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La prima rivoluzione industriale 1 La macchina

2. L’uomo è antiquato

2.2. La prima rivoluzione industriale 1 La macchina

L’inizio della prima rivoluzione coincide con la comparsa della «macchina», non appena cioè “si è cominciato a iterare «il principio del macchinale», cioè a dire: a fabbricare macchinalmente macchine, o perlomeno pezzi di macchine” (AM2, 9); questo fatto pare decisivo ad Anders, la sostituzione dello “strumento” con la “macchina” segna l’inizio della decadenza dell’«umano» (Antiquiertheit), in quanto lo mette in balia di una forza esterna sulla quale non ha più il comando: “Uno strumento è da noi maneggiato, le macchine ci tengono in pugno.” (Aant, 55).

Se lo strumento (Gerät), inteso come forma di espansione e prolungamento degli arti umani, è infatti ancora completamente dipendente dalla volontà dell’uomo, che lo utilizza secondo i propri scopi, con modalità essenzialmente libere e potenzialmente infinite, insomma lo “domina” (AM2, 62), la macchina si presenta dotata di una propria dinamica: liberata dalla dipendenza dell’energia umana per il suo funzionamento, possiede in sé la tendenza ad una infinita espansione.

Ciò che produce infatti non sono beni d’uso, ma essenzialmente mezzi di produzione, cioè prodotti che, indipendentemente dall’uso che se ne fa, sono utilizzati in primo luogo come “mezzi” per continuare la produzione. “Infatti anch’essi – l’iterazione non tollera interruzioni – attraverso il loro esser consumati devono produrre qualche cosa di più: e cioè, delle situazioni nelle quali diventa necessaria una produzione, di nuovo macchinale, di ulteriori prodotti” (AM2, 10). La presenza dell’uomo in questo processo appare minima, egli partecipa solo all’inizio di questa catena di produzione (come lavoratore manuale) o alla fine (come consumatore) ed il processo pare guidato da una immanente necessità, che ne definisce lo scopo: quella della iterazione, dell’automantenimento.

Stimolato dall’esperienza del collasso della rete elettrica di una parte degli USA e del Canada nel 1965 Anders svolge delle “riflessioni preliminari sulla natura della tecnica in generale e, più precisamente, delle macchine e degli apparati in generale” (AM2, 105), che si compendiano in dieci tesi.

“Prima tesi: le macchine si espandono” (AM2, 105): è insita in loro una tendenza espansiva (quantitativa e qualitativa); ogni singola macchina tende infatti, per mantenere il massimo delle sue prestazioni, ad “una condizione nella quale i processi esterni indispensabili al suo funzionamento (…) si svolgano con la stessa precisione macchinica” (AM2, 105-6). A questo processo non è possibile mettere limiti, perché “seconda tesi: l’impulso espansionistico della macchina è insaziabile.” (AM2,106; vedi Eichm, 56).

Ulteriori conseguenze di questo processo sono le tre tesi seguenti e cioè: “terza tesi: il numero delle macchine esistenti diminuisce” (AM2, 106), “quarta tesi: le macchine si declassano” – cioè “diventano pezzi di macchine, pezzi di megamacchine” (AM2, 107), quindi inferiori ontologicamente alla totalità di cui fanno parte – infine “quinta tesi: la macchina diventa un’unica macchina” (AM2, 108).

Anders pensa in questo caso in primo luogo a quelle megastrutture, ad esempio una rete elettrica nazionale, la cui vulnerabilità si rivelava proprio in quegli anni attraverso fenomeni mai visti di collasso totale ed alla necessità quindi di creare le condizioni perché almeno parti di esse, od ognuno dei singoli pezzi di cui è composta, possano funzionare separatamente (possano disporre di una “ sorta di razione ponte” (AM2, 112), finchè non si ristabilisca il loro collegamento complessivo (a queste considerazioni sono dedicate le restanti tesi, eccetto l’ultima, su cui si tornerà in seguito): “Nona tesi: uno dei compiti principali di tutte le pianificazioni (…) consisterà in futuro nel dosaggio della grandezza delle

megamacchine” (AM2, 113)79.

