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Alle radici del dislivello prometeico: Simmel

2. L’uomo è antiquato

3.3. Il dislivello prometeico

3.3.1. Alle radici del dislivello prometeico: Simmel

Portinaro, nel tratteggiare il contesto nel quale sarebbe nata questa intuizione di Anders (senza tuttavia l’intenzione di “ricostruirne nel dettaglio la genealogia”, 2003, p. 119), dopo aver citato l’importanza a questo proposito di Simmel, fa in primo luogo il nome di Karl Mannheim - che in un’opera apparsa nel 1935, L’uomo e la società in un’epoca di trasformazione, la cui tesi “è del resto piuttosto improbabile che gli [ad Anders] potesse essere sfuggita”, “tratta di «uno squilibrio nello sviluppo delle facoltà umane» che si manifesta nell’ordinamento sociale contemporaneo: «Lo sviluppo del dominio della tecnica moderna sulla natura è di molte miglia più progredito dello sviluppo dei poteri morali dell’uomo e della sua conoscenza dell’ordine sociale e del controllo della società»128 (ibid,

p.117) – e poi quello di Simone Weil, che nel 1934 scriveva: “Viviamo in un mondo dove nulla è a misura dell’uomo, c’è una sproporzione mostruosa fra il corpo dell’uomo, lo spirito dell’uomo e le cose che costituiscono attualmente gli elementi della vita umana: tutto è squilibrio”129 (vedi ibid, p.118).

Di discrepanza parlavano allora anche Lewis Mumnford, la cui produzione Portinaro non esclude che Anders abbia conosciuto durante il soggiorno americano e Gehlen, “ma la rassegna potrebbe in realtà continuare” (ivi).

In effetti, provando ad estendere questa rassegna, potremmo inserirvi Karl Kraus che, ne Gli ultimi giorni dell’umanità, inserisce un dialogo tra un ‘ottimista’ ed un

128 K. Mannheim, L’uomo e la società in un’epoca di trasformazione, Edizioni di Comunità,

Milano 1959, p.38

129 S. Weil, Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, Adelphi, Milano 1983,

‘criticone’, che allude a questa tematica130; oppure la stessa Hannah Arendt, che in

Vita activa così si esprime: “Ma può darsi che noi, che siamo creature legate alla terra ed abbiamo cominciato a comportarci come se l’universo fosse la nostra dimora, non riusciremo mai a comprendere, cioè a pensare e ad esprimere, le cose che pure siamo capaci di fare (p.3); od infine Hans Jonas131.

Particolarmente interessanti sono tuttavia le analogie tra la descrizione del ‘dislivello prometeico’ tratteggiato da Anders e ciò che Simmel indicava come caratteristica della società moderna, il predominio dello spirito oggettivo su quello soggettivo: crediamo sia perciò utile una breve valutazione della posizione di quest’ultimo, soprattutto attraverso l’analisi del testo a questo proposito più significativo e cioè Concetto e tragedia della cultura.

Il concetto di spirito oggettivo assume in Simmel un significato più ampio di quello hegeliano (da cui deriva e di cui mantiene significative risonanze filosofiche), comprendendo anche ciò che Hegel definiva Spirito assoluto: forme oggettive spirituali sono infatti, per lui, “l’arte e il costume, la scienza e gli oggetti costruiti secondo un fine, la religione e il diritto, la tecnica e le norme sociali” (Concetto e tragedia della cultura, p. 192; vedi anche p. 189).

Soltanto “l’oggettivazione dello spirito costituisce la forma che permette che il lavoro cosciente venga preservato ed accumulato” (Filosofia del denaro, p. 627), trasmettendo in eredità ciò che è stato già acquisito, così da consentire all’uomo di formare il proprio mondo. Spirito oggettivo si può perciò definire “la somma totale di tutti quei prodotti durevoli che gli esseri umani sono in grado di produrre non soltanto per se stessi, ma anche di ricevere da altri e di mettere a disposizione di altri” (Poggi, p.118).

Compito dell’individuo, dello spirito soggettivo, è riappropriarsi di questo sapere accumulato ed oggettivato attraverso quella “sintesi di uno sviluppo soggettivo e di un valore spirituale oggettivo” (Concetto e tragedia della cultura, p. 199) – “un’obiettivazione del soggetto e una subiettivazione di un Oggettivo” (ibid, p. 193) – che è, per Simmel, la ‘cultura’: “E’ questo il paradosso della cultura: la vita

130 Ottimista:. „L’evoluzione delle armi non può restare indietro rispetto alle conquiste tecniche

dell’età moderna“. Criticone: „No, ma la fantasia dell’età moderna è rimasta indietro rispetto alle conquiste tecniche dell’umanità“. Ottimista: „Ma forse che le guerre si combattono mcon la fantasia?“ Criticone: „No, perchè se si avesse questa, non si farebbero più quelle“ (Gli ultimi

giorni dell’umanità, Adelphi, 1996, p. 193).

