4.9 L’influenza della televisione sul pubblico minore
4.9.2 La TV fa male ai bambini? Fino a che punto tutelarli
Nel dibattito sul potere e sugli effetti dei media, della televisione in particolare, al segmento dei minori è stata da sempre riservata una trattazione speciale, perché essi rappresentano un’alta percentuale di teleutenti, ma soprattutto perché spesso e volentieri costituiscono dei fruitori solitari del piccolo schermo
171 L. CARRERA, La tutela dei diritti del minore nelle comunicazioni televisive e nell’informazione, in Il diritto di famiglia e delle persone, n.2/2001, pp. 803-826, p. 803.
172 Dai risultati di alcune ricerche qualitative su bambini e giovani risulta infatti che «in maniera significativa, il modo di rendere una camera di ragazzo un luogo di interesse, socialità, esplorazione, eccitazione ed indipendenza, è riempirla di media: televisioni, videoregistratori, computer, stereo; tutte queste cose si stanno facendo sempre più strada nelle camere di bambini sempre più piccoli, e le aspettative dei bambini stanno crescendo di pari passo.» in S. LIVINGSTONE, G. GASKELL, M. BOVILL, Bambini, giovani e mutazione nei media, in Problemi dell’informazione, n. 4/1997, pp. 496-512, p. 509.
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indipendentemente dai programmi a loro destinati e dal sistema delle cosiddette “fasce protette”.
Il rapporto tra minori e televisione è caratterizzato da una profonda ambivalenza; essa è un mezzo che, in quanto tale, può essere assimilato ad altri mezzi, tuttavia i suoi caratteri intrinseci di pervasività e forza di persuasione, il suo essere diffusa in maniera capillare sul territorio e legata ad interessi economici considerevoli rendono facilmente possibile che i suoi effetti negativi prevalgano su quelli positivi173. Se infatti, da una parte, la televisione può costituire per i bambini uno strumento di conoscenza oltre che di piacevole intrattenimento, dall’altra, può contribuire alla formazione di stereotipi e luoghi comuni attraverso il rafforzamento, a volte fino all’esasperazione, di valori sociali che tenderanno ad essere assolutizzati. Ciò può determinare una visione deformata della realtà, in quanto il bambino non riesce a percepire i limiti della rappresentazione televisiva a causa di quello che può essere definito un “effetto di naturalizzazione” della televisione nella vita quotidiana174. Non a caso lo studioso Dorr scriveva che i minori «si configurano come pubblico speciale, dotato di un grado incompleto di comprensione del mondo.»175 In effetti, i bambini hanno una conoscenza limitata del mondo reale perciò, anche se, attirati dalle immagini, prediligono guardare in TV eventi spettacolari e surreali per il senso di stupore che suscitano, può accadere loro di non capire o fraintendere i contenuti di un programma, perché non sono in grado di distinguere in maniera chiara ciò che reale dalla finzione e possono convincersi che ciò che li circonda sia esattamente come la televisione lo rappresenta.
La complessità del rapporto tra televisione e minori è inoltre data dal fatto che non è sufficiente stabilire delle fasce di programmazione specifiche per soddisfare il loro bisogno di conoscenza attraverso il mezzo televisivo, poiché, nella maggioranza dei casi, il minore sceglie di seguire trasmissioni destinate agli adulti, che implicano quindi logiche di una certa complessità, a prescindere dall’offerta di
173 Cfr. S. SPINI, Televisione e problemi educativi, Brescia, La Scuola, 1995, p. 87.
174 Cfr. M. PINTO, La televisione nella vita quotidiana dei bambini. Il contesto come testo, in
Problemi dell’informazione, n. 4/1997, pp. 513-519, p. 516.
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programmi a lui riservati, per pura curiosità e voglia di scoperta176. La preferenza a guardare programmi dedicati agli adulti è infatti da collegarsi al desiderio del bambino di sentirsi più grande, il che ha delle implicazioni inevitabili sull’uso che questi fa dei media: preferire i media o il contenuto rivolto in genere all’adulto aiuta il bambino ad attenuare il divario che lo separa dalle persone più grandi; si pensi, ad esempio, al successo riscosso da quei telefilm in cui gli adolescenti si comportano come persone adulte. Piuttosto comune è anche l’opinione che i minori si servano spesso della televisione anche «per sperimentare, delineare e confermare la propria identità sessuale.»177 Dalle ricerche effettuate dal Censis178 risulta che la curiosità verso il mondo degli adulti si sviluppa nei bambini nell’età compresa tra i 7 ed i nove anni; questa loro voglia di esplorazione attraverso il mezzo televisivo dovrebbe non solo spingere ad una cura maggiore della programmazione, che si traduce nella facile imposizione di divieti a volte fini a se stessi, ma essere utilizzata come incentivo forte a migliorare la qualità dell’offerta per i minori nel suo complesso.