2.2.2. La macchina è totalitaria

L’espansionismo della macchina non è però solo di natura tecnica, ma coinvolge in modo fondamentale anche la società nel suo complesso: nel suo impulso accumulatorio infatti essa tende ad includere sotto di sé un mondo ancora sottratto

79 Anders descrive in questo caso la tendenza della tecnologia a “farsi rete” ed i pericoli legati a

questo fenomeno (del resto, questo è stato, come si sa, il motivo della nascita di Internet); ha tematizzato questo tema oggi, in modo particolare, Alain Gras.

ai suoi principi, che appare come “potenziale territorio di occupazione” e nel quale “energie, cose, uomini sono soltanto possibili materiali di requisizione” (AM2, 101)80.

Ogni cosa, materia prima, pezzi di macchina o uomini (cioè consumatori) entrano a far parte del processo macchinico, diventano mezzi: “Il trionfo del mondo degli apparati consiste nel fatto che esso ha cancellato la differenza fra forme tecniche e forme sociali, rendendone infondata la distinzione” (AM2, 99)81.

Per questo motivo Anders preferisce utilizzare il termine «apparato» (Apparat) per designare sia l’oggetto fisico-tecnico (l’apparecchio, come ad esempio, il telefono), sia l’azienda che contiene in sé uomini ed innumerevoli apparecchi singoli e che agisce sulla base di principi di carattere tecnico82.

Il “sogno delle macchine” (AM2, 99) e degli apparati è dunque quello di accordarsi l’uno all’altro in proporzioni sempre maggiori, così da raggiungere “uno «stato ideale», uno stato nel quale esista ancora soltanto un apparato unico e perfetto, dunque l’apparato: quello che raccoglie e «supera» in sé tutti gli apparati, quello nel quale «tutto funziona bene» (AM2, 100).

Questa condizione non va confusa con ciò che ne costituisce in realtà solo un momento preliminare e cioè l’ “interdipendenza della produzione, ossia il fatto che tutti i prodotti hanno rapporti vicendevoli e si rinviano l’uno all’altro” (AM1, 194-5): l’alto grado di specializzazione e differenziazione delle singole funzioni tecniche, facendo dipendere il funzionamento del singolo prodotto dall’utilizzo di un altro, fa sì infatti “che ogni merce una volta acquistata esige l’acquisto di altre merci, ognuna ha sete di un’altra, anzi di altre” (AM1, 194).

A questa prima descrizione dell’espansionismo della tecnica sul modello della ‘famiglia’ Anders sostituirà la comparazione della megamacchina tecnica ad una

80 Già Nietzsche compendiava in poche frasi l’enorme potenzialità centralizzatrice e modellante

della macchina, quando in Umano, troppo umano parlava della “Macchina come maestra. - La macchina insegna, attraverso se stessa, l’ingranarsi di folle umane in azioni in cui ognuno ha una sola cosa da fare: essa dà il modello dell’organizzazione di partito e della condotta di guerra. Non insegna invece la sovranità individuale: fa di molti una sola macchina, e di ogni individuo uno strumento per un solo fine. Il suo effetto più generale è di insegnare l’utilità della centralizzazione” (Opere, Adelphi, 1964, IV, 3, 226-27).

81 “Per funzionare, infatti, l’apparato di un’azienda, così come l’apparato di una burocrazia, deve

poter coordinare gli uomini non solo con gli apparecchi presenti nella struttura, ma come questi apparecchi, perché un apparato che si rivolgesse alle materie prime, alle macchine e agli uomini come a ‘componenti a sé’ e non come ‘componenti di sé’ non solo non funzionerebbe, ma non sarebbe nemmeno un apparato” (Galimberti, 1999, p.598).

