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Fondamenti costituzionali e altre fonti di riferimento

Nel documento LUISS GUIDO CARLI (pagine 70-74)

La nostra Costituzione non prevede esplicitamente delle norme atte a regolare e garantire il rapporto tra il decisore pubblico ed i gruppi di interesse così come avviene invece per i partiti politici, che trovano legittimazione nel diritto di associarsi liberamente, riconosciuto in capo a tutti i cittadini all’art. 49 Cost., al fine di “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

Tuttavia è possibile rintracciare, nel modello costituzionale italiano, i presupposti all’emergere dei gruppi di pressione riconducendo la loro attività a quelle disposizioni costituzionali tese a riconoscere e tutelare il diritto alla partecipazione dei cittadini al processo decisionale, esplicitamente espresso nell’ambito dell’art. 3 Cost. e desumibile anche dalle previsioni contenute nell’art. 2 Cost., in riferimento alle formazioni sociali e, ancora, dal diritto generale di associarsi liberamente riconosciuto dall’art. 18. Nella sfera del esclusivamente circoscritto all’identità partitica. Sempre nell’ottica del riconoscimento del diritto

86 A questo proposito si conceda ancora una breve digressione che rimanda ad un approfondimento sulla prassi ancora diffusa nel nostro Paese, in cui «gli interventi in materia di qualità della regolazione muovono ancora invariabilmente da un provvedimento legislativo anche laddove lo stesso esito avrebbe potuto essere raggiunto agendo solo sul piano amministrativo. Si preferisce utilizzare le norme non solo per abrogare altre norme ma anche per imporre la realizzazione delle stime degli oneri amministrativi o per disciplinare l’Air o per ridurre i termini procedimentali.» in NATALINI A., La qualità della regolazione in Italia. Una visione d’insieme, in NATALINI A., TIBERI G. (a cura di), La tela di Penelope – Primo Rapporto Astrid sulla semplificazione legislativa

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alla partecipazione si colloca poi l’art. 50 Cost., sul diritto di petizione, che ancor più sembra voler sottolineare l’aspetto interventista del ruolo del cittadino rispetto al processo decisionale, fino ad arrivare ai più specifici artt. 71 e 75 Cost.: il primo, sull’esercizio del potere di iniziativa legislativa, dal quale deriva poi il diritto a presentare emendamenti che, per certi versi, si può dire legittimi quasi espressamente la necessità di prevedere un’apposita disciplina sul contributo fornito dai gruppi di interesse alla fase istruttoria; il secondo, relativo alla previsione del referendum abrogativo su richiesta di un determinato numero di elettori (500.000) o di gruppi particolari, quali i Consigli regionali (nel numero di cinque)87. Quest’ultimo può però essere considerato uno strumento di partecipazione ex post, tenuto conto che viene utilizzato in risposta ad un processo decisionale che si è già concluso ed in opposizione ad esso. In chiave di riconoscimento della rappresentanza di interessi può essere interpretata anche, a parer nostro, la previsione contenuta nell’art. 99 Cost., riguardante l’istituzione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL)88, da intendersi come organo ausiliario all’attività delle Camere e del Governo che costituisce, o meglio, dovrebbe costituire, una sorta di forum “di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive”. Oltre a tali disposizioni, all’interno delle quali far rientrare l’attività di lobbying, è poi possibile rintracciarne altre 89 relative alla funzione della controparte, il decisore pubblico, e da cui non bisogna prescindere in prospettiva di un’ipotesi di regolamentazione binaria del fenomeno90.

Innanzitutto su queste basi si fonda, dunque, la legittimazione dell’influenza che le lobbies esercitano sulle istituzioni e sempre su di esse trova giustificazione la necessità di prevedere una disciplina che ne dia atto, nel rispetto di principi e

87 Più in generale, anche le altre tipologie di referendum previste dalla Costituzione sono da intendersi strumento di partecipazione e rappresentanza di interessi.

88 Infra par. 2.3.3.

89 Ci si riferisce, tra gli altri, agli artt. 54, 97 e 98 Cost.

90 Al di là della nostra Costituzione, le origini dei gruppi di interesse sono rintracciabili anche «in un atto normativo ancora precedente, lo Statuto della Regione Sicilia, approvato nel 1946 e poi convertito in legge costituzionale nel 1948, il cui art. 12 stabilisce che “I progetti di legge sono elaborati dalle Commissioni della Assemblea regionale con la partecipazione delle rappresentanze degli interessi professionali e degli organi tecnici regionali”» in GUZZETTA G., I gruppi di

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diritti costituzionalmente sanciti e sui quali la stessa Corte costituzionale si è espressa91.

