• Non ci sono risultati.

Gruppi di pressione e decisore pubblico: le ragioni di un rapporto complesso

Nel documento LUISS GUIDO CARLI (pagine 64-68)

3.8 Il panorama italiano: analisi del contesto

3.8.1 Gruppi di pressione e decisore pubblico: le ragioni di un rapporto complesso

Le difficoltà legate al rapporto tra i gruppi di pressione ed il decisore pubblico e, in particolare, tra attività di lobbying e disciplina giuridica, sono sempre esistite nel nostro Paese; in un certo qual senso, può affermarsi che come l’esigenza di rappresentare interessi particolari nasce contestualmente allo sviluppo delle democrazie industriali73, così il pregiudizio nei confronti delle lobbies è connaturato al nostro stesso ordinamento giuridico. Questo, difatti, si contraddistingue per alcuni fondamenti, tra cui il principio dell’interesse pubblico e della volontà

71 «per eliminare questa aura di clandestinità basta soltanto dare a questa pratica quello statuto che essa ha già nelle democrazie avanzate». TRUPIA P., Le lobbies, cit., p. 147.

72 TRUPIA P., La democrazia degli interessi, cit., p. 158. 73 Supra par. 1.3.

65

generale, che impediscono il pieno riconoscimento, soprattutto dal punto di vista giuridico, di determinate realtà quali appunto i gruppi di pressione e che, nel contempo, rendono comprensibile l’atteggiamento ostile diffuso nei loro riguardi. Nello specifico, il «mito dell’interesse pubblico, […] solo da qualche decennio appare oggetto di consapevolezza critica e fors’anche in via di superamento: pure nella scienza giuspubblicistica, si incomincia a comprendere che l’interesse pubblico, se esiste, non può che essere il frutto di un processo di confronto tra gli interessi particolari nel procedimento amministrativo.»74

Si tratta pertanto di un rapporto complesso, dovuto in gran parte dalla presenza massiccia in Italia di un sistema partitico che ha sempre svolto il ruolo di rappresentante delle istanze dei corpi sociali e che non è mai stato soggetto a delle regole specifiche; non essendo prevista una disciplina giuridica propria dei partiti, non era certo pensabile una regolamentazione dei gruppi di pressione, nei cui riguardi non si era mai manifestato in passato uno spiccato interesse.

Questa è senza dubbio una delle ragioni principali per cui il nostro Paese non può vantare non solo una disciplina organica in materia, ma neanche degli studi ad hoc sul rapporto tra la rappresentanza di interessi ed il decisore pubblico che solo negli anni più recenti si stanno sviluppando; questo non perché, come è facilmente intuibile, i gruppi di pressione non esistessero, ma in quanto la paura della legittimazione di un fenomeno che si è sviluppato in modo anomalo in Italia, anche come conseguenza del carattere peculiare della stessa forma di governo del nostro Paese, ha per lungo tempo pervaso diverse correnti di pensiero e alimentato la concezione per cui le lobbies rappresentavano il “male” della democrazia italiana e non una sua naturale espressione75.

In Italia, dunque, la lacuna esistente in materia di gruppi di pressione negli studi giuridici e politologici e nei saggi a carattere scientifico, oltre che nella disciplina legislativa nazionale, è senz’altro riconducibile essenzialmente al monopolio esercitato dai partiti politici nello svolgimento dell’attività di

74 LUPO N., Verso una regolamentazione del lobbying anche in Italia? Qualche osservazione

preliminare, cit. p. 1.

75 Per una sintesi sui maggiori studi italiani in materia si rimanda alle diverse fasi del dibattito italiano individuate da PETRILLO P.L., Democrazie sotto pressione, cit., p. 83 ss.

66

mediazione tra istituzioni e società civile. Ciò, naturalmente, a scapito dei gruppi di interesse che, pur esistendo, subivano il ruolo esclusivo di mediatori ricoperto dai partiti, dovendo ad essi subordinarsi per poter accedere alle dinamiche del processo decisionale. Per molto tempo, dunque, i gruppi di pressione hanno vissuto all’ombra del partito, se non addirittura organizzandosi all’interno di esso, senza che fosse quanto mai ipotizzabile una eventuale regolamentazione della loro attività, portata avanti in assoluta autonomia.

Neanche con l’avvento della crisi dei partiti dei primi anni novanta, – anni in cui è emersa «la crisi di rappresentanza di interessi, amplificata dalla discrasia tra centri di potere veri e fittizi e dalla rottura dell’unità tra rappresentanza di interessi e rappresentanza di identità collettive»76 – si è potuta riscontrare un’attenzione crescente verso i gruppi di pressione, né tantomeno un cambiamento di prospettiva nei confronti del loro ruolo77; tra le cause strutturali di questa mancanza d’interesse nel nostro Paese, vi sono di certo anche ragioni di natura economica e culturale, basti pensare, ad esempio, alla debolezza che ha da sempre caratterizzato il fenomeno dell’associazionismo in Italia.