82 “Alla tecnica appartengono non solo gli ‘apparecchi’ (apparathafte Dinge) (cioè le macchine);

non solo i loro prodotti e gli effetti di questi prodotti. Alla tecnica appartiene anche l’impresa, nella quale noi siamo impiegati, noi che vi lavoriamo, come parti strumentali; dunque ciò che, non a torto, è chiamato ‘apparato’ „ (AD, 180).

Volksgemeinschaft, la «comunità popolare di apparati» (AM2, 104), i cui membri hanno un unico scopo, la “«conquista totale» (...) una situazione in cui non ci sia più niente che non sia al loro servizio” (Eichm, 57), in cui “non ci sarebbero più resti che avrebbero la propria consistenza al di fuori dei suoi confini. Insomma quella «macchina totale» sarebbe il mondo” (Eichm, 58).

E il mondo come macchina (“il regno chiliastico che tutte le macchine sognano da sempre”, Eichm, 59) è, secondo Anders, “veramente la condizione tecnototalitaria verso cui stiamo andando” (Eichm, 58), una condizione “nella quale «tecnica» o «mondo» o «società» sono solo nomi diversi per una ed identica cosa” (Dries, p. 39)83.

La rivoluzione rappresentata dalla sostituzione dello strumento con la macchina non è dunque un fatto interno alla storia dei modi di produzione, ma si estende alla totalità del mondo umano, che appare ormai come un mondo di apparecchi: “Perché non esistono apparecchi singoli. La totalità è il vero apparecchio. Ogni singolo apparecchio è, dal canto suo, solo una parte di apparecchio, solo una vite, un pezzo del sistema degli apparecchi; un pezzo, che in parte soddisfa i bisogni di altri apparecchi e in parte impone a sua volta, con la sua esistenza, ad altri apparecchi il bisogno di nuovi apparecchi. Non avrebbe assolutamente senso affermare che questo sistema di apparecchi, questo macroapparecchio, è un «mezzo», che è a nostra disposizione per una libera scelta di fini. Il sistema di apparecchi è il nostro «mondo». E «mondo» è qualcosa di diverso da «mezzo». Appartiene ad una categoria diversa”(AM1, 38).

All’interno di questo «mondo», da cui è impossibile mantenersi fuori, “come sarebbe impossibile tentare di mantenersi fuori del mondo: ossia di essere, ma di non essere nel mondo” (AM1, 195) – con chiara allusione ad Heidegger - l’uomo perde la sua libertà nei confronti dei suoi prodotti ed è costretto a soggiacere alle norme di utilizzazione che questi impongono: “Quel che ci plasma e ci altera, che ci forma e deforma, non sono soltanto gli oggetti mediati dai «mezzi», ma i mezzi stessi, i congegni stessi: i quali non sono soltanto oggetti di un possibile impiego, ma hanno una loro struttura e funzione determinata, che determina il loro impiego e con ciò anche lo stile delle nostre occupazioni e della nostra vita, insomma: noi” (AM1, 124; vedi anche AM2, 188, 200, 240, 398).

83 Non solo il mondo degli apparati si costituisce secondo il modello della Volksgemeinschaft, ma

anche viceversa: caso esemplare è il nazismo, con la sua totale funzionalizzazione (Indienstnahme) del singolo. Esso è stato prodotto tecnicamente: “in un certo senso nel 1933 è stata la radio a vincere” (AM2, 255).

Le cose prodotte oggi non sono più semplici cose, ma piuttosto “massime diventate cosa e modi di agire rappresi” (“Ding gewordene Maximen und geronnene Handlungsmodi”): si rivela in questo fenomeno una inversione della struttura di dominio, che dall’uomo è passata sulle cose ed ha come conseguenza che gli uomini perdono il controllo sul mondo da loro creato e non sono più in grado di recuperare processi da loro stessi avviati.

L’ “emancipazione degli oggetti” (AM2, 378) avviene in modo che ciò che all’uomo è sottratto, cioè l’azione, passa nei prodotti, che perciò rappresentano “fare incarnato (inkarniertes Handeln)” e diventano “pseudo-persone (Pseudo-

Personen)”(Essere, 208): le cose agiscono84.

