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Sguardo comparativo alle riforme dei sistemi scolastici europe

Emilio Lastrucc

2. Sguardo comparativo alle riforme dei sistemi scolastici europe

Passando sommariamente in rassegna i quattro principali casi analizzati, val la pena prendere le mosse dalla riforma del sistema finlandese, che co- stituisce per molti aspetti un modello di riferimento per gli altri. Questa ri- forma, com’è noto, è stata attuata nel 1972 e la sua implementazione nel- l’intero sistema ha costituito il risultato di un lungo e progressivo processo di cambiamento durato parecchi decenni. Esito di questo processo è stata la graduale crescita dei livelli medi di profitto degli studenti finlandesi, che, come si sa, risultano sempre ai primi posti in tutte le ricerche comparative internazionali. Questa riforma è stata studiata soprattutto da Pasi Sahlberg, che ne ha seguito gli sviluppi e ha condotto indagini di follow-up sugli ef- fetti prodotti dal cambiamento. Fra le sue numerose pubblicazioni su que- sto tema, i due lavori più significativi nei quali vengono posti in evidenza i presupposti pedagogici sui quali si erge il sistema scolastico-educativo fin- landese sono Second International Handbook of Educational Change, risa- lente al 2010, e la raccolta di lezioni dal titolo Finnish Lessons, pubblicato nel 2014 dalla Columbia University.

Per riassumere i caratteri essenziali del “modello finnico”, occorre ricor- dare che all’inizio degli anni ’70 il sistema finlandese risultava fondamen- talmente modellato su quello della RFT, con una scuola primaria che for- niva una formazione di base alquanto povera ed una scarsa affluenza al seg- mento secondario, la cui alternativa era rappresentata da un percorso mi- nimale di formazione professionale di durata biennale. Tanto nell’impianto quanto nei risultati tale sistema presentava notevoli analogie con quello ita- liano, in relazione ad un retroterra socio-economico-culturale anch’esso in

larga parte assimilabile al nostro e significativamente più arretrato di quello della Svezia, nazione con il massimo livello di sviluppo nell’area scandina- va. La riforma del ’72 fu basata su un “ribaltamento” dell’impianto del si- stema, prevedendo un segmento di base unitario della durata di nove anni, a cui segue quello secondario della durata di tre anni. Nella sua fase di avvio il nuovo sistema prevedeva un modello ibrido di scuola unica, diversificata in funzione di un criterio di composizione omogenea di canali paralleli in relazione ai risultati di apprendimento al termine della scuola di base, ma tale canalizzazione fu abolita nel corso degli anni ‘80. Il nuovo sistema en- trò in vigore dapprima nell’area settentrionale del Paese e fu poi gradual- mente esteso all’intero territorio nazionale. La scuola primaria inizia a 7 an- ni (preceduta da un solo anno di scuola dell’infanzia) e termina a 16.

Nell’arco di un trentennio, ossia fino all’inizio di questo secolo, la cre- scita delle performance degli studenti finlandesi è stata straordinaria, rive- landosi già attraverso l’indagine IEA – Reading Literacy negli anni ’90 e confermandosi attraverso quelle PISA fra il 2000 e il presente, nelle quali essi detengono generalmente il primato in pressoché l’intero spettro delle aree curricolari. Lo sviluppo più avanzato del sistema finlandese è rappre- sentato dal processo di cambiamento attualmente in atto, che vede un ri- pensamento dei curricoli delle scuole secondarie incentrato sullo studio di

fenomeni (intesi come nuclei tematici e problematici catalizzatori dell’ap-

prendimento e dell’esperienza) piuttosto che delle discipline.