Le trasmissioni televisive comunicano spesso in modo unidirezionale, rivolgendosi ad un pubblico indifferenziato, o meglio, dimenticando le differenze. Il problema è che, specialmente nelle reti televisive commerciali, la programmazione è anch’essa legata a fattori economici e di mercato che in qualche modo la viziano. Sarebbe necessario resistere alle pressioni commerciali almeno nei confronti del pubblico dei più deboli, esposto ad una televisione che spettacolarizza la violenza, non conosce il senso del limite ed è mossa essenzialmente dall’obiettivo dell’aumento dell’audience e dei profitti provenienti dagli introiti pubblicitari: «la violenza delle immagini, l’invadenza quantitativa e contenutistica dei messaggi pubblicitari, lo scarso rilievo dato alla qualità culturale, la crescente banalizzazione delle programmazioni»179 sono i risultati immediati ed
176 M. SPALLETTA, La comunicazione tra diritto ed etica: tutela dei minori e tv, Roma, Luiss, 2001, p. 3.
177 S. CAPECCHI , M. G. FERRARI, L’immaginario tra “iper-ordinario” e “straordinario”: l’uso
dei media da parte di un gruppo di bambini e bambine, in Problemi dell’informazione, n. 3/1997,
pp. 367-392, p. 383.
178 CENSIS, Note e Commenti – Media e minori nel mondo, cit. p. 53. 179 S. SPINI, Televisione e problemi educativi, cit., p. 18.
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evidenti dell’impiego di tali meccanismi nonché dell’impoverimento che caratterizza la programmazione per ragazzi fin dai primi anni ‘80180.
Nonostante l’offerta di programmi specializzati rivolti al pubblico minore sia notevolmente aumentata negli ultimi anni, in risposta all’avvertita esigenza di avere a disposizione un più ampio ventaglio di programmi tra cui scegliere, essa ha senza dubbio perso in termini di qualità e varietà: si ricorre sempre più di frequente a formule più spicciole di programmazione a causa dell’aumento delle importazioni e, soprattutto, della competizione tra canali che porta loro ad omologarsi su un peggioramento qualitativo che mal sposa la legge della concorrenza.
A volte sono gli stessi teleutenti minori a richiedere una maggiore cura nelle programmazioni, a dimostrazione del fatto che l’idea di una ricezione esclusivamente passiva dei messaggi da parte del pubblico dei più deboli non possa essere generalizzata. Infatti, non sempre i bambini subiscono passivamente l’influenza “ipnotica” dei media, al contrario, soprattutto nella fase della preadolescenza, si rivelano utenti competenti, capaci di esternare i propri gusti e le proprie preferenze. La loro competenza televisiva si riscontra nella capacità di selezionare quali programmi vedere, riconoscere i diversi generi, identificare gli orari dei loro appuntamenti sul piccolo schermo, sviluppare un certo senso critico: è questo che li rende, in qualche modo, dei fruitori attivi del mezzo181. Nel loro avvicinarsi alla televisione con lo scopo di spiare il mondo adulto, dimostrano di sapersi difendere da essa, dal rischio di creare dei meccanismi di dipendenza e si
180 La riflessione sul mutamento che ha interessato la programmazione in generale nell’ultimo ventennio trae spunto dalle argomentazioni di A. VALASTRO, La tutela dei minori, in R. ZACCARIA (a cura di), Radiotelevisione, Padova, Cedam, 1996, pp. 659-686, p. 660, in G. SANTANIELLO, Trattato di diritto amministrativo, vol. XV, t. 2. La Valastro descrive alcuni tra i sintomi abbastanza evidenti riconducibili a tale cambiamento: «dalla presenza più marcata di contenuti violenti in molti settori della programmazione, alla preponderanza che sembrano aver assunto i criteri dell’audience e del medio consenso tendenti a produrre procedure di semplificazione della complessità assai poco adeguate a realizzare l’educazione critica degli utenti.» Si vedano in proposito anche gli studi del Censis, in CENSIS, Note e Commenti – Media e minori nel mondo, cit., pp. 37 ss.
181 Cfr. CAPECCHI S., FERRARI M. G., L’immaginario tra “iper-ordinario” e “straordinario”:
l’uso dei media da parte di un gruppo di bambini e bambine, in Problemi dell’informazione, n.
