, Calvaruso, Capizzi, Casalvecchio, Castelluccio, Castro- reale, Milazzo, Mistretta, Tortorici, Ucria, Venetico e nell’isola di Lipari. ASPA, Cpie, bb. 259, 261, 378, 379, 380, 381, 382, 383, 384, 385, 386, 387, 388, 389, 430, 431, 432, 433, 434, 435, 436, 610.

8 Cfr. L’Istituto di Madama Flavia Grosso. L’Amico delle donne. Giornale d’amenità e

d’istruzione, Messina, Stamp. Tommaso Capra all’insegna del Maurolico, 1835, anno

kohl, in una conferenza sulla scuola popolare tenuta a Kassel ed organizzata dalla società Gustov Adolph, offre delle scuole lancasteriane peloritane, che ha modo di visitare negli anni Cinquanta, un quadro poco edificante: «il popolo – scrive in una relazione pubblicata nel 1857 con il titolo Ueber das

Volks-Schul-und Unterrichtswesen in Sizilien – non ha acquisito molta co-

noscenza nel leggere e nello scrivere. E come potrebbe essere altrimenti con quel sistema d’insegnamento? Secondo quel che si dice le due scuole Lan- caster, di cui Messina si vanta, dovrebbero essere frequentate l’una da 180 e l’altra da 130 scolari. [...] una di queste scuole [...] si trovava in una gran- de sala ed era munita di una cattedra, di banchi, di scrivanie, di una lavagna nera e di un certo numero di leggii [...] solo però che non mancava la spor- cizia inevitabile in Italia. Vi trovai raccolti circa 80 scolari [...]. La metà de- gli scolari [...] dormivano indisturbati [...]; un quarto degli alunni presenti si intrattenevano nel vivace linguaggio italiano dei gesti [...]; soltanto gli scolari delle prime tre file dei banchi erano intenti a scrivere a turno. [...] Libri di lettura non ne esistevano per nulla [...]. Pregai l’insegnante di mo- strarmi qualcosa del suo metodo di insegnamento [...] ma non fu possibile indurlo a tanto; egli si profuse in mille scuse in modo sommesso ed ami- chevole: “non si può chiedere molto da questi bambini, non frequentano regolarmente la scuola; qui viene chi vuole e quando vuole” [...]» (Linden- kohl, 1898).

Queste osservazioni non si discostano molto rispetto a quanto diversi documenti testimoniano circa la situazione delle scuole della provincia. Qualche esempio: nelle scuole di Barcellona, centro posto sul versante tir- renico, il metodo lancastriano, nel 1828, non può essere adottato «non per mancanza del locale, ma degli oggetti necessari»9; nel 1834, nella medesi-

ma scuola, ora ufficialmente qualificata come lancastriana, «nessun regola- mento osservasi nell’esecuzione dell’orario, e [...] poco impegno mostrasi tanto dai precettori, che dai discenti nello adempimento dei rispettivi loro doveri quantunque si vuole che i primi poggiono le loro scuse sulla svoglia- tezza dei secondi [...]»10. Uguale confusione si riscontra nella scuola lanca-

steriana di Novara nella quale, nel 1851, gli ottantacinque allievi, istruiti

9 Dal Sindaco di Barcellona alla Commissione di Pubblica Istruzione ed Educazione, Barcellona 29 gen. 1828. ASPA, Cpie, b. 378.

10 Dall’Intendente di Messina alla Commissione di Pubblica Istruzione ed Educazione, Messina, 19 giu.1834. ASPA, Cpie, 378.

coi libri di «Lancaster, Catechismo, Barresi, Gioja e Galateo» non possono usufruire né della «ruota alfabetica» né dei «mezzi della emulazione, che sa- rebbero le figure e le decorazioni o per meglio dire le medaglie»11. Anche le

modalità con le quali il maestro di Novara insegna sembrano avere poco a che fare con quanto prescritto dal Lancaster; il maestro, un sacerdote “fre- sco di nomina”, nel 1854, come si legge in uno stato della scuola, «di più del metodo, che va tenuto istruisce i discenti nella declinazioni, coniugazioni italiane dei nomi e verbi avere, ed essere»12.

2. I difetti del sistema di educazione de’ due inglesi Bell e Lancaster