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L’educazione fisica

Anna Debè

2. L’educazione fisica

Nel piano didattico dell’Istituto San Vincenzo un posto di rilievo era occu- pato dall’educazione fisica del deficiente, funzionale innanzi tutto all’ap- prendimento da parte dei fanciulli delle conoscenze basilari sull’igiene e sulla sana nutrizione. Poiché la maggior parte dei bambini ospitati presso l’Ente proveniva da famiglie indigenti, obbligate a una dieta decisamente povera, la permanenza all’interno dell’istituto consentiva ai piccoli e giova- ni deficienti di mangiare cibi sani e adeguati alla loro età e ai loro bisogni, nonché di interiorizzare la consuetudine a un’appropriata alimentazione. Anche la pulizia degli spazi della struttura, da loro stessi curata, costituiva uno strumento educativo, affinché gli allievi imparassero l’importanza dell’igiene e facessero propri i comportamenti necessari per preservarla.

Gli esercizi ginnici rappresentavano un altro aspetto essenziale del pro- gramma di educazione fisica del deficiente, in relazione a una serie piutto- sto diversificata di ragioni. Innanzi tutto, la ginnastica interessava e attraeva lo studente, perché ritenuta piacevole e divertente. Di conseguenza, a gio- varne era l’attenzione del bambino – seriamente compromessa nei ragazzi con deficit mentale – che veniva in tal modo piacevolmente allenata. Inol- tre, gli esercizi fisici permettevano ai bambini di diventare consapevoli del proprio corpo. Il ragazzo imparava a riconoscere le differenti parti del suo organismo, oltre che a controllarle e regolarle. Ne scaturiva l’abitudine a tollerare lo sforzo fisico e nel contempo anche quello mentale.

Dunque, l’educazione fisica non giovava solo al corpo, ma altresì all’in- telletto, essendo il ragazzo addestrato al lavoro e alla fatica mentale. Come scriveva Luigi Terzoli, stimato docente di ginnastica del San Vincenzo, “la salute e la forza del corpo sono condizioni essenziali al normale svolgimen- to della vita intellettuale” (1911, p. 11). Esse contribuivano nello stesso

tempo alla crescita morale del deficiente. Non per altro, il continuo eserci- zio ginnico aiutava a sconfiggere tendenze quali la pigrizia e l’indolenza, dando invece risalto all’operosità. Imparare a governare il proprio corpo era ritenuto strumento per allenare i ragazzi a padroneggiare anche la volontà, da indirizzare a favore della laboriosità e del dinamismo, in quanto il potere inibitivo fisico agiva come potere inibitivo morale (Terzoli, 1911, p. 20). Tale felice legame fra educazione fisica e moralità rifletteva un pensiero che da poco si era fatto spazio nel mondo cattolico, il quale aveva smesso di ri- tenere la ginnastica come pericolosa affermazione della pariteticità tra ani- ma e corpo, considerandola invece strumento per temprare sia il fisico del giovane, sia il suo carattere e la sua rettitudine (Alfieri 2003; 2017).

All’Istituto San Vincenzo la ginnastica era presumibilmente presente nel programma fin dai primi anni della sua attività, sebbene riservata a que- gli allievi che mostravano un’effettiva possibilità di educazione e, pertanto, non fruibile da chi aveva una severa deficienza. Nel 1911 Terzoli pubblicò una sintesi della sua esperienza didattica, raccolta nel volume Per l’educa-

zione fisica dei deficienti. Sottolineando l’importanza di questo tipo di edu-

cazione nella più generale assistenza del debole di mente, il maestro ricor- dava che il primo grande educatore degli anormali psichici, il noto Édo- uard Séguin, già nel cuore dell’Ottocento aveva posto in luce la rilevanza della ginnastica. E oltre a lui anche de l’Épée e Bourneville, nonché l’italia- no Giuseppe Montesano, ne avevano evidenziato l’utilità, condividendo l’idea secondo la quale “il punto di partenza dell’opera redentrice dev’essere il corpo” (Terzoli, 1911, p. 14).

Se per le fanciulle si parlava di una “ginnastica elementare”8, il program-

ma proposto agli allievi maschi del San Vincenzo si mostrava invece piut- tosto ricco e differenziato, includendo esercizi di equilibrio, di deambula- zione e posturali, esercizi per lo sviluppo muscolare. Ogni tipologia di at- tività era associata a una precisa serie di finalità, non limitata all’aspetto pu- ramente organico.

Ad esempio, gli esercizi di equilibrio avevano lo scopo di aumentare la consapevolezza dell’allievo rispetto al proprio corpo. Infatti, i bambini e giovani deficienti erano invitati a rimanere nella stessa posizione per un certo lasso di tempo, mettendo pertanto in atto meccanismi di controllo delle parti del proprio fisico. È chiaro, dunque, come allo sforzo posturale

si accompagnasse un impegno mentale, un investimento sulla capacità di concentrazione. Tra gli esercizi di equilibrio, Terzoli includeva il salto, che poneva il piccolo deficiente di fronte a una valutazione e messa alla prova della propria forza e coraggio. I ragazzi erano spinti a testare i limiti – ma anche le potenzialità – del loro corpo, essendo questi salti di sovente effet- tuati da altezze piuttosto impegnative.

Gli allievi deficienti erano poi coinvolti in una serie di esercizi di deam- bulazione e posturali, con lo scopo di eliminare, o quantomeno diminuire, l’irregolarità e la disarmonia che spesso caratterizzava il loro modo di cam- minare. A questo ambizioso progetto erano chiamati a collaborare anche gli altri maestri dell’Istituto, rimproverando il giovane che si muoveva nello spazio in maniera disordinata.

