3.7 Una regolamentazione necessaria (?)
Non è chiaro se poter affermare o meno che sia meglio, o più corretto, regolare l’attività di lobbying. Quello che vorremmo sostenere in questa sede è che la sua regolamentazione in Italia, a prescindere dal fatto di poterla considerare corretta o meno, è oggi più che mai da ritenersi necessaria; e necessario è anche il fatto che questa venga percepita non come una forma di controllo sulle lobbies - che invece sarebbe innanzitutto necessaria, in forma più stringente, prima di tutto
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sul potere politico e sui partiti67 - ma tanto più come una forma di sua legittimazione. Crediamo infatti che, in parte, sia anche la mancata legittimazione delle diverse forme di attività di influenza esercitata dalle lobbies a contribuire e favorire la diffusione di quelle forme oscure di rappresentanza di interessi a scapito di iniziative che potrebbero invece essere condotte allo “scoperto” e sottoposte a quel controllo sociale da vivere anche come legittimazione e riconoscimento delle lobbies da parte della società.
Altra questione connessa alla regolamentazione dei gruppi di pressione riguarda la necessità di modificare molti altri meccanismi connaturati al processo decisionale. Oltre alla necessità di regolamentare i partiti, cui si è accennato pocanzi, regolamentare il rapporto tra le lobbies e il decisore pubblico significa essere consapevoli del fatto che, come sostiene Petrillo, «poiché le lobbies operano come veri e propri attori della scena politica ed istituzionale, influenzando l’indirizzo politico stesso del governo e del Parlamento (e in tal senso determinando l’andamento della forma di governo di un Paese), non è pensabile regolare le lobbies senza regolare anche i decisori pubblici, ed, in effetti, le norme introdotte in Italia vanno in questa direzione.»68
Tale problematica non è circoscritta esclusivamente al caso italiano, che è senza dubbio quello oggetto della nostra analisi, ma l’urgenza con cui si affaccia a noi è significativamente legata a quel processo di integrazione europea cui si è accennato all’inizio ed in più parti del presente lavoro; in questo senso, ci si riferisce nello specifico alla regolamentazione dell’attività di lobbying avviata dall’Unione europea, che ha previsto, dal 1996, il Registro dei rappresentanti degli interessi al
67 Si veda, per un approfondimento sulla questione, LUPO N., Quale regolazione del lobbying?, cit. p. 7. Di simile avviso è MUZI, FALCONI T., Influenzare il processo decisionale pubblico:
testimonianze di un lobbista, in TRUPIA P., Le lobbies, cit., pp. 193-201, p. 201.
68 PETRILLO P. L., Lobbies. Le norme ci sono, basterebbe applicarle, cit. p. 1. Di simile avviso, ma maggiormente ottimista sul punto, PELLEGATTA M., La rappresentanza degli interessi, in TRUPIA P., Le lobbies, cit., pp. 203-206, p. 204, ritiene il lobbying una pratica che in una certa misura ha già trovato un riconoscimento giuridico e rispetto all’Italia scrive che «Per quanto riguarda il Parlamento, infatti, la sede tipica in cui avviene l’intervento delle organizzazioni di interesse è quella delle audizioni e udienze legislative (hearings) previste, sia pure con modalità diverse, dai regolamenti delle due Camere come strumenti conoscitivi ma che, in realtà, assolvono anche la fondamentale funzione di “apertura” del Parlamento verso la società e le articolazioni in essa presenti.» .
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Parlamento europeo e, successivamente, ha adottato, un analogo registro della Commissione che apre la strada ad una prossima realizzazione di un registro congiunto delle due istituzioni69.
In definitiva, l’esperienza delle democrazie occidentali, caratterizzata dall’apertura alla partecipazione, dal controllo sociale e, soprattutto, dal riconoscimento del ruolo dei corpi sociali e della loro influenza - legittima e pubblica - sulle istituzioni, induce inevitabilmente a ritenere necessaria una legittimazione ed una proceduralizzazione delle lobbies anche in Italia. Se, infatti, consideriamo le lobbies un’espressione tipica e legittima delle democrazie moderne e del loro sviluppo, una regolamentazione del fenomeno lobbistico in Italia non può non apparire senza ombra di dubbio necessaria70.
69 Cfr. GUZZETTA G., I gruppi di interesse come problema e come soluzione nello stato
contemporaneo, cit. p. 7. Prosegue l’autore «Si tratta di un percorso che trova la sua ragione ultima
nel processo di definizione ormai decennale della Governance europea e le cui ricadute istituzionali possono rinvenirsi anche nel Trattato sull'Unione europea, così come emendato dal Trattato di Lisbona. Quest’ultimo ha infatti inserito alcune disposizioni relative “ai principi democratici” (l’uso del plurale è indicativo delle incertezze teoriche). Per l’art. 11, in particolare, “Le istituzioni danno
ai cittadini e alle associazioni rappresentative, attraverso gli opportuni canali, la possibilità di far conoscere e di scambiare pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori di azione dell'Unione” e
“mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la
società civile”. Mentre “al fine di assicurare la coerenza e la trasparenza delle azioni dell'Unione, la Commissione europea procede ad ampie consultazioni delle parti interessate.».
70 Interessanti e condivisibili le ragioni per cui possa oggi considerarsi plausibile parlare in Italia di “regolazione necessaria” rispetto all’attività di lobbying descritte da GUZZETTA G., I gruppi di
interesse come problema e come soluzione nello stato contemporaneo, cit. p. 9: «1. La proliferazione
degli interessi organizzati nel prossimo futuro non è certamente destinata a diminuire. I dati per quanto non sempre convergenti, parlano chiaro. Una simile tendenza rischia di rendere sempre più problematica una gestione artigianale ispirata alla totale deregulation, sia in termini di sovraccarico di domande che di paralisi decisionale anche a seguito dell’operare dei veti reciproci tra i portatori di interessi la cui attività, com’è rilevato in tutta la letteratura, non consiste solo nel far valere il proprio interesse, ma nel tenere a bada l’interesse dei propri concorrenti. 2. Inoltre l'equilibrio dello
status quo non può sopportare un’asimmetria competitiva tra gli interessi che vada oltre un certo
limite di tollerabilità senza trasformarsi in un assetto discriminatorio. 3. Come rilevava l'Ocse, una società sempre più diffidente verso il potere ed in un contesto globale di attenuazione della legittimazione dell'autorità pubblica, una eccessiva opacità e deregulation rischia di avere effetti negativi, non solo rispetto alle istituzioni, ma anche rispetto alle stesse lobbies, producendo danni reputazionali e talvolta favorendo forme distorsive e patologiche di tipo corruttivo (o di influence
peddling) che alimentano e producono discredito. 4. Per non parlare, ovviamente del fatto che
l’opacità delle relazioni tra gruppi di interesse e processo di decisioni mette a rischio i dispositivi della responsabilità politica, che sono alla base meccanismo democratico.
Mi rendo conto che tante delle ragioni che convincerebbero molti sulla necessità di cambiare sono le stesse che spingono altri a conservare lo status quo. »
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Concludiamo dunque sostenendo la tesi di molti71, per cui l’attività di rappresentanza di interessi, nel momento in cui viene socialmente legittimata, diventa funzione ed ingrediente essenziale del pluralismo delle democrazie contemporanee, di quel pluralismo basato sulla partecipazione influente alla decisione pubblica, funzione che «collega il Decisore Pubblico alle forze reali della società, riduce la complessità sociale, socializza la funzione politica.»72.