Tra le altre fonti di riferimento dalle quali emerge la volontà – in questo caso del legislatore – di definire delle regole atte a disciplinare il coinvolgimento dei rappresentanti di interessi nel processo decisionale e, nello specifico, il loro rapporto con il decisore pubblico, vi sono senz’altro i regolamenti di Camera e Senato, con riguardo alla disciplina dell’istruttoria legislativa. Il riconoscimento dei diritti costituzionalmente riconosciuti e pocanzi citati ritorna all’art. 109 del regolamento della Camera ed all’art. 140 del regolamento del Senato, relativi alla disciplina delle petizioni presentate in Parlamento, anche se la prassi ha ampiamente dimostrato l’inefficacia di tali strumenti; considerazione valida anche per quanto concerne l’iniziativa legislativa popolare, per cui un determinato gruppo ha l’opportunità di presentare un provvedimento su cui sarà poi chiamato a pronunciarsi l’intero corpo elettorale, ma senza alcuna garanzia né diritti di prelazione per lo stesso corpo elettorale sulle altre proposte di legge al vaglio del Parlamento: per quel che riguarda la Camera, l’art. 107 prevede perlomeno che i progetti presentati, ma non discussi in Aula, non decadano al termine della legislatura e possano essere ripresentati nella legislatura successiva, mentre tempistiche più ristrette sono previste al Senato, rispetto al quale l’art. 74 stabilisce che la discussione dei progetti di legge assegnati debba essere necessariamente avviata entro un mese dalla presentazione. Per citare un ulteriore esempio, l’art. 79 del regolamento della Camera prevede la partecipazione all’istruttoria legislativa anche da parte dei rappresentanti di interessi particolari, mediante il ricorso a strumenti quali le audizioni e le indagini conoscitive92: anche in questo caso, le perplessità riguardano non la bontà della norma in sé, bensì la sua effettiva e tutt’altro che ricorrente applicazione. I regolamenti parlamentari si esprimono anche sulle modalità di attivazione del CNEL e di tutta una serie di strumenti

91 Il riferimento implicito è rivolto alle due sentenze della Corte costituzionale, la n. 1 e la n. 290 del 1974, in cui la Corte afferma – e legittima – il diritto costituzionalmente riconosciuto, in capo a tutti i cittadini, anche in forma associata, ad influenzare l’autorità politica e di governo. Per un approfondimento sul tema si rimanda a PETRILLO P.L., Democrazie sotto pressione, cit., p. 322 ss.

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connessi al meccanismo di consultazione dei portatori di interessi che vedremo meglio nel paragrafo successivo.

Molte altre sono ancora le norme sparse nell’ordinamento italiano che, sotto diversi aspetti, mirano a regolare il complesso rapporto esistente tra lobbies e decisore pubblico. Nei riguardi di quest’ultimo si esprime innanzitutto il Codice Penale che prevede il reato di abuso d’ufficio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 357 e 323 c.p., per chiunque, nell’esercizio di una funzione legislativa ed, in virtù di ciò, considerato pubblico ufficiale, procuri intenzionalmente “a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale” ovvero arrechi “ad altri un danno ingiusto”, nel caso in cui, ad esempio, ometta di astenersi dalle votazioni in Aula (dunque nello svolgimento delle proprie funzioni) in merito a questioni in cui è possibile rintracciare un proprio interesse diretto o quello “di un prossimo congiunto”. Nella medesima direzione vanno anche la legge n. 195 del 1974, sul finanziamento delle campagne elettorali, nonché la legge n. 441 del 1982, sull’anagrafe del patrimonio dei decisori pubblici93, e le disposizioni introdotte in materia di analisi d’impatto della regolamentazione (AIR).

In definitiva, si tratta di una rassegna di norme che, così elencate, forniscono agli occhi di chi le esamina un quadro complesso e apparentemente consapevole non solo dell’esistenza dei gruppi di pressione nel sistema politico-istituzionale italiano, ma anche della più volte ribadita necessità di regolare la loro attività e le modalità di interazione con le istituzioni, tentando di dare quantomeno ordine alle disposizioni normative esistenti, di “sistematizzarle” attraverso la creazione di un apparato normativo ad hoc. Dopo un primo abbaglio, come dimostrato ed ampiamente discusso anche nel corso dell’analisi di contesto in cui valutazioni analoghe si sono palesate rispetto al più generale tema della qualità della regolazione in Italia, ci si accorge come ancora una volta alla base del problema ci sia una questione di prassi e, più precisamente, di mancata applicazione di ciò che già esiste e “potrebbe” funzionare.

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È per questo motivo che, in riferimento all’attuale quadro giuridico italiano in materia, si può ragionevolmente parlare di «norme silenziose che “vivono” nell’ordinamento quasi come automi, di norme contenute in disposizioni che altro dispongono e che vengono disattese o, peggio, disapplicate dallo stesso legislatore che le ha introdotte.»94

Nel documento LUISS GUIDO CARLI (pagine 70-74)

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