Infine, Terzoli includeva nella sua proposta didattica gli esercizi finaliz- zati allo sviluppo muscolare dell’allievo deficiente. Il peculiare obiettivo era quello di rinforzare il fisico del bambino e del ragazzo, soprattutto attraver- so l’utilizzo di semplici strumenti ginnici, come corde o clave.

Quando possibile, gli esercizi di ginnastica erano svolti nel giardino del- l’Istituto, dove gli allievi potevano godere dei benefici dell’aria aperta. Oltre allo spazio, di fondamentale importanza risultava essere il ruolo dell’inse- gnante. Egli doveva conoscere bene i suoi studenti, per poter proporre un programma adeguato all’età e allo sviluppo psico-fisico del singolo, e doveva altresì essere capace di motivarli a mettere in pratica gli esercizi. Uno stru- mento per raggiungere tale obiettivo era identificato nel gioco, che era occa- sione per creare un felice connubio fra allenamento fisico e mentale.

In seguito ai positivi risultati ottenuti da questo tipo di educazione fisi- ca, presso l’Istituto di via Copernico fu formata una squadra denominata “Gli Ultimi” e composta da una trentina di studenti scelti tra i fanciulli con un grado minore di deficienza. Tale squadra prese parte a diversi concorsi ginnici pubblici, ottenendo importanti riconoscimenti. Ad esempio, “La Beneficenza” riporta la notizia del nono posto ottenuto a Lodi da “Gli Ul- timi” durante una competizione a cui aderirono ventinove squadre, a di- mostrazione di “come nel nostro istituto l’educazione fisica non sia affatto trascurata, ma tenga anzi il primo posto in omaggio ai dettami della scienza moderna affermante che la cura del corpo è substrato indispensabile alla cura della mente”9. Similarmente l’asilo di Tradate, aperto nel 1907 per i

bambini deficienti dai 5 ai 7 anni, aveva organizzato una piccola squadra sportiva che partecipava a diverse gare, scegliendo per essa il nome “I Mi- nimi” (Vanin, 2009, pp. 63-100). Attraverso questi concorsi gli allievi usci- vano dall’Istituto ed entravano in contatto con quel mondo che erano chia- mati a conoscere per integrarvisi una volta lasciata la struttura. Tali eventi si presentavano, dunque, quali occasioni favorevoli per mostrare agli allievi ciò che animava la vita sociale e per farli percepire come parte attiva di quella gioventù italiana riunita per mostrare i nobili risultati ottenuti a se- guito di una scrupolosa cura fisica.

Conclusioni

Nello specifico dell’esperienza dell’Istituto San Vincenzo di Milano, ciò che è emerso dall’analisi delle fonti bibliografiche e archivistiche è l’investi- mento posto sull’educazione fisica del minore, in quanto funzionale al suo adeguato sviluppo organico e nel contempo alla sua crescita intellettuale e morale. L’attività ginnica fortificava e temprava il corpo dell’anormale psi- chico, divenendo inoltre strumento per risvegliare le sue deboli facoltà psi- chiche e per allontanare da lui tendenze immorali come l’ozio e l’indolenza. D’altronde, specificava il maestro Terzoli, la ginnastica era utile non solo alla formazione del singolo, ma in generale permetteva di fortificare l’intera gioventù italiana, di cui i fanciulli deficienti erano chiamati a sentirsi parte integrante. Egli, al motto di “Formiamo un popolo di sani, di coraggiosi, di forti e l’avvenire sarà nostro!” (1911, p. 11), così scriveva:

La febbrile vita delle nostre città industriali abbatte i nervi, sciupa l’organismo, debilita le forze, accelera la decadenza della razza; urge correre ai ripari, è necessario controbilanciare; aria, luce, moto, gin- nastica sono gli antidoti invocati dagli igienisti, dagli educatori, da- gli uomini di stato (Terzoli, 1911, p. 11).

La cura mostrata da Terzoli e in maniera più generale dal personale dell’Ente nei confronti dell’attività fisica degli allievi deficienti rimanda senza dubbio a un’attenzione verso la disciplina tipica delle realtà educative speciali di inizio Novecento. Ad esempio, la ginnastica era presente nel pro- gramma didattico del Pio Istituto Sordomuti poveri di Milano, all’interno del quale si è detto maturò il progetto educativo per gli insufficienti men-

tali (Fusina, 2008), così come era inserita tra le discipline dell’Istituto per sordi di Torino (Morandini, 2010, pp. 33-34). Ma non mancava nemme- no tra le materie erogate dalla Scuola per la preparazione del personale in- segnante ed assistente degli anormali dell’Università Cattolica di Milano, dove venivano formati i maestri che avrebbero operato nelle istituzioni per i disabili fisici, psichici o sensoriali (Debè, 2017, pp. 109-110).

Se il lavoro sull’educazione fisica al San Vincenzo ha posto in evidenza – seppure in maniera piuttosto sintetica – l’importanza affidata a tale ma- teria, i suoi presupposti teorici e le modalità con cui essa veniva implemen- tata agli albori del XX secolo in questa specifica realtà, esso però suggerisce la possibilità di esplorare anche altre piste di indagine, che pongano in in- terconnessione molteplici e differenziate esperienze educative. Tra i diversi filoni di studio rintracciabili, è allora possibile individuare quelli relativi ai manuali e ai libri di testo sulla ginnastica, alla riflessione scientifica presen- te nelle riviste di settore, nonché ai più generali nessi tra la disciplina ap- plicata in ambito speciale a quella erogata nelle scuole comuni.

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Il circolo virtuoso fra ricerca educativa