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rivelano «consumatori accorti e selettivi»182, dotati di senso critico e capaci di decifrare il linguaggio della TV.
Naturalmente tali considerazioni non possono ritenersi valide tout court, dovendo tenere presente che l’influenza televisiva può risultare positiva, creando una sorta di subcultura dei giovanissimi, oppure negativa in base alle circostanze e, soprattutto, in relazione ad una variabile fondamentale che è quella dell’età: non bisogna dimenticare infatti che, i caratteri della capacità ricettiva di un minore di 16 anni variano enormemente rispetto a quelli di un bambino di 6.
L’influenza della televisione sul segmento più giovane della popolazione ha determinato lo sviluppo di modalità comunicative, il riprodursi di abitudini e modi di essere adottati come esempi di vita cui tendere a conformarsi183. In linea generale, è proprio il binomio suggestione-imitazione rispetto al rapporto minori e televisione, che si realizza anche attraverso la loro stessa rappresentazione in TV184, a rendere nociva la trasmissione di programmi apparentemente ritenuti innocui.
Sebbene siano noti i possibili condizionamenti derivanti dal mezzo televisivo, non è tuttavia possibile esprimere un giudizio di carattere assoluto riguardo ai suoi effetti sui minori: la televisione non deve essere di certo demonizzata, ma è anche doveroso segnalarne gli effetti negativi, variamente discussi da studiosi ed esperti, che possono scaturire da un suo abuso. Il celebre filosofo Karl Popper parlava della televisione come di una “cattiva maestra”185, sempre che tale si possa definire, se l’appellativo attribuitole intende sottolinearne la funzione strettamente educativa; d’altra parte, egli non escludeva però la possibilità che, accanto al suo essere nocivo, essa potesse presentarsi anche sotto una veste “buona”, in fondo, elementi positivi ed elementi negativi necessitano di
182 M. SPALLETTA, La comunicazione tra diritto ed etica, cit., p. 11.
183 P. STANZIONE, G. SCIANCALEPORE, Minori e diritti fondamentali,cit., p. 287.
184 A tal proposito, i dati della ricerca “il bambino mediato”, realizzata dal Censis nel 1996, hanno evidenziato come «il bambino sia utilizzato dalla televisione, soprattutto nei programmi di informazione, come cover per introdurre e sensibilizzare a problematiche di attualità o più semplicemente come immagine, stimolo di tipo emozionale per intercettare l’attenzione distratta del telespettatore. I bambini vittime di guerre civili, i bambini affamati dell’Africa i bambini intrappolati nei ghetti e nelle favelas diventano semplicemente un’immagine strumentale per calamitare l’audience.» in CENSIS, Note e Commenti – Media e minori nel mondo, cit., p. 49.
185 Per un approfondimento sulla tematica, di notevole interesse è lo scritto di K. R. POPPER,
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essere messi a confronto e bilanciati. Zeno-Zencovich invece, di fronte alle accuse di eccessiva interferenza nella vita quotidiana mosse alla televisione, reagisce con una provocazione che invita a guardare il mezzo televisivo come uno specchio, tutt’altro che deformante, della nostra società, il quale non fa altro che descriverne le caratteristiche, oggi, probabilmente, rispetto ai suoi eccessi: «certamente» scrive «vi è un progressivo spostamento dall’immaginario (quel che si legge o si sente raccontare) verso l’immagine (quel che si vede).» 186 La televisione può dunque far male e far bene, il problema è definire quali siano i limiti che consentono di stabilire fino a che punto essa possa nuocere o meno ed a chi spetti il compito di fissare dei parametri che permettano di determinare quale sia la televisione “buona” e quale la “cattiva”, pur rispettando la libertà di manifestare il proprio pensiero e quella di decidere autonomamente a quali manifestazioni del pensiero volersi esporre.
È per questa ragione che, in relazione ai minori e, nello specifico, a fattori quali l’aumento degli ascolti ed il loro essere distribuiti in una fascia oraria che tende a dilatarsi, si rende necessaria una disciplina giuridica specifica per il minore inteso come tele-utente, una garanzia di tutela differenziata per un soggetto che, si ritiene giusto ribadire, è caratterizzato da una maggiore fragilità, tanto sotto il profilo emotivo che cognitivo, «unita ad un minore controllo percettivo della realtà.»187. Da qui l’importanza di porre un’adeguata attenzione all’impegno dimostrato dal legislatore nel predisporre delle norme specifiche a protezione dei minori in riferimento al settore radiotelevisivo, sia rispetto alla programmazione che all’ambito pubblicitario.