Sahlberg sottolinea come la riforma scolastica che ha permesso alla Fin- landia di transitare da un’economia prevalentemente agricola e industriale meccanica ad una basata sullo sviluppo delle tecnologie avanzate e soprat- tutto sulle TIC – invero in un Paese con bassissima densità di popolazione, nel quale circa 6 milioni di cittadini risultano dispersi su uno sterminato territorio – è stata realizzata grazie ad investimenti finanziari minimi, per cui l’eccellenza dei risultati non può essere spiegata da una cospicua mobi- litazione di risorse. Secondo Välijärvi et alii (2002, p. 46) il successo degli studenti finlandesi nelle prove PISA va imputato ad una “ragnatela” di fat- tori interconnessi, fra cui giocano un ruolo determinante le attività e gli in- teressi coltivati dagli studenti a scuola e nel tempo libero, la ricchezza di op- portunità d’apprendimento offerte dalle singole scuole, il sostegno e il coinvolgimento delle famiglie, come pure il contesto sociale e culturale nel quale è incardinato l’intero sistema scolastico. Sahlberg ritiene invece che i caratteri peculiari del sistema scolastico finlandese che concorrono a spie- gare le performance brillanti degli studenti (media elevata del punteggio

globale nei test internazionali, basso numero di ore di scuola, un percorso scolastico più breve rispetto agli altri Paesi, costi modesti, una bassa percen- tuale di studenti con punteggi bassi nei test, ridottissimo divario tra i pun- teggi dei migliori studenti e quelli dei più deboli (e quindi notevole equità dei risultati prodotti del sistema, ridottissimi dislivelli fra le scuole su tutto il territorio nazionale) siano da individuare nell’unitarietà della formazione di base, nella qualità della formazione e quindi preparazione dei docenti, nella validità e nella trasparenza del processo di accountability, nella strut- tura non-gerarchica del sistema, che prevede una leadership (anche di natu- ra morale) diffusa e la condivisione collegiale delle responsabilità, attraver- so la promozione di una cultura della fiducia e della piena collaborazione.

La seconda riforma importante è quella realizzata in Germania. Questa è stata volta soprattutto alla definizione di standard nazionali, in ragione dell’esigenza di ridurre le disuguaglianze nel sistema scolastico prodotte da- gli effetti di un sistema fortemente decentralizzato a livello dei singoli Län- der e mostratesi via via in misura sempre più grave attraverso le varie edi- zioni delle indagini OCSE-PISA. La riforma serviva quindi per controbi- lanciare gli effetti di queste disuguaglianze dovute al decentramento dei curricoli e delle prassi didattiche sull’intera sistema tedesco.

La riforma francese recente («reforme du collège»), com’è noto, è stata volta a riorganizzare il sistema al fine di decentrare una quota significativa di competenze e responsabilità alle unità scolastiche e agli organismi di in- dirizzo e di controllo periferici. Questa riforma presenta quindi analogie con quella attuata nel nostro Paese alla fine degli anni Novanta, imperniata sul riconoscimento dell’autonomia scolastica, ed insieme a questa rappre- senta un modello che risponde, a grandi linee, ad esigenze diametralmente opposte a quelle che hanno ispirato la riforma tedesca. L’analisi dei risultati e soprattutto dell’impatto sul tessuto cellulare del sistema prodotti nel tem- po dalla riforma francese mostra come risulti notevolmente difficile attuare cambiamenti sostanziali dell’organizzazione di un sistema scolastico allor- ché si debbano affrontare significative resistenze alla sua diffusione fra i professionisti della formazione, in particolare gli insegnanti e i dirigenti scolastici.

Vi è poi il caso italiano, che si configura come piuttosto particolare nel contesto europeo, in quanto nel nostro Paese non v’è stata in effetti negli ultimi decenni una sola riforma che abbia radicalmente revisionato il siste- ma, bensì negli ultimi vent’anni (fra il 1999 e il presente) sono stati elabo- rati e posti in atto ben quattro progetti di riforma, ciascuno dei quali ha in

parte sviluppato elementi cardinali della precedente in continuità con i cambiamenti che essa aveva prodotto, ed in parte sostituito alcuni pilastri portanti, invertendo la rotta verso cui la precedente riforma aveva orientato l’evoluzione del sistema e promuovendo talora un ritorno all’ancien régime, come nel caso della Riforma Moratti rispetto al riordino dei cicli previsto da quella Berlinguer-De Mauro (Lastrucci, 2005).