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All’origine dell’accezione negativa di “lobby” in Italia

Nel documento LUISS GUIDO CARLI (pagine 49-52)

Il tema della rappresentanza degli interessi e, nello specifico, della disciplina delle lobbies costituisce una “questione antica”: si può forse parlare di un fenomeno “riscoperto”, la cui diffusione si è accentuata in epoca recente, ma è fuor di dubbio - e diversi studi43 in materia ne descrivono in modo approfondito le ragioni - che il fenomeno dei gruppi di pressione e le lobbies siano parte integrante delle dinamiche che caratterizzano i sistemi democratici da moltissimo tempo. Da altrettanto tempo il concetto di lobby è permeato da un sentimento di sospetto ed un senso di oscurità, legati al funzionamento del sistema politico – decisionale e di rappresentanza degli interessi, che contribuiscono a conferire al termine un’accezione negativa. E lo è ancor più nel nostro paese, l’Italia, dove nonostante ci sia, da una parte, chi parla di necessità di legittimare le lobbies e la professione del lobbista attraverso una regolamentazione ad hoc, dall’altra, chi tende quantomeno ad attribuire alla parola “lobby” un significato il più possibile neutrale e obiettivo - come a voler rispecchiare quella che è ormai una visione consolidata

43Cfr. PASQUINO G., Prefazione, in TRUPIA P., La democrazia degli interessi, Il Sole 24 Ore,

Milano, 1989, pp. 11-16, p. 11. Si veda sul punto lo studio comparato condotto nel volume PETRILLO P.L., Democrazie sotto pressione, Giuffrè, Milano, 2011, la cui “Premessa” si apre partendo dall’assunto che il fenomeno dei gruppi di pressione è strettamente connesso allo sviluppo delle democrazie industriali.

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nel contesto americano - il termine “lobby” continua, nella maggior parte dei casi, ad essere utilizzato nel senso spregiativo con cui la parola si usava una volta44.

Anche se la sempre maggiore influenza dell’ordinamento dell’Unione europea sembra aver leggermente incrinato il pregiudizio negativo diffuso in Italia nei confronti delle lobbies e della loro attività di rappresentanza degli interessi, tuttavia non si tratta di un atteggiamento completamente superato. Ciò è facilmente riscontrabile nel quotidiano - oltre che strettamente connesso al processo decisionale45 - quando si pensa alla connotazione negativa con cui il termine “lobby” o l’attività di “lobbying” vengono utilizzati in ambito giornalistico e scientifico: di fronte alla maggior parte delle azioni di pressione condotte dai cosiddetti portatori di interessi, «la parola “lobbista” è utilizzata come sinonimo di faccendiere e il verbo inglese “to lobby” sembra tradursi in tali casi con “corrompere”»46. La stessa opinione pubblica italiana, infatti, utilizza a volte il termine come sinonimo di corruzione o di poteri occulti e diffusi che alterano il

44 In Italia, «le culture politiche dominanti si mostravano riluttanti a riconoscere il fenomeno degli interessi che si organizzano e premono e, ideologicamente, lo relegavano fra le deviazioni di un ipotetico modello democratico che vedesse i cittadini farsi rappresentare dai partiti dentro le istituzioni e tutto il resto operare come diaframma, quindi in maniera illecita, confinato nei meandri del sistema.» in PASQUINO G., Prefazione, cit., p. 12.

45 «Direi che anche nelle regole di procedura parlamentare il sospetto nei confronti delle attività di lobbying si è fatto sentire e in parte si fa ancora sentire. Basti pensare alle resistenze frapposte all’introduzione delle udienze legislative, che per lungo tempo sono state superate solo in via di fatto, attraverso l’utilizzo a tale scopo delle audizioni informali e delle indagini conoscitive; solo nel 1997 il regolamento della Camera ha espressamente consentito lo svolgimento di tali strumenti conoscitivi nel corso del procedimento legislativo, durante l’istruttoria legislativa in commissione.» in LUPO N., Verso una regolamentazione del lobbying anche in Italia? Qualche osservazione

preliminare, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, Rivista elettronica di diritto pubblico, di diritto dell’economia e di scienza dell’amministrazione a cura del Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche “Vittorio Bachelet”, sezione Parlamento - Note e commenti, 16 gennaio 2006.

