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Anders filosofo contro l’Apocalisse

9.1. Ostinata e ...doppia incoerenza!

Se l’incombere della catastrofe atomica rende facile ad Anders mettere da parte ogni disquisizione teorica sulla morale in nome di un impegno concreto a favore della sopravvivenza dell’umanità – ed in questo consiste quella incoerenza che lui stesso ha più volte definito ‘ostinata’ o ‘eclatante’, in base alla quale egli non sarebbe mai stato influenzato nelle scelte pratiche dal suo nichilismo teorico (vedi K 197) o dal suo “teoretico immoralismo” (K, 53) - non altrettanto facilmente possono essere affrontati e risolti i problemi che questa nuova posizione mette ora davanti: pure ammesso che ‘bisogna agire’ senza indugi per salvare l’umanità in pericolo, è possibile farlo e ‘come’, in una condizione che appare profondamente condizionata dalla tecnica e dalla sua normatività? Quali possibilità ha, in sostanza, l’uomo di recuperare quella soggettività, di cui sembrano ora dotate solo le macchine?

Si affaccia in questo caso nella riflessione di Anders una ulteriore e più pesante incoerenza, quella costituita dalla contraddizione, almeno apparente, tra il complesso delle sue convinzioni teoriche, l’analisi che egli fa della condizione moderna da un lato e l’impegno che egli esercita, dall’altro, per dare corpo e contenuto alla sua moralità, impegno che si concretizzerà, come vedremo, nello sviluppare un metodo interpretativo, da lui genericamente definito ‘ermeneutica prognostica’, che sembra anticipare, pur nella sua sommarietà, molte delle

riflessioni che andranno a comporre la proposta di Jonas di un’etica della responsabilità.

Per riassumere: in un primo tempo egli, abbandonando il campo delle disquisizioni teoriche, si decide, sulla base di una situazione che non ammette indugi, a ‘divenire morale’.

In seguito poi - sulla base dell’assunto che il male della modernità consiste sia nella mancanza di sapere, nell’opacità delle condizioni in cui viviamo ed operiamo, sia nella natura stessa della tecnica, nella sua smisurata autonomia - egli si impegna, da un lato, a ridare nuovo significato e ruolo alla filosofia, intesa ora come pratica ermeneutica, interpretativa (a cui spetta non solo rischiarare le circostanze in cui agiamo,

ma anche quello di fornire gli strumenti per allargare la nostra immaginazione, in modo da poter sviluppare una nuova, positiva e produttiva paura nei confronti del nostro fare); dall’altro, coerentemente “con l’assunzione che i veri problemi morali del nostro tempo riguardano il contributo dato dagli uomini alla generazione di prodotti”, a ricercare forme di “ostruzionismo tecnologico” (che gli sono valse “la fama di tardo epigono del luddismo protoindustriale”, Portinaro, 2003, p. 104) e soprattutto di impegno direttamente politico, che sfoceranno infine in un provocatorio appello all’uso della violenza.

9.2. Un nuovo ruolo per la filosofia: rifiuto del sistema

Il riconoscimento della contingenza (non solo dell’individualità umana, ma anche del genere umano e del mondo stesso) e l’assunzione della prospettiva nichilista (in cui ogni essente appare come un fatto empirico e spariscono le differenze tra oggetti essenziali ed inessenziali, cioè il dualismo tra il contingente mundus sensibilis e l’essenziale mundus intelligibilis) comportano di conseguenza “che non si faccia più differenza tra la conoscenza dell’essere e quella dei fatti” (AM2, 388), che si degradi dunque “anche l’ontologia a semplice scienza empirica”(K, 312-313), rifiutando come irrealistico qualsiasi sistema filosofico: “Il sistema come genere filosofico sta morendo o è già morto” (AM2, 383).

Per Anders soltanto ciò che è spaziale può essere ‘fissato’ in un sistema, non il temporale: poiché infatti la “«totalità della storia» non viene mai raggiunta, di un

«sistema della storia» (dato che i sistemi rappresentano sempre l’essere nella sua totalità) non si può parlare” (AM2, 384)245.

L’obiezione centrale rivolta da Anders alla filosofia sistematica consiste nel fatto che essa “non è una semplice forma di rappresentazione letteraria ma innanzitutto una affermazione metafisica a priori, l’affermazione appunto che lo stesso oggetto «mondo» che il sistema pretende di rappresentare è a sua volta un sistema – il che per la verità si dovrebbe prima dimostrare” (AM2, 385).

Sulla base della prospettiva nichilista infatti, “che il mondo come «tutto» si trovi in stato di disintegrazione” appare ad Anders “altamente probabile - con la qual cosa si direbbe che il grado di essere [Seinsgrad] del contesto è minore di quello delle entità particolari e che, contro Aristotele, «il tutto è minore della somma delle sue parti» (AM2, 385), ovvero “modificando la celebre proposizione di Hegel: Menzogna è l’intero e soltanto l’intero” (AM1, 182)246.

Che la filosofia sistematica possa costituirsi soltanto sulla base di un pregiudizio ontologico sopra il mondo Anders cerca di mostrarlo ricostruendone la genealogia.