L’indistinzione tra il prodotto ed il modo di utilizzo ad esso immanente è resa da Anders con una efficace comparazione: “Habere=adhibere” (AD, 181; vedi anche AM2, 266).

L’analisi marxiana del feticismo delle merci, ripresa così molto liberamente, è esasperata “fino al paradosso. Se il dato che Marx aveva portato alla luce, la sostanza dell’alienazione, il capitale, non era una cosa ma un rapporto sociale, ora vengono primariamente messi in questione non i rapporti sociali ma le cose stesse, che vivono, nella società capitalistica come in quella socialistica, di una vita autonoma” (Portin.42); non è più dunque solo l’operaio ad essere impiegato dalla macchina, ma l’insieme degli uomini, ai quali i prodotti impongono la propria volontà: l’universo della tecnica “è visto come potenziamento ma anche come dissimulazione della reificazione e dell’alienazione” (Portinaro, 2003, p. 138). Quest’ultima – Anders preferisce utilizzare, al posto del termine marxiano Entfremdung, svilito dall’abuso fattone dalla “sociologia tedesca della fine del decennio 1920-30 (Karl Manheim)” (AM1, 336) e dal surrealismo, il termine Verfremdung, in cui riecheggia l’utilizzo fattone nel campo teatrale da Brecht – si è ormai universalizzata, ha perso ogni carattere ideologico e presentandosi travestita, come vedremo soprattutto nell’analisi della televisione, attraverso le forme della ‘familiarizzazione’, procede in ‘direzione opposta’ della marxiana alienazione: “La sua preda è il mondo, anzitutto il mondo; accampa pretese altrettanto universali di quelle dell’alienazione; come questa si accosta a tutto

84 “Non reificazione, ma pseudopersonalizzazione. Con l’espressione «reificazione» non si coglie

il fatto che i prodotti sono, per così dire, «agire incarnato», poiché essa indica esclusivamente il fatto che l’uomo è ridotto qui alla funzione di cosa; ma si tratta invece dell’altro lato (trascurato, finora, dalla filosofia) dello stesso processo: e cioè del fatto che ciò che è sottratto all’uomo dalla reificazione,si aggiunge ai prodotti: i quali, facendo già qualcosa già per il semplice fatto di esistere, diventano pseudopersone” (Essere, 208).

quanto è familiare e intimo per cambiarlo, a guisa di un Mida, in estraneo, freddo, oggettuale e pubblico, così la pseudofamiliarizzazione si impossessa di tutto ciò che è lontano ed estraneo per tramutarlo in pseudodomestico” (AM1, 336).

Come esempi di cose che ‘agiscono’ sull’uomo, ‘plasmandolo’, Anders propone in primo luogo la televisione, sottolineando come – mentre la si impiega allo scopo, per esempio, di prendere parte ad un servizio divino – in realtà “non vi prendiamo parte, ma consumiamo soltanto la sua immagine” (AM1, 124); oppure la bomba atomica, la cui semplice esistenza già costituisce una minaccia per l’umanità, “un ricatto fattosi cosa” (AM1, 267; vedi anche AM1, 302): ad entrambe dedicherà, come vedremo, approfondite riflessioni.

La constatazione dell’inversione avvenuta nel rapporto tra l’uomo ed i suoi prodotti - “che il mondo quotidiano con cui gli uomini hanno a che fare è in primo luogo un mondo di cose e di apparati meccanici nel quale esistono anche altri uomini; non un mondo umano nel quale esistono anche cose ed apparati” (AM2, 52) - comporta che Anders, considerato ormai insensato il progetto di una antropologia filosofica, postuli piuttosto la necessità di una ‘psicologia degli oggetti’, “il cui compito principale dovrebbe essere quello di indagare sui nostri rapporti con il nostro mondo degli oggetti e più in particolare con l’attuale mondo delle macchine” (AM2, 52) e di una ‘sociologia degli oggetti’, il cui “assioma suonerebbe: «Non esistono apparati singoli»” (AM2, 103).