46 PETRILLO P. L., Le lobbies della democrazia e la democrazia delle lobbies, in www.ildirittoamministrativo.it, Rivista giuridica, sezione Temi e Dibattiti, studi su “La

regolamentazione dell’attività delle lobbies. I gruppi di pressione nell'ordinamento italiano”, 24

agosto 2011. Il presente contributo trae origine dall’intervento al convegno sul tema “L’attività di

lobbying tra trasparenza e partecipazione”, tenutosi a Roma il 17 febbraio 2011, organizzato

dall’Università di Tor Vergata di Roma, dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione e dal Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Scrive l’autore: «In realtà le lobbies non hanno nulla a che vedere con tali fenomeni che ciclicamente sono riproposti dalla stampa. Il lobbista non è un corruttore, non utilizza fondi occulti per influenzare il decisore pubblico, non basa la propria attività su regalie, cene, feste o aerei supersonici messi a disposizione al politico di turno. La differenza tra un lobbista e un faccendiere sta proprio qui, anche se i mezzi di comunicazione non sembrano rendersene conto.»

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funzionamento del processo decisionale e, nel dover associare alla parola “lobby” un aggettivo, dimostra la chiara tendenza ad attribuirle prevalentemente delle qualità negative 47 . E ancora, il concetto di lobby è spesso oggetto di “semplificazioni” affrettate, nel senso di fungere da capro espiatorio nei casi di stallo del processo decisionale o di prese di posizione da parte del decisore pubblico ritenute errate: in questi ed in molti altri casi del genere è usuale sentire affermazioni del tipo “è colpa delle lobbies” oppure “non è stata fatta una buona azione di lobbying”.

La connotazione negativa di cui il termine gode nel nostro Paese non è neanche direttamente riconducibile alla sua etimologia: la parola “lobby” trova la propria origine nella lingua latina medioevale e discende da laubia che significa loggia, portico, con specifico riferimento ai chiostri dei monasteri ed ai porticati che li racchiudevano, in cui i monaci si incontravano per conversare48.

Con ogni probabilità, il fatto che il termine lobby, mutuato dalla tradizione anglosassone, venga usato nella lingua italiana come sinonimo di “gruppo di pressione”, equazione ritenuta tra l’altro ampiamente valida in dottrina, può in qualche modo giustificare la negatività con cui le lobbies sono percepite, in quanto

47 Concedetemi a proposito una nota suggestiva, facendo riferimento ad un episodio accaduto nel febbraio 2010, in un’aula universitaria della LUISS Guido Carli di Roma, quando il prof. Petrillo, docente in materia di “regolamentazione dei gruppi di pressione” presso il Master di II livello in

Relazioni istituzionali, Lobby e Comunicazione d’Impresa, chiese agli studenti della prima edizione,

in apertura del corso, di attribuire ciascuno un aggettivo alla parola “lobby” o un sostantivo ad essa correlato: emersero in quella occasione una miriade di vocaboli tra i quali erano nettamente superiori per numero aggettivazioni del tipo “corrotta, nascosta, oscura, ecc.”

48 Il sito web dell’enciclopedia libera Wikipedia www.wikipedia.org, così come altri siti internet, specifica che «Secondo Adrian Room questa parola venne usata per la prima volta da Thomas Bacon in The Relikes of Rome nel 1553; nel 1593 essa venne ripresa da William Shakespeare in Enrico VI, parte II, con il significato di “passaggio”, “corridoio”. Altre fonti fanno derivare lobby dall’Antico Alto-Tedesco lauba, che significava deposito di documenti, che divenne poi lobby nell'adattamento inglese. Il dizionario inglese Webster ricorda che questa parola designa anche il recinto dove vengono raggruppati gli animali destinati al macello. Fu nel secolo diciannovesimo, 1830 circa, che il termine lobby venne ad indicare, nella House of Commons, quella grande anticamera in cui i membri del Parlamento usavano votare durante una “division”».

Successivamente il termine venne attribuito a quella zona del Parlamento in cui i rappresentanti dei gruppi di pressione cercano di contattare i membri del Parlamento stesso. Per indicare questi rappresentanti e l’attività da essi esercitata, si iniziò, nel XIX secolo, a far uso dei termini lobbyist e lobbying. Estensivamente “lobby” indica poi il gruppo da essi rappresentato.»

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derivante dal collegamento immediato che viene fatto al concetto di “pressione” esercitata sul decisore pubblico, interpretata in senso chiaramente negativo49.

Altra plausibile spiegazione è che, in Italia, viene inevitabilmente a crearsi quello che Piero Trupia definisce una sorta di “pasticcio tra interesse e potere”, che impedisce di vedere le cose separatamente e cioè l’una, la lobby, come strettamente connessa all’attività svolta dai portatori di interessi e l’altro, il potere, come un obiettivo proprio della politica50.

Premesso dunque il pregiudizio italiano che colloca le lobbies in un limbo grigio tra legalità e illegalità, è assolutamente necessario, ai fini della nostra analisi, andare oltre una visione che rischia di essere distorta e riduttiva e procedere innanzitutto col definire l’oggetto del nostro studio nelle sue varie articolazioni.

3.3 Cosa si intende per lobby e attività di lobbying: qualche

Nel documento LUISS GUIDO CARLI (pagine 49-52)

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