La categoria del sistema possiede il suo modello nella “città-stato, chiusa in se stessa, ordinata gerarchicamente, funzionante secondo leggi” (AM2, 426).

Il sistema è dunque una categoria della ragion pratica (segretamente contrabbandata nella ragion teoretica) o, meglio, della praxis, poiché “questa è sistematica in quanto tenta di sottomettere il rispettivo ambiente circostante e di disporne in modo così totale, da potersi porre in collegamento da ogni punto con ogni altro, in breve: di dominarlo come se fosse, secondo il significato della parola greca sistema, qualcosa di prodotto, o meglio di posto insieme” (BvM, 15, nota 1).

Dalla politica il concetto è passato, attraverso l’astronomia, alla filosofia e si conserva ancora nel moderno sistema delle macchine, in cui il mondo appare come “una colossale copia di sistemi progettati, costruiti e controllati dagli uomini; (…) nel quale ogni pezzo di sistema condiziona ogni altro e viene influenzato da ogni altro” (AM2, 427).

245 Laddove dunque, come in Hegel, il tempo diventa il carattere dominante di una filosofia, “il

«sistema» si fa contraddizione ( e non, come egli sperava, la contraddizione principio del sistema)” (AM2, 384).

246 D’altronde anche in questo caso assistiamo ad una ‘realizzazione’, seppur in negativo,

dell’ontologia: “Se oggi ha un senso chiamare il mondo ‘una totalità’, questo non è per motivi positivi, perché tutte le sue parti insieme rappresentano un ‘cosmo’ piacevolmente ordinato e carino, ma solo per motivi negativi, poiché esso può essere distrutto da noi per intero e poiché esso può andare in rovina attraverso il crollo di ogni sua parte” (BvM, 16).

Anders riconduce quindi il sistema ad una logica di dominio, che sacrifica l’eterogeneità del particolare: “Ogni sistema è di per se stesso ‘sgradevole’, una specie di violenza sulla pienezza del reale; traendo la sua forza fondamentalmente da un minimo di principi lascia fuori contenuti a lui estranei; e questa chiusura corrisponde spesso un po’ anche al carattere del fautore del sistema” (Bild meines

Vaters, citato da Lohmann M, p. 65)247.

9.3. La filosofia dell’occasione (Gelegenheitphilosophie)

Al rifiuto della filosofia come sistema, alla degradazione dell’ontologia a scienza empirica, allo stupore del contingente Anders accompagna dunque la proposta di un adeguato e specifico modo di fare filosofia, che egli chiama “«occasionalismo», ossia «filosofia d’occasione»”, il cui strumento principale consisterà in un nuovo tipo di interpretazione, l’ «ermeneutica prognostica». Per ‘filosofia d’occasione Anders intende “qualche cosa che al primo sguardo deve apparire una mostruosità, un ibrido incrocio tra metafisica e giornalismo: cioè un filosofeggiare che ha per oggetto la situazione odierna, squarci caratteristici del nostro mondo d’oggi; ma non solo per oggetto, poiché è proprio il carattere opaco ed inquietante di questi squarci che dà l’avvio al nostro filosofeggiare” (AM1, 43)248.

Al di là dei problemi di definizione, se cioè le sue riflessioni “saranno chiamate filosofiche o empiriche” (AM2, 389)249 ciò che interessa ad Anders è contrapporre

alle speculazioni dei “filosofi di professione (...) che, invece che sull’acqua, che ormai ci è arrivata alla gola, filosofeggiano di filosofia” (AM2, 389), una forma di riflessione “en plein air” (AM2, 4), lontana da ogni forma di accademismo250, in

cui la trattazione di concreti fatti di vita sia intimamente intrecciata alla loro interpretazione251.

247 Le sue riflessioni a proposito dell’impulso al dominio, proprio del sistema, coincidono con le

analoghe considerazioni svolte da Adorno, in particolare nella Dialettica Negativa, a cui Anders fa esplicito riferimento in Blick von Mond (vedi pag.16, nota 1).

248 Come ricorda in Ketzereien, questa espressione non è usata in senso dispregiativo, ma alla

maniera di Goethe, che chiamando le proprie come poesie d’occasione intendeva “rivalutare quanto proviene dalla occasionalità” (La natura eretica, 51); vedi anche Velotti, 1991, pp. 6-9

249 Anders oscilla tra il rivendicare alla sua attività il concetto di filosofia, se non altro in mancanza

di definizioni più appropriate (vedi K, 123; K, 346; AM2, 387) ed il rifiutare questa rivendicazione (vedi AM2, 386; 388), propendendo per altro tipo di definizioni (‘psicologia sociale’, ‘psicologia della tecnica’, AM2, 387).

250 „Quando le testate nucleari si accumulano, non ci si può fermare a spiegare l’ Etica

Nicomachea“ (Opinioni, 82).

251Velotti ritiene di poter rintracciare un suo “precedente illustre nel Giudizio riflettente kantiano,

dunque non una ‘funzione logica’, ma, piuttosto, estetica. Così come il Giudizio riflettente è obbligato a risalire dal particolare all’universale, Anders vuole risalire dall’occasione contingente