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Pensare la bomba: teologia negativa

6. Il mondo, senza uomo della bomba

6.1. Pensare la bomba: teologia negativa

Il lancio della prima bomba atomica sul Giappone il 6 agosto 1945 rappresenta per Anders l’ultima, ma certo la più importante, delle svolte della propria vita: anzi essa rappresenta in fondo (per adottare un termine heideggeriano) ‘la svolta’, ‘il’ rovesciamento del suo originario tema principale (vedi UsM, 29), quello cioè dell’uomo senza mondo, per volgersi a quello del ‘mondo senza uomo’186.

Se d’ora in poi la sua attività, sia teorica che politica, consisterà nel “mettere in guardia l’umanità dall’autodistruzione, da un mondo senza uomini (forse persino senza vita)” (ivi), a questo evento Anders non sa però, sul momento, reagire, se non chiudendosi in un assoluto mutismo.

La sua mostruosità sembra paralizzarne infatti tutta quanta la persona (“la mia immaginazione, il mio pensiero, la mia bocca, la mia pelle erano annichiliti”, Opinioni, 72), sebbene ne comprenda subito l’enorme importanza: “Capii subito (...) che il 6 Agosto rappresentava il giorno zero di un nuovo computo del tempo” (ibid, p. 73).

Con essa inizia la “terza rivoluzione industriale”, in realtà una rivoluzione sui generis, poiché il “mezzo di produzione” che ne è al centro, la bomba, “per la prima volta ha messo l’umanità in condizione di produrre la propria distruzione” (AM2, 13): essa è dunque una novità fisica, ma soprattutto metafisica, tale cioè da modificare ogni precedente convinzione, non solo riguardo l’ economia, la società, ma anche la politica, la storia, l’essenza stessa dell’uomo, a tal punto da richiedere, per essere compresa, l’utilizzo di nuove categorie, anche attingendo dalla teologia.

Sebbene sia consapevole di quanto ciò possa suonare sorprendente in un uomo “notoriamente antireligioso” egli ritiene infatti che la “situazione nella quale siamo andati a finire è di per sé «un fatto religioso» (…) Ciò che intendo è che la trasformazione di cui si tratta qui è talmente fondamentale che non basterebbero a caratterizzarla categorie diverse da quelle teologiche o perlomeno prese a prestito dalla teologia” (AM2, 376).

Il silenzio che Anders sperimenta per alcuni anni dopo lo scoppio di Hiroshima non dipende dunque solo da uno shock emotivo, ma è motivato in primo luogo

186 Con questa definizione si deve intendere ora la forma estrema di un fenomeno già esaminato

anche a proposito della tecnica, che, nella interpretazione di Anders, da un lato rende superflua l’esperienza per l’uomo (ogni modalità di approccio col mondo finora da lui conosciuta), dall’altro, trasformandosi in un processo autonomo ed indipendente, rende superfluo l’uomo stesso: la possibile ‘mancanza dell’uomo’ provocata dalla bomba sarebbe però ora più radicale e definitiva.

dalla difficoltà di comprendere quanto accaduto per mezzo di categorie interpretative tradizionali, dalla necessità quindi di svilupparne di nuove, magari anche prendendole a prestito dalla teologia: “in quanto terreno filosofico la bomba – o più esattamente la nostra esistenza sotto il segno della bomba, perché questo è il nostro tema – è un terreno assolutamente sconosciuto” (AM1, 247), una “terra incognita”.

Il riferimento alla teologia appare utile ad Anders non appena si