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L’introduzione di fasce orarie protette e segnaletica nella Direttiva

Nel documento LUISS GUIDO CARLI (pagine 121-124)

4.11 Le forme di intervento in ambito comunitario e le disposizioni legislative

4.11.1 L’introduzione di fasce orarie protette e segnaletica nella Direttiva

Il tema è affrontato per la prima volta in ambito comunitario, con la Direttiva del 3 ottobre 1989, n. 552, meglio conosciuta come “Televisione senza frontiere”, attuata nell’ordinamento italiano dalla cosiddetta legge Mammì, ovvero la legge del 6 agosto 1990, n. 223, sulla disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato. Tale Direttiva riprende i principi guida contenuti nella Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera194, adottata dal Consiglio

193 Prima di addentrarsi nell’analisi delle singole disposizioni è necessario fare una precisazione terminologica riguardo a come devono essere intesi i termini “fanciulli”, “adolescenti”, “minori”, ecc. variamenti usati nella legislazione comunitaria ed in quella nazionale: «una ricostruzione sistematica conduce in ogni caso alla conclusione che la disciplina in questione riguardi indifferentemente tutte le fasce d’età al di sotto della soglia della maggiore età, così come essa è determinata nei singoli ordinamenti dei paesi membri. In definitiva per minori (ricorra di volta in volta il termine bambini, adolescenti, ecc.) si deve intendere minorenni, […]. La disciplina in definitiva, è intesa a tutelare tutti i minorenni attraverso disposizioni indifferenziate (si pensi a quelle che vietano i programmi idonei a nuocere gravemente allo sviluppo psico-fisico) e disposizioni dedicate (mirate sui bambini per quanto riguarda i cartoni animati piuttosto che sugli adolescenti per quanto riguarda ad esempio i linguaggi delle cronache sportive).» in nota a F. BRUNO, G. NAVA,

Il nuovo ordinamento delle comunicazioni, cit., p. 828.

194 L’art. 7 della Convenzione vieta infatti tutti i programmi contrari alla decenza, che possono suscitare comportamenti violenti o incitare all’odio razziale, stabilendo il principio generale per cui “tutti gli elementi dei servizi di programmi, dal punto di vista sia del contenuto che della presentazione, devono rispettare la dignità della persona ed i diritti fondamentali della persona”. Inoltre, riferendosi in via esclusiva ai minori ed alla loro tutela, la Convenzione avverte l’esigenza dell’individuazione di una fascia oraria protetta precisando che “gli elementi di servizi di programmi che sono suscettibili di pregiudicare lo sviluppo fisico, psichico e morale dei fanciulli o degli adolescenti non devono essere trasmessi quando questi ultimi sono suscettibili di guardarli, dato l’orario di trasmissione e di ricezione”.

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d’Europa il 15 marzo del 1989 a Strasburgo e successivamente ratificata dall’Italia con legge del 5 ottobre 1991 n. 327, ponendosi come fine il coordinamento della normativa riguardante l’attività di produzione televisiva europea, attraverso la predisposizione di una “disciplina minima” cui gli Stati membri sono tenuti ad adeguarsi195.

La Direttiva 89/552/CEE, come modificata dalla successiva Direttiva del 30 giugno 1997196, n. 36, raccomanda che i programmi ritenuti dannosi per i minori, se non criptati, siano mandati in onda dopo un certo orario e preceduti da un’avvertenza vocale o dalla presenza sullo schermo di un simbolo identificativo, facendo dunque ricorso a due precisi strumenti di tutela utilizzati più di frequente in Europa, che sono appunto il sistema delle “fasce orarie protette” e la “segnaletica”. Come è noto, il primo funge da spartiacque tra le trasmissioni rivolte esclusivamente ad un pubblico adulto da quelle destinate ad una visione familiare, ed è naturalmente funzionale all’organizzazione del palinsesto televisivo che varia in base alle abitudini di fruizione del sistema di ciascuno Stato; il secondo scaturisce, invece, da un sistema di classificazione dei programmi televisivi,

195 A tal proposito può essere condivisa l’opinione secondo cui oggetto principale di tale disciplina così unificata è «la definizione di un minimo comune denominatore che serva ad armonizzare le discipline statali in tema di audiovisivo, per la migliore circolazione dei servizi. La normativa consta di una blanda promozione dell’audiovisivo europeo, di alcune regole minime sulla pubblicità commerciale, della garanzia di alcuni diritti degli utenti.» in E. BROGI, Dalla revisione della

direttiva “tv senza frontiere” al ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo: alcuni elementi dell’evoluzione del “diritto europeo del’informazione”, in P. COSTANZO, G. DE MINICO, R.

ZACCARIA, I tre codici della società dell’informazione: amministrazione digitale, comunicazioni

elettroniche, contenuti audiovisivi, Torino, Giappichelli, 2006, pp. 325-340, p. 327.

