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Il totalitarismo della tecnica: economia e politica

4. Il mondo, senza uomo della tecnica

4.1. Il totalitarismo della tecnica: economia e politica

La metafisica moderna rivela dunque il tratto totalitario della tecnica - l’“unica vera rivoluzione della nostra epoca” (AM2, 97), “vittoriosa sia a Est che a Ovest” (AM2, 336) - il suo carattere di struttura neutrale rispetto ai sistemi sia economici che politici, sovrastrutture sostanzialmente omogenee, la cui convergenza in essa “è inarrestabile (…) Ed essa non si muove nella direzione delle libertà dell’ uomo, bensì nella direzione del totalitarismo degli apparecchi” (AM2, 98): sarebbe sciocco perciò, secondo Anders, attendere dalla fine del capitalismo quella libertà, la cui mancanza è invece conseguenza “della tecnica assai più che dei rapporti di proprietà” (AM2, 98).

Le riflessioni di Anders sull’economia appaiono caratterizzate da una fondamentale presa di distanza nei confronti di Marx152.

A differenza di questi, che vedeva l’origine di ogni male nel processo creativo di valore (nel valore di scambio) - per il quale cioè il problema consisteva prevalentemente nei rapporti di produzione, rispetto ai quali le forze produttive rappresentavano invece un elemento di rottura potenzialmente rivoluzionaria e liberatrice - per Anders sono proprio queste ultime a rappresentare un elemento di non libertà, non tanto perché non sono proprietà del lavoratore, quanto perché, come abbiamo visto, hanno ormai mutato la loro funzione sociale: da semplici mezzi per il raggiungimento di scopi a loro esterni sono diventate esse stesse scopi a sé. La massima principale del mondo dominato dalla tecnica è infatti che ‘il tecnicamente possibile è sempre obbligatorio, ciò che si può fare lo si deve fare’ (vedi cap.3.5)153.

152 A questo proposito vedi: Clemens Detlef, G.Anders – ein Marxist? In: Das Argument, 38/214,

1996, pp.265-273.

153 “Espresso nella terminologia del marxismo, soltanto nel valore d’uso dell’oggetto, nella sua

utilità come materiale per la soddisfazione dei bisogni, sembra risiedere per Anders il motivo per cui l’uomo si consegna del tutto inconsapevolmente al funzionalismo tecnico, così come in Marx il valore di scambio della merce estranea l’uomo dai suoi bisogni e comincia a guidarlo” (Lohmann M., p. 240).

Per Jung consiste in ciò la differenza di Anders nei confronti di Marx: mentre questi assegna un valore fondamentale al valore di scambio, per Anders sarebbe invece il valore d’uso delle merci “che rende gli uomini loro schiavi e li ‘cosifica’. (...) Le cose come merci – l’intero mondo come un’offerta infinita di merci – sono meno problematiche per il fatto che possono essere cedute come valori di scambio, che per il fatto che esse, in quanto valori d’uso, sono destinate alla consumazione, cioè ad essere consumate - Hegel avrebbe detto: alla distruzione” (Jung, pp. 60- 61). Questa è infatti per Anders, secondo Jung – con una argomentazione che, pur condividendo l’opinione di Marx circa la nascita e la diffusione di una economia commerciale su basi capitalistiche, si allarga a considerazioni di carattere antropologico - “la generale ‘pena’ (Crux) dell’uomo: il suo illimitato bisogno, il suo smisurato consumo, che non si ferma dinanzi all’ultima, totale distruzione del mondo” (in AA.VV., Text-Kritik, p. 24).

Manca in effetti nel complesso della riflessione di Anders un vero approfondimento del fatto economico. Quando egli parla di economia lo fa solo in termini quasi caricaturali ed utilizzando il concetto di merce come sinonimo di “prodotto” (“il carattere di merce di tutti i fenomeni”, AM1, 143), senza domandarsi dunque “come in generale i prodotti siano diventati e divengano ogni giorno delle merci” (Lohmann M., p. 240), senza alcuna considerazione quindi del rapporto di scambio.

In questo contesto “le differenze tra i vari sistemi economici si dileguano o diventano marginali e ininfluenti” (Martelli, p. 217): il sistema sovietico dell’economia pianificata ed il capitalismo sono equiparati in quanto entrambi ubbidienti alla logica della tecnica, “sovrastrutture costruite su «technological requirements»” (AM2, 97).

Solo i paesi sottosviluppati del terzo mondo si sottraggono a questa classificazione: anzi, nel loro contesto la mancanza della tecnica “è un pericolo incomparabilmente maggiore della sua esistenza” (AM2, 114)154.

La forza coercitiva della tecnica si impone però anche rispetto ai sistemi politici, che “in definitiva non sono nient’altro che reazioni adeguate allo stato tecnico della odierna produzione” (AM2, 246) e le cui differenze sono perciò pura apparenza, dal momento che “ogni accadimento politico finisce per svolgersi” (AM2, 98) nell’ambito tecnico.

Anders parla a questo proposito di “taylorismo politico”, il fatto cioè che “gli uomini di stato riconoscono come vincolante il ritmo rispettivo della «catena storica» non altrimenti dei lavoratori operanti alla vera e propria catena di montaggio” (AM2, 273); hanno “paura di «restare storicamente indietro» (AM2, 274) ai ritmi della storia dettati dalla tecnica, di essere considerati perciò arretrati: “In positivo: essi considerano vincolanti e persino confortanti i ritmi e gli effetti dello sviluppo tecnico, per quanto questi siano ormai divenuti da tempo insostenibili..E come loro siamo naturalmente noi tutti (...) fiancheggiatori ed epigoni dell’attuale tecnica” (AM2, 274).

La neutralità della tecnica rispetto ai sistemi politici (vedi AM2, 97) significa che essa impone a questi, siano essi quelli tradizionalmente riconosciuti come totalitari (il nazifascismo ed il comunismo sovietico) siano quelli considerati

Di “astratto antropologismo” lo critica anche Ullrich, 1977, p.189.

154 Secondo Portinaro, Anders introduce con questa argomentazione “un’aporia che ha attraversato

la seconda metà del XX secolo con il terzomondismo e di cui solo i movimenti no-global hanno cominciato timidamente a prendere consapevolezza” (2003, p.166).

comunemente come liberi (le democrazie parlamentari), la stessa impronta totalitaria, che “nasce dal regno della tecnica”, rispetto alla quale “il totalitarismo politico, pur sempre abominevole, rappresenta soltanto un effetto ed una variante” (AM2, 409, nota 2): “Piuttosto è inerente alla tecnica come tale il ‘principio oligarchico’. E questo significa che essa favorisce forme oligarchiche di dominio politico o, detto negativamente, che essa essenzialmente è contraria alla democrazia, almeno finchè si riconosca il governo della maggioranza come il principio che sta alla base di tutte le sue forme storiche” (AD, 196)155.

Sebbene Anders sostenga la necessità di una democrazia diretta come unica possibilità di opposizione alla inarrestabile dinamica tecnica (sostenuta dalla classe politica, senza differenziazioni ideologiche, e dalla casta degli esperti), questa è interpretata, come vedremo, più come appello morale di partecipazione attiva che come reale soluzione politico-istituzionale.

La sua posizione nei suoi confronti si pone, in effetti, come afferma Portinaro, “rigidamente nell’alveo di quella vulgata marxistica che vede nella democrazia soltanto una sovrastruttura ideologica” (2003, p.167): la democrazia capitalistica non è per Anders “la parità di diritti di tutti i cittadini, bensì quella di tutti i prodotti” (UsM, 44).