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Il Paese della Cuccagna del consumatore

2. L’uomo è antiquato

2.5. Il Paese della Cuccagna del consumatore

L’ideale dell’industria, per Anders, è d’altronde funzionale, speculare al“l’ideale utopico della nostra esistenza” (AM2, 321), anch’esso un Paese della Cuccagna, una condizione cioè nella quale la soddisfazione segue magicamente il desiderio, “in cui nulla è assente, anzi «c’è» tutto” (AM2, 313).

Avvicinarsi a questo obiettivo, ripristinare “l’immediatezza, che abbiamo perduto con la cacciata dal giardino dell’Eden” (AM2, 313), è il sogno della tecnica: sebbene sia incontestabile il suo carattere di mediazione (l’apparecchio esiste per realizzare un desiderio) il “suo scopo ultimo è appunto quello di ridurre ad un minimo ciò che sta nel mezzo” (AM2, 321), dunque il tempo e lo spazio tra il desiderio e la sua realizzazione, realizzando il desiderio ‘immediatamente’: paradossalmente il “tentativo di mediazione della tecnica sta nel rendere superflua la mediazione” (AM2, 313).

“Tempo e spazio appaiono come impedimenti se vengono misurati col metro della Cuccagna” (AM2, 314), kantianamente “forme dell’impedimento” e la lotta contro di esse si rivela una delle massime segrete della nostra epoca: “L’abolizione del tempo è il sogno del nostro tempo. La società senza tempo (invece che senza classi) è la speranza del domani” (AM2, 317).

Già negli articoli francesi degli anni ’30 Anders aveva descritto la lotta condotta dal nichilista nei confronti dello spazio e del tempo come forme della supremazia del mondo su di lui, attraverso le quali esperiva la propria naturalità e

contingenza, per fuggire la quale egli si abbandonava ad una forsennata produzione, il cui scopo era trasformare il mondo in un ‘io’.

Questa lotta appare ora sul punto di essere vinta ed il sogno che l’accompagnava, ripristinare l’immediatezza – quella condizione che caratterizza, biologicamente, l’infanzia dell’uomo (il freudiano ‘principio di piacere’) e, miticamente, l’epoca paradisiaca dell’umanità – sembra quasi realizzato dalla tecnica: grazie ad essa “viviamo in un mondo, in cui tutto è presente, in cui tutto è presente per noi, in un mondo senza mancanza” (AD, 119).

Nel mondo dominato dalla tecnica l’uomo smarrisce di conseguenza, da un lato il senso del tempo (del passato, ma soprattutto del futuro), dall’altro la possibilità di fare esperienza.

L’essenza della temporalità infatti consiste per Anders nella ‘deficienza’ del nostro essere uomini: “il tempo esiste soltanto perché noi siamo esseri bisognosi; perché non abbiamo mai ciò che in realtà dovremmo avere; perché abbiamo continuamente bisogno di procurarci il necessario (...) in altre parole, il tempo è l’esistenza nella modalità del non-avere, ovvero nella modalità del conseguimento dei desiderata” (AM2, 319)90.

Il mondo moderno attacca perciò i fondamenti della nostra vita, la nostra coscienza spazio-temporale: “La mia tesi afferma: Per colui, al quale tutto è reso presente, o meglio, al quale tutto è presente, per questo il presente diventa tutto, il suo sguardo verso il futuro è bloccato” (AD, 120).

Ma se l’esperienza è il modo in cui l’uomo può compensare a posteriori la sua estraneazione dal mondo (secondo l’interpretazione antropologica datane da Anders negli articoli francesi), è la forma della mediazione attraverso la quale esperisce la forma oggettiva del mondo, che si mantiene e vive attraverso la resistenza di questo91, la tecnica, mirando a rendere superflua questa mediazione, a

renderci il mondo confortevole, a ridurre l’’attrito’ col mondo, “ci trasforma in

90 Vedi le riflessioni già svolte a proposito della derivazione del tempo dal bisogno; anche AD,

121-125: Excursus sull’essenza del tempo.

91 “L’esperienza è tanto più reale esperienza, quanto meno ciò, di cui facciamo esperienza, ci è

conforme. Con ciò non intendo soltanto che il positivo rimane invisibile (per esempio la salute a differenza della nostra malattia), ma soprattutto – questa è la ‘calamità della gioia’ – che quelle cose e quelle circostanze, che ci stanno a pennello o che abbiamo adattato a noi, ci sottraggono l’opportunità di scontrarci col mondo, e certo questo significa: fare esperienza. La scarpa costruita su misura inganna il nostro piede sulla presenza di radici e sassi. Non come adequatio (di res e intellectus ..)si realizza la vera esperienza, ma proprio sulla base di una inadeguatezza (inadequatio), come loro scontro (collisio), nel quale l’estraneo come estraneo annuncia il suo potere e la sua realtà totalmente inadatti a noi. Nell’esperienza vale che: il falso è il vero (Das

Falsche ist das Wahre). – Niente sarebbe perciò più ingiustificato che credere che noi viviamo, e

esseri non più bisognosi di esperienza e con ciò senza di essa e quindi incapaci di farla” (TuG, 89).

I settori industriali nei quali si realizza l’ideale dell’industria, cioè “liquidare i suoi prodotti con un uso immediato” (AM2, 43) sono, secondo Anders, il settore alimentare, quello militare (la guerra infatti rappresenta “un proseguimento della distruzione pacifica dei prodotti con altri mezzi” AM2, 285), ma soprattutto l’industria della radio e della televisione (nella quale “la forma intermedia «oggetto» veramente non è più riconoscibile” AM2, 43)92.

Nell’ industria radiotelevisiva infatti, secondo Anders, questi ideali si realizzano compiutamente: in essa “il mondo ci viene servito allo stato liquido. Anzi: non ci viene servito affatto, ma fornito in modo talmente diretto, da poter essere immediatamente usato e consumato; essendo liquido, il prodotto già finisce nell’atto di essere consumato, dunque viene liquidato” (AM2, 235). (Perciò ci troveremmo oggi in una fase storica il cui modello di ricezione sensoriale non è “come nella tradizione greca il vedere; né, come in quella ebraico-cristiana, l’udire, bensì il mangiare” AM2, 235, ; vedi anche AM2, 246).

Nella radio e nella televisione sembra già raggiunto l’obiettivo dei nostri sforzi odierni, la soppressione del tempo, perché “qui la ricezione di ciò che è trasmesso avviene (almeno psicologicamente) nel momento stesso in cui avviene la trasmissione” (AM2, 322). In esse spazio e tempo sono sostituiti attraverso l’onnipresenza dell’uomo, la simultaneità degli avvenimenti.

“Non c’è più un ‘là’, tutto è qui – e se tutto è qui, non esiste più lo spazio” (BvM, 131).