4.11 Le forme di intervento in ambito comunitario e le disposizioni legislative
4.11.3 L’intervento della legge Mammì a protezione dei minori (legge n. 223 del
A dare attuazione ai contenuti della Direttiva comunitaria del 1989 nell’ordinamento interno ha provveduto la già citata legge del 6 agosto 1990, n. 223, tuttora in vigore per molte disposizioni in materia di protezione dei minori, attraverso la quale il legislatore italiano pone diversi obblighi in capo a tutti i concessionari pubblici e privati riguardo al contenuto dei programmi televisivi, operando una distinzione tra programmazione cinematografica vera e propria (art. 15, comma 11° e 13°) e film prodotti per la televisione e programmazione in generale (art. 15, comma 10°).
Per quanto riguarda la trasmissione di opere cinematografiche, l’art. 15, 11° comma, vieta alle emittenti televisive di trasmettere “film ai quali sia stato negato
200 G. SAVORANI, La disciplina della pubblicità e delle vendite sul mezzo televisivo e su internet, in R. ZACCARIA (a cura di), Informazione e telecomunicazione, cit., pp. 849-916, p. 878. L’adozione del V-chip si è diffusa specialmente negli Stati Uniti dove, scrive Savorani, «si ritiene che regole autoritative limitative dei contenuti della comunicazione siano contrarie al freedom of
speech, garantito dal First Amendment della Costituzione federale», p. 877.
«Nata per la prima volta in Canada a seguito delle polemiche sorte dopo il “massacro di Montreal” (14 donne uccise in diretta TV nel Politecnico della città), la tecnologia del V-chip si è sviluppata soprattutto negli USA, dove, a partire dal 1998, tutte le televisioni di nuova generazione dovranno contenere questo dispositivo.» in nota a L. CARRERA, La tutela dei diritti del minore, cit., p. 807. 201 Per quanto riguarda il Libro verde cfr. M. P. VIVIANI SCHLEIN, Media e protezione dei minori, cit., p. 212; M. SPALLETTA, La comunicazione tra diritto ed etica, cit., p. 19; le note a G. SAVORANI, La disciplina della pubblicità e delle vendite sul mezzo televisivo e su internet, cit., p. 876.
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il nulla osta per la proiezione o per la rappresentazione in pubblico oppure siano stati vietati ai minori di anni 18”, secondo il procedimento di censura già stabilito dall’art. 13 della legge 21 aprile 1961, n. 161, recante norme sulla “Revisione dei film e dei lavori teatrali”202. Rispetto a tale previsione, la disposizione in esame, il cui oggetto di riferimento è limitato al solo prodotto cinematografico, non presenta alcun elemento di forte novità se non quello di estendere il divieto in linea generale a tutti i concessionari203. Un carattere sostanzialmente innovativo è riscontrabile invece al comma 13° dell’art. 15, in cui il legislatore introduce la predisposizione di una fascia oraria precisa affermando che “i film vietati ai minori di anni 14 non possono essere trasmessi né integralmente né parzialmente prima delle ore 22.30 e dopo le ore 7”, dando chiara dimostrazione di aver recepito l’obbligo di adozione di particolari accorgimenti tecnici, contenuto nella Direttiva “TV senza frontiere”, al fine di poter giustificare la diffusione di programmi ritenuti potenzialmente nocivi per un pubblico minore. Tale scelta di fissare un intervallo di tempo in cui è più difficile che i minori siano esposti alla televisione, lo si sottolinea ancora una volta, dovrebbe rappresentare una forma di bilanciamento tra l’interesse a garantire la loro tutela e le esigenze riconducibili ad un pubblico adulto204.
202 Considerando il rispetto del limite del buon costume come il criterio principe su cui si basa la censura cinematografica, la proiezione dei film cinematografici è subordinata al rilascio di un apposito nulla osta da parte del dipartimento per lo spettacolo della Presidenza del Consiglio, su parere conforme delle Commissioni di revisione di primo grado. Cfr. note a L. CARRERA, La tutela
dei diritti del minore, cit., p. 812; con riferimento specifico alla tutela del minore-utente, la legge n.
161/62 «prevede la possibilità per le commissioni di censura di ricorrere a criteri aggiuntivi che facciano riferimento “alla particolare sensibilità dell’età evolutiva ed alle esigenze della sua tutela morale” (art. 9). E che anche in questo caso la tutela del minore sia più ampia di quella prevista in generale per lo spettatore adulto, andando ben oltre il ristretto limite del buon costume, è confermato dall’art. 9 del regolamento di esecuzione della legge n. 161/62.» L’art 9 del d.P.R. 11 novembre 1963, n. 2069, stabilisce infatti che “debbono ritenersi in ogni caso vietate ai minori le opere cinematografiche e teatrali che, pur non costituendo offesa al buon costume ai sensi dell’art. 6 della legge, contengano battute o gesti volgari; indulgano a comportamenti amorali; contengano scene erotiche o di violenza verso uomini ed animali o relative ad operazioni chirurgiche od a fenomeni ipnotici o mediatici, se rappresentati in forma particolarmente impressionante o riguardanti l’uso di stupefacenti; fomentino l’odio e la vendetta; presentino crimini in forma tale da indurre all’imitazione od al suicidio in forma suggestiva.” Sul punto cfr. A. VALASTRO, La tutela dei
minori, cit., p. 672 e A. FRAGOLA, Alcune osservazioni sul regolamento di esecuzione della legge sulla censura, in Rassegna di diritto cinematografico, pp. 1964-1966.