131 In Il principio responsabilità egli parla infatti della „grandezza abnorme del nostro potere, che

si manifesta nell’eccesso del nostro potere di fare rispetto al nostro potere di prevedere e al nostro potere di valutare e giudicare“ (p. 29).

soggettiva, che noi sentiamo nel suo fluire incessante e che da se stessa preme in vista della sua perfezione interiore, non può raggiungere questa perfezione – alla luce dell’idea di cultura – con i propri mezzi, ma solo percorrendo quelle forme divenute estranee e cristallizzate in un autonomo isolamento. La cultura nasce – e questo è veramente essenziale per la sua comprensione – quando si incontrano due elementi che di per sé non la contengono: l’anima soggettiva ed un prodotto spirituale oggettivo” (ibid, p.192)132.

Nella cultura l’uomo si ritrova a casa propria nel mondo, superando ogni senso di estraneità. Uno scarto tra spirito soggettivo e spirito oggettivo appare perciò, come dire, fisiologico per ogni epoca storica: è compito della cultura superarlo, attraverso un processo di reciproca retroazione.

Nell’epoca moderna però questo processo ha subito un blocco: il ‘paradosso della cultura’ si trasforma nella ‘tragedia della cultura’: “Il concetto di ogni cultura consiste nel fatto che lo spirito crea un oggetto indipendente attraverso cui il soggetto prende la via dello sviluppo da se stesso a se stesso. Ma proprio così, quell’elemento che integra e condiziona la cultura è predeterminato ad uno sviluppo autonomo che impiega sempre più le forze dei soggetti e sempre più soggetti spinge sulla sua strada, senza per questo condurli all’altezza che meritano: lo sviluppo dei soggetti non può seguire la via intrapresa dallo sviluppo degli oggetti, e se tuttavia vuole farlo finisce o in un vicolo cieco o nello svuotamento della sua vita interiore più propria” (ibid, p. 208)133.

Simmel spiega questa dissociazione attraverso un’osservazione molto simile a quella, appena vista, di Anders: mentre la cultura oggettiva “come tale possiede una sconfinata capacità di esecuzione (…) [una] facoltà di accumulo – per così dire – inorganica”, non ha cioè limite alla sua crescita quantitativa, la capacità recettiva, accumulativa del singolo individuo “è limitata non solo dalla forza e dalla durata della vita, ma anche da una certa unità e dalla relativa compattezza

132 La cultura si presenta in Simmel dunque come un “processo di feed-back tra livello individuale

e livello culturale, processo che parte dagli individui ed a questi torna dopo aver attraversato il sistema di «cultura oggettiva». L’idea in generale che sorregge un tale concetto di «coltivazione», inteso come processo di feed-back, si riporta alla convinzione simmeliana di una capacità che è esclusiva dell’essere umano, di completare cioè la propria personalità assimilando ed interiorizzando quelle influenze che stanno fuori della sua sfera personale” (Nedelmann, citato da De Simone, p. 68).

133 La cultura oggettiva è così “diventata un mezzo a sé, per se stesso costitutivo di un mondo

autonomo separato dalla cultura soggettiva e in antitesi con quest’ultima” (Nedelmann, citato da De Simone, p. 69).

della sua forma” (ibid, p. 209), così da essere incapace di produrre effetti di macro-aggregazione.

La facoltà accumulativa del processo oggettivo viene esaltata dall’industrializzazione che, facendo sorgere un’offerta di merci superflue “che suscitano bisogni già di per sé artificiali e – se considerati dalla cultura del soggetto – privi di senso” (ibid, p. 208), ha emancipato la tecnica dalle finalità culturali, facendo aumentare sempre più il divario tra spirito oggettivo e spirito soggettivo: “Ogni giorno e da ogni parte si accresce il patrimonio della cultura oggettiva, ma lo spirito individuale può accrescere le forme e i contenuti della sua formazione solo con grave ritardo, poiché procede con un’accelerazione assai minore (…) Quanti lavoratori, persino all’interno della grande industria, sono in grado oggi di capire la macchina con cui hanno a che fare, di capire cioè lo spirito investito nella macchina?” (Filosofia del denaro, p 634).

Come causa principale della discrepanza tra cultura soggettiva e cultura oggettiva Simmel considera la divisione del lavoro, le cui conseguenze alienanti egli studia, soprattutto nella Filosofia del denaro, sia dal punto di vista della produzione, che dal punto di vista del consumo.

Nella moderna società capitalistica il lavoro ha perso la sua funzione espressiva: essendo il prodotto il risultato di un lavoro diviso e parcellizzato, svolto da molti individui, nessuno può più riconoscersi autore dell’opera. Quest’ultima perciò decade a mero frammento privo di un’unità intrinseca e non esprime più alcuna interiorità: “ (...) con ciò gli viene a mancare quell’interiore animazione che solo l’uomo nella sua totalità può dare all’opera nella sua totalità e che rende possibile il suo inserimento nel centro spirituale di altri soggetti” (Concetto e tragedia della cultura, p. 211).

