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Tecnica come soggetto della storia

4. Il mondo, senza uomo della tecnica

4.2. Tecnica come soggetto della storia

Anders, introducendo il secondo volume di AM, scrive: “E per «tecnocrazia» non intendo il dominio dei tecnocrati (come, ad esempio, un gruppo di quegli specialisti che dominano oggi la politica), ma il fatto che il mondo, nel quale oggi viviamo e in cui tutto si decide sopra le nostre teste, è un mondo tecnico; al punto che non possiamo più dire che, nella nostra situazione storica esiste tra l’altro anche la tecnica, bensì dobbiamo dire: la storia ora si svolge nella condizione del mondo chiamata «tecnica»; o meglio, la tecnica è ormai diventata il soggetto della storia con la quale noi siamo soltanto «costorici» (AM2, 3; vedi anche: AM2, 258).

La tecnica è per Anders la forza che plasma la nostra epoca: “sarebbe fuorviante affermare che nella nostra epoca esiste anche la tecnica e corretto soltanto dire che la nostra epoca risulta costituita (e presumibilmente anche conclusa) dalla tecnica”

155 Nell’età della tecnica vige infatti una “triste regola” a cui non è possibile sottrarsi: “Quanto più

enorme è l’efficienza dell’apparato tecnico, tanto più limitata, piccola, insignificante, è la forza della massa” (Discorso, 101).

(AM2, 266); essa è il nostro fato “nello stesso senso in cui centocinquant’anni fa Napoleone lo aveva affermato della politica e cent’anni fa Marx dell’economia” (AM1, 43).

Dunque costorico, nel senso di non-protagonista della storia, non è più soltanto il proletariato, perché “«costorici» siamo ormai tutti, a qualunque classe apparteniamo (…) in relazione alla storia dell’attuale soggetto storico: la tecnica” (AM2, 268).

Se però “siamo già diventati tutti proletari” (AM2, 275) non lo siamo nel senso di Marx, che aveva assegnato a questa classe (sulla base di una interpretazione economicistica della storia) un ruolo liberatorio all’interno di una storia di lotte di classi: perché quella odierna è “un’altra classe di storia” (AM2, 268), nella quale siamo tutti obbligati a stare dietro al livello raggiunto dalla tecnica, sia come singoli individui (a livello morale), che come cittadini (a livello politico).

Sono dunque diventati gli strumenti, le macchine, gli apparati che compongono la tecnica la nuova classe di capitalisti di oggi?

In realtà Anders sembra non poter mai rinunciare del tutto ad una lettura classista, laddove accenna che c’è una classe politica che utilizza la tecnica a scopo di oppressione: “coloro che sono decisi a sottometterci (...) power elite” (AM2, 125- 126; anche 134), “i detentori della violenza” (AM2, 183), gli “oscuri uomini dell’era della tecnica che hanno tutto l’interesse a mantenerci all’oscuro sulla realtà dell’oscuramento del nostro mondo” (Eichm, 31), i tecnocrati (Opinioni, 45)156.

Questi riferimenti però rimangono semplici accenni, non sono cioè inseriti in una coerente interpretazione che faccia riferimento a categorie marxiste o di altro tipo: per Anders il vero ed unico soggetto storico rimane comunque la tecnica.

4.2.1. Excursus: Adorno e la tecnica

Assai più articolata appare invece l’analisi degli autori francofortesi (ma in particolare tra questi Adorno), secondo i quali la tecnica, priva di una logica propria, adotta del tutto quella dell’economia: ”l’ambiente in cui la tecnica acquista il suo potere sulla società è il potere di coloro che sono economicamente più forti sulla società stessa (...) Per il momento la tecnica dell’industria culturale è arrivata solo alla standardizzazione ed alla produzione in serie ed ha sacrificato

156 A meno che non si voglia interpretare questi ultimi, utilizzando il concetto marxiano di

ciò per cui la logica dell’opera si distingueva da quella del sistema sociale. Ma questo effetto non si deve addebitare ad una presunta legge di sviluppo della mera tecnica come tale, ma alla funzione che essa svolge nell’economia attuale” (Dialettica dell’illuminismo, p. 127); ed ancora: ”La razionalità tecnica, oggi, è la razionalità del dominio stesso. E’ il carattere coatto della società estraniata a se stessa” (ibid, p.131).

Adorno critica l’ottimistica valutazione da parte di Marx delle forze produttive come fattori storici oggettivamente progressivi, rimproverandogli di aver “sottoscritto il programma, originariamente borghese, di dominare assolutamente la natura” (Dialettica Negativa, p. 218): “Lo scatenamento delle forze produttive, un atto dello spirito dominatore della natura, ha affinità con il dominio violento della natura. Transitoriamente esso può allentarsi, ma non può essere pensato separatamente dal concetto di forza produttiva e tanto meno da quello di una scatenata; già la parola suona minacciosa” (ibid, p. 274).

L’attesa di Marx “secondo cui era storicamente certo un primato delle forze di produzione che avrebbe spezzato i rapporti di produzione” fu troppo ottimistica: “Ai fini della loro pura autoconservazione i rapporti di produzione si sono nuovamente assoggettate le forze di produzione sfrenate, mediante un lavoro di rappezzatura e misure particolari. Segnatura dell’epoca è il predominio dei rapporti di produzione sulle forze produttive, che tuttavia si beffano da tempo dei rapporti.” (Scritti sociologici, p. 323).

Ad una teoria dialettica non si addice, secondo Adorno, “una semplice contrapposizione polare delle forze produttive e dei rapporti di produzione. (...) Essi sono intrecciati fra loro, un momento contiene in se stesso l’altro. Proprio questo induce all’errore di ricorrere direttamente alle forze produttive, quando hanno invece la precedenza i rapporti di produzione. Le forze produttive sono più che mai mediate dai rapporti di produzione; forse così completamente che essi proprio per questo appaiono come l’essenza; si sono completamente trasformati in una seconda natura. Essi sono responsabili del fatto che gli uomini debbano mancare del necessario in grandi parti della terra, in folle contraddizione a ciò che sarebbe possibile” (ibid, p. 325).

Lo sviluppo della tecnica quindi non è comprensibile senza gli interessi economici che la guidano, che sono responsabili di aver atrofizzato quelle sue potenzialità più lontane dal dominio, dal centralismo, dalla violazione della natura: “Fatale

non è la tecnica, ma il suo intreccio con i rapporti sociali, di cui è prigioniera”, come prova anche “la scoperta di strumenti di distruzione” (ibid, p. 322)157.