203 Cfr. R. ZACCARIA, Commento all’art. 15 (comma 8-16) l. 6 agosto 1990 n. 223, in E. ROPPO, R. ZACCARIA (a cura di), Il sistema radiotelevisivo pubblico e privato, Milano, Giuffrè, 1991, pp. , p. 346.
204 Cfr. L. CARRERA, La tutela dei diritti del minore, cit., p. 813, A. VALASTRO, La tutela dei
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Prima di esaminare il 10° comma dell’art. 15, occorre menzionare l’art. 30, 1° comma, della stessa legge Mammì, il quale riserva ai minori una tutela particolare in relazione al settore della programmazione che si riferisce specificamente all’infanzia ed all’adolescenza. Tale norma, sanzionata penalmente, traendo ispirazione dall’ultimo comma dell’art. 21 Cost., sancisce il divieto generale di trasmissioni radiofoniche o televisive di carattere osceno e ne considera la violazione punibile secondo quanto previsto dall’art. 528 c. p., armonizzando, in tal modo, la disciplina della televisione a quella della stampa, ma soprattutto estendendo l’applicabilità dell’art. 528 cod. pen. ai programmi che presentino i caratteri ed i contenuti previsti dall’art. 14 della legge n. 47/48, che riguarda appunto le “Pubblicazioni destinate all’infanzia e all’adolescenza”205. La garanzia di una tutela penale dei minori così ampia, predisposta attraverso una formulazione “aperta” ed estesa non solo ai contenuti giudicati osceni in sé ma a tutti quelli che possono in qualche modo colpire la loro sensibilità, riflette l’obiettivo «della corretta e serena evoluzione psichica dei minori, anche sotto il profilo della capacità di autodeterminarsi, che va mantenuta libera da influenze negative e suggestioni devianti.»206
Il carattere aperto che contraddistingue la formula dell’art. 14 della legge sulla stampa può trovare un aiuto per la determinazione della fattispecie proprio nei più puntuali parametri di riferimento forniti dall’art. 15, 10° comma, della legge n. 223/90, il quale specifica il divieto assoluto di trasmettere “programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico e morale dei minori, che contengano scene di violenza gratuita o pornografiche, che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità”. Pur dando attuazione all’art. 22 della Direttiva del 1989, la disposizione in esame sembrerebbe adottare
205 In base a quanto disposto dall’art. 14 delle legge sulla stampa, devono ritenersi vietate le trasmissioni radiotelevisive destinate ai fanciulli e agli adolescenti che, tenuto conto della sensibilità e impressionabilità ad essi proprie, siano “idonee ad offendere il loro sentimento morale o a costituire per essi incitamento alla corruzione, al delitto o al suicidio” (1°comma), nonché quelle destinate alla sola infanzia nelle quali “la descrizione o l’illusione di vicende poliziesche e di avventura sia fatta, sistematicamente o ripetutamente, in modo da favorire il disfrenarsi di istinti di violenza e di indisciplina sociale” (2° comma).
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una disciplina maggiormente restrittiva, più perentoria e rigorosa rispetto alla norma comunitaria: mentre quest’ultima opera infatti una differenziazione tra “programmi nocivi” e “programmi gravemente nocivi” da evitare tout-court, l’art. 15, 1° co., stabilisce un divieto generale cui sono assoggettate entrambe le categorie, essendo cioè rivolto a tutta la programmazione indistintamente. In realtà, il divieto assoluto deve essere integrato con la deroga prevista al par. 2 dell’art. 22 della Direttiva, che esclude l’applicazione del divieto fissato per le emittenti che appartengono agli Stati membri dell’Unione nel caso in cui, come già fatto presente, la scelta dell’orario di trasmissione oppure l’utilizzo di determinati accorgimenti tecnici consentano di escludere che i minori si possano normalmente trovare esposti alla visione di programmi ritenuti a loro nocivi207. Il recepimento di tale disposizione da parte della disciplina in tema di trasmissioni transfrontaliere contenuta nell’art. 51 della legge comunitaria 2001208 non fa che essere una conferma al suo costituire un limite al carattere generale del divieto suddetto.