Il lavoratore “non si riconosce più nelle proprie azioni” e prova un senso di estraneità nei confronti del proprio prodotto, che assume un “deciso essere-per-sé” (Filosofia del denaro, p. 644).

Anche il consumatore non si riconosce più nel prodotto, “il carattere soggettivo del prodotto svanisce anche dal lato del consumatore, perché il prodotto nasce indipendentemente da lui” (ibid, p. 645): la divisione del lavoro ha distrutto infatti la produzione su commissione, che permetteva al consumatore di instaurare un rapporto personale con la merce ed ha finito per creare oggetti impersonali ed

anonimi, che diventano così accessibili alla massa. (come sottolinea Boella, citata in De Simone, p. 84).

L’uomo moderno vive dunque in uno stato di tensione “determinato dal ‘predominio dell’oggetto sul soggetto’, dal fatto che i contenuti culturali seguono una logica che non ha nulla a che fare con il loro fine culturale, dalla sensazione di ‘qualcosa di soffocante’ che suscita l’essere circondati da una massa di oggetti” (Squicciarino, citato da De Simone, p.85, nota 133: si riferisce a Concetto e tragedia della cultura, p. 209).

La divisione del lavoro nella società moderna e la conseguente estraniazione del produttore dai suoi prodotti è però per Simmel “soltanto un aspetto del generale processo di differenziazione che separa dalla personalità i singoli contenuti per porli di fronte ad essa come oggetti dotati di una determinatezza e di un movimento indipendenti” (Filosofia del denaro, p. 644).

Perciò per Simmel anche “il «feticismo» che Marx attribuisce ai prodotti dell’economia nell’epoca di produzione delle merci è solo un caso, con modificazioni proprie, di questo destino generale dei nostri contenuti culturali. Tali contenuti sottostanno al paradosso – e in misura crescente con l’incremento della «cultura» - secondo cui essi sono creati solo da e per i soggetti, ma nella forma intermedia dell’oggettività che assumono al di qua e al di là di queste istanze, seguono una logica evolutiva immanente, e con ciò si estraniano dalla loro origine e dal loro fine”.

Su questa “logica culturale degli oggetti (…) si fonda il fatale impulso interiore alla coazione proprio di ogni «tecnica» non appena il suo sviluppo oltrepassa la sfera dell’impiego immediato”, quel meccanismo accumulativo, apparentemente autonomo, su cui anche Anders insiste nelle sue riflessioni : “può darsi così che la fabbricazione industriale di alcuni prodotti richieda quella di prodotti affini, di cui propriamente non vi è alcun bisogno: ma a ciò spinge la coazione a trarre il massimo rendimento da quei dispositivi che sono stati attivati” (Concetto e tragedia della cultura, p. 206).

Questa impostazione, secondo la quale l’alienazione si presenta come un dato antropologico ed il carattere alienante del lavoro appare perciò radicato in una irrisolta tensione tra soggettività ed oggettività sarà ulteriormente sviluppata da Simmel, soprattutto in Il conflitto della cultura moderna, attraverso una vera e propria metafisica della vita.

“Nella civiltà moderna Simmel vede esprimersi il contrasto fondamentale tra il processo creativo della vita, e i prodotti in cui esso si realizza: il contrasto tra la vita che, dopo aver generato le forme, cerca di risolverle di nuovo in sé e di impedire il loro consolidarsi in prodotti irrigiditi e fissati, e le forme che si ribellano al divenire da cui sono sorte (…) Pertanto il significato dell’antinomia della civiltà moderna non è determinato dalla sua particolare fisionomia storica; poiché il contrasto interno della civiltà è un contrasto eterno della vita – e il modo in cui esso si rivela nel mondo moderno è secondario rispetto alla radice metafisica del contrasto” (Pietro Rossi, Lo storicismo tedesco contemporaneo, p. 231).

E’ però nell’epoca moderna che questo contrasto è divenuto “un motivo di fondo”: solo ora infatti l’egemonia della tecnica ha condotto ad un predominio dei mezzi sui fini che si “riassume e culmina nel fatto che la periferia della vita, le cose che si trovano al di fuori della sua spiritualità, si sono impadronite del centro, di noi stessi: Certo, è vero che noi dominiamo la natura servendola, ma nel senso tradizionale è vero solo per le opere esterne della vita. Se consideriamo la totalità e la profondità della vita, quella facoltà di disporre della natura esterna che la tecnica ci procura ci costa l’asservimento ad essa e la rinuncia a porre il centro della vita nella spiritualità” (Filosofia del denaro, p. 678).

“Così, il predominio dei mezzi non ha investito solo gli scopi, ma il luogo stesso degli scopi, il punto in cui tutti gli scopi convergono, perché, questi, nella misura in cui sono veramente scopi ultimi, possono sgorgare soltanto da esso. Così, l’uomo è allontanato, per così dire, da se stesso, tra lui e la sua parte più autentica, essenziale, si è frapposta una barriera insuperabile di strumenti, di conquiste tecniche, di capacità, di consumi” (ibid, p. 680).