Tra le ragioni di una mancata regolamentazione dei gruppi di pressione vi sono quelle derivanti, come già accennato, dal forte legame esistente tra questi e la forma di governo e, nello specifico, il sistema elettorale italiano: le caratteristiche proprie del sistema proporzionale avevano ancor più favorito, fino ai primi anni ’90, l’intreccio di interessi che legavano le lobbies ai partiti politici e l’influenza esercitata su di essi78, contribuendo al mantenimento di un clima di oscurità nel

76 RAZZANTE R., Lobbies e trasparenza: una regolamentazione possibile?, in Problemi dell’informazione, n. 3/2003, pp. 383-396, p. 384. Prosegue l’autore: «Inoltre, l’ipertrofia legislativa, che si traduce nell’emanazione di norme spesso pleonastiche e configgenti fra loro, concorre ad eludere i meccanismi di responsabilità dei singoli e degli stessi attori istituzionali, rendendo al tempo steso più ardua l’efficace e trasparente rappresentanza degli interessi delle collettività organizzate».

77 «Fuori dei partiti, tuttavia, anche se non contro i partiti, anzi per certi versi per merito dei partiti costituzionali, è cresciuto, si è articolato e si è venuto consolidando un forte tessuto di interessi organizzati, di gruppi, di rappresentanze, di autonomie: dell’economico, del culturale, del sociale.» in TRUPIA P., La democrazia degli interessi, cit., p. 84.

78 «il vero punto di snodo per comprendere il ruolo dei gruppi di pressione nell’evoluzione della forma di governo parlamentare italiana si ebbe con l’approvazione, da un lato, della legge n. 14 del 1978 che introduceva il parere obbligatorio delle commissioni competenti sulle nomine governative negli enti e nelle istituzioni pubbliche, e, dall’altro, con la legge n. 468 del 1978 di riforma delle procedure di formazione del bilancio. In particolare, con quest’ultima legge, come è stato scritto, il

67

contesto del processo decisionale. Un contesto in cui, l’assenza di una regolamentazione specifica dei gruppi di pressione ha anche inevitabilmente indotto quella che il Cons. Corradino79 ha definito una «perpetuazione dei rapporti di forza economica», in riferimento al fatto che va da sé che in un contesto del genere «i gruppi di pressione più forti abbiano una capacità di accesso alla stanza dei bottoni, ai luoghi del potere, ai luoghi fisici del potere, in maniera molto più significativa di chi questa potenza economica non ha.» 80.

Ciò spiega anche il perché non si sia avvertito il bisogno di una regolamentazione delle lobbies, né tanto meno dei partiti politici, demandati a rappresentare gli interessi particolari e “settoriali” a livello parlamentare e, dunque, strumento tacito dell’influenza dei gruppi di pressione sul decisore pubblico.

Questa complessità ha, tra alti e bassi, caratterizzato il rapporto tra gruppi di pressione e decisore pubblico fino ai giorni nostri, in cui il dibattito sul tema sembra essersi acceso maggiormente, all’interno di un sistema in cui si muovono diverse realtà insieme alle lobbies, tra cui, ancora, i partiti – o quel che di essi resta – e diversi sono gli umori che ruotano intorno alla possibilità di regolamentare un settore in cui, da un lato, si guarda ai principi di partecipazione e trasparenza della decisione pubblica che sarebbero così soddisfatti e, dall’altro, si teme il “rischio dell’eccesso”, ossia il rischio di un cambiamento di prospettiva che potrebbe passare da un clima di riluttanza ancora diffusa nei confronti delle lobbies ad un’eccessiva legittimazione giuridica della loro attività.

Parlamento “si appropriò” dei poteri tipicamente governativi: la legge n. 468, infatti, permise al Parlamento, in particolare attraverso la “legge finanziaria”, in occasione di una specifica sessione di lavori parlamentari denominata appunto “sessione di bilancio”, di assumere decisioni, coordinate in un disegno unitario, immediatamente incidenti sul bilancio dello Stato, divenendo così il vero organo di indirizzo della finanza statale.» in PETRILLO P.L., Democrazie sotto pressione, cit., pp. 309-310.

79 Michele Corradino, Consigliere di Sato intervenuto in occasione del convegno sul tema “L’attività

di lobbying tra trasparenza e partecipazione”, tenutosi a Roma il 17 febbraio 2011, cit.

80 CORRADINO M., Lobbies e gruppi di interesse nell’ordinamento italiano, in www.ildirittoamministrativo.it, Rivista giuridica, sezione Temi e Dibattiti, studi su “La

regolamentazione dell’attività delle lobbies. I gruppi di pressione nell'ordinamento italiano”, 24

68

Nel documento LUISS GUIDO CARLI (pagine 64-68)

Outline

Documenti correlati