Alla luce dell’analisi svolta sull’art. 15 della legge n. 223/90, sembra emergere chiaramente il suo insito carattere di norma generale e di chiusura in tema di tutela dei minori, come del resto è stato sottolineato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione nella nota sentenza 6759/04209. Essa acquista valore per l’ampiezza della sua formulazione e, allo stesso tempo, fornisce dei criteri
207 «La correttezza di questa interpretazione dell’ordinamento interno alla luce dei criteri derogatori indicati nell’art. 22, paragrafo 2, della direttiva è stata sottolineata nell’aprile del 2004 dalla Corte di Cassazione la quale, con la già richiamata sentenza n. 6759/04, ha affermato che una diversa applicazione dei divieti previsti nell’art. 15, comma 10, della legge 223/90, non armonizzata con le disposizioni contenute nell’art. 22, paragrafo 2 della direttiva, avrebbe come conseguenza la violazione del principio di parità di trattamento tra emittenti nazionali ed emittenti transfrontaliere. In particolare – ha sostenuto la Suprema Corte – le emittenti nazionali verrebbero in tal modo ad essere private “della possibilità di far valere la concreta inidoneità della trasmissione ad arrecare pregiudizio allo sviluppo dei minori”, con la conseguenza di essere private di libertà e diritti “garantiti dall’art. 21 della Costituzione”.» in nota a F. BRUNO, G. NAVA, Il nuovo ordinamento
delle comunicazioni, cit., p. 831.
208 Ci si riferisce alla legge 1 marzo 2002, n. 39, recante “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee”, di cui si parlerà nelle pagine a seguire.
209 Nella citata sentenza, con l’espressione di “norma di chiusura”, la Corte “sulla base del presupposto della mancanza di maturità fisica, psichica ed intellettuale del minore, allude con evidenza, come già accennato, agli essenziali, complessi e graduali processi di svolgimento e di formazione della personalità del minore stesso (dalla prima infanzia all’adolescenza) nelle sue molteplici dimensioni (emotiva, intellettiva e morale) e ne fa oggetto di una specifica protezione”.
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qualificativi dei programmi (cioè il riferimento a scene pornografiche, di violenza gratuita e ad atteggiamenti di intolleranza) che, seppur nella loro generalità, contribuiscono a dare un contenuto concreto al concetto di “programma nocivo per lo sviluppo del minore”.
D’altra parte, è pur vero che non si possa parlare di criteri pienamente esaustivi, se si considera quanti settori della programmazione, più o meno soggetti alla presenza di contenuti classificabili come pericolosi, rimangano estranei alla previsione in oggetto; senza contare il fatto che il rigore della norma lasci peraltro irrisolte questioni come la programmazione di promos e trailers, ovvero le anteprime della rete, la sua attività di autopromozione commerciale, che è peraltro ignota ai tele-utenti ed è pertanto impossibile per loro selezionarne l’accesso. La necessità di una loro disciplina è stata evidenziata da numerose ricerche210 che hanno posto in risalto il forte impatto emotivo che possono avere, attraverso una loro trasmissione isolata e non contestualizzata, le scene di un film scelte, per la promozione, tra le più scioccanti, violente o eccitanti con il pretesto di attirare maggiormente il pubblico, di impressionarlo. In verità, il fatto che l’art. 15 vieti, al comma 13°, la trasmissione anche parziale del film, senza specificare alcuna distinzione in merito alla forma di diffusione, dovrebbe indurre a considerare, in via estensiva, anche lo spezzone scelto per la promozione soggetto al divieto di cui sopra, come ha dimostrato chiaramente di orientarsi in tale senso il legislatore comunitario nella direttiva 97/36/CE211.
210 Tra le più interessanti, quella sfociata nella realizzazione del Rapporto di Los Angeles sulla televisione negli Stati Uniti d’America, ricerca gestita dall’ Università di Los Angeles e finanziata dai maggiori networks televisivi americani. «L’analisi, condotta su fiction cinematografica televisiva, serial e cartoni animati di produzione americana (molti dei quali diffusi da tempo anche in Italia), è stata divulgata e ha costretto gli operatori del settore ad una presa di coscienza, seguita da una sorta di auto-regolamentazione, un self restraint, che dovrebbe produrre un incremento della qualità dei prodotti confezionati per il mercato dell’audiovisivo. Il traguardo auspicabile è quello dell’aumento degli standards qualitativi, mentre l’adozione di devices elettronici può rappresentare solo uno strumento utile per evitare “il peggio”, ma che non dispensa né gli Stati dall’emanare norme in materia, in attuazione dei principi costituzionali (vedi per l’Italia l’art. 31, c. 2 Cost.), né l’Autorità di garanzia dal controllarne il rispetto nella programmazione cui possono assistere i bambini.» in G. SAVORANI, La disciplina della pubblicità e delle vendite sul mezzo televisivo e su internet, cit., p. 878.
211 Nel modificare la direttiva 89/552/CEE, la direttiva 97/36/CE ha inserito alcune previsioni riguardanti per l’appunto “annunci effettuati dall’emittente in relazione ai propri programmi e ai
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Tuttavia, l’attribuzione all’emittenza televisiva di una forma di responsabilità fa sì che l’art. 15 conservi comunque il suo ruolo di norma di chiusura 212 del sistema normativo a protezione del minore-telespettatore, ulteriormente perfezionato dagli interventi legislativi successivi, in quanto, come aveva osservato Cuffaro in proposito, la presenza nell’ordinamento «di una precisa norma di tutela con riferimento a qualsivoglia trasmissione radiotelevisiva consente di disegnare un più ampio orizzonte all’interno del quale sono suscettibili di valutazione tutti i programmi irradiati dai concessionari»213 attraverso i parametri di riferimento da essa individuati.