Per un approfondimento sui contenuti generali della direttiva, nonché sulle disposizioni relative alla tutela dei minori, si vedano anche R. MASTROIANNI, Competenza normativa comunitaria ed

internazionale, in R. ZACCARIA (a cura di), Radiotelevisione, cit., p. 69; A. LAMBERTI, L’informazione televisiva tra diritto interno e comunitario, Milano, Giuffrè, 1997, pp. 34 ss.; M. A.

CARUSO, Le emissioni radiotelevisive nella direttiva comunitaria e nella sua applicazione in Italia, Milano, Giuffrè, 1991; MARCANTONIO, NICOLELLA, La Direttiva “Televisione senza

frontiere” e la sua attuazione in Italia, in Rivista di diritto europeo, 1991, p. 369; V. CUFFARO, La direttiva Cee sulla Tv senza frontiere: un primo passo verso la disciplina del “caos nell’etere italiano”, in Diritto dell’ informazione e dell’informatica, 1990, p. 293.

196 Si ricorda che la Direttiva cui si fa riferimento continua ad essere nel tempo oggetto di dibattito in merito al suo processo di revisione; sulle modifiche apportate dalla direttiva del 1997 si vedano anche G. STROZZI, R. MASTROIANNI, La disciplina comunitaria delle attività televisive: recenti

sviluppi in tema di tutela del pluralismo e la revisione della direttiva “televisione senza frontiere”,

in R. ZACCARIA (a cura di), Informazione e telecomunicazione, cit., pp. 475-510 e A. FRAGOLA,

Alcune osservazioni sulla Direttiva comunitaria 97/36 in tema di disciplina delle attività televisive,

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ordinati in relazione a variabili quali la tipologia di pubblico cui si rivolgono in rapporto alle caratteristiche del contenuto, il quale è reso noto al pubblico attraverso una segnalazione sia sullo schermo che nelle sezioni dedicate sulla carta stampata. Scontato stimolare una riflessione circa le responsabilità spettanti in questo campo ad organizzatori dei palinsesti ed a coloro cui compete classificare i programmi.

In particolare, per quanto concerne le trasmissioni televisive, all’art. 22, la Direttiva impone agli Stati aderenti alla Comunità di adottare tutte le misure atte a garantire che i programmi trasmessi delle emittenti televisive operanti sul proprio territorio non risultino “in grado di nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni,” riferendosi in particolar modo ai “programmi che contengano scene pornografiche o di violenza gratuita”. Al par. 2 dello stesso articolo, tale divieto si estende a tutti i programmi ritenuti nocivi “allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni”, a meno che la scelta dell’orario di trasmissione o l’adozione di qualche accorgimento tecnico consentano di escludere “che i minorenni che si trovano nell’area di diffusione assistano normalmente a tali programmi”; di certo non si tratta di una forma di garanzia assoluta197 - la quale, se ci fosse, dovrebbe d’altra parte essere accompagnata dalla possibilità di stabilire il grado di nocività di un programma - ma è pur sempre il frutto di quel necessario bilanciamento tra diritti e libertà, tra interessi dei minori e quelli degli adulti da cui non si può, o forse solo non si riesce, in alcun modo a prescindere.

Dunque, la disposizione in questione opera una distinzione tra programmi gravemente nocivi, perciò oggetto di un divieto assoluto, e programmi considerati nocivi, rispetto ai quali il divieto non sussiste qualora essi vengano trasmessi dopo le ore 22:30 o prevedano l’uso di quegli accorgimenti tecnici finalizzati ad escluderne la visione ai minori e siano preceduti198, se trasmessi in chiaro, come già

197 Inoltre, si ritiene necessario sottolineare che, per quanto riguarda tutti i programmi che rientrano nella disciplina del par. 2 dell’art. 22, la funzione disgiuntiva della congiunzione “o” consente di ritenere sottratti al divieto quei programmi che, seppur nocivi, a prescindere dall’orario in cui i programmi suddetti vengono trasmessi, risultino dotati di quegli strumenti selettivi di accesso che consentono di escludere in modo ragionevole la loro visione da parte di minori. Cfr. F. BRUNO, G. NAVA, Il nuovo ordinamento delle comunicazioni, cit., p. 829.

198 Tale previsione costituisce un’aggiunta introdotta dalla Direttiva 97/36/CE, «allo scopo di facilitare il compito degli Stati nell’individuazione delle tecniche atte a salvaguardare il processo di

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fatto presente, da un’apposita avvertenza audio o dotati di un simbolo visivo presente durante tutta la trasmissione che fungano da obbligo di classificazione dei programmi a rischio. Di fronte a tale circostanza, nel momento in cui si verificano le condizioni che determinano il venir meno della necessità di tutela del pubblico minore, la deroga prevista al divieto consente di lasciare spazio al diritto di diffondere e distribuire i servizi televisivi199.

Nel documento LUISS GUIDO CARLI (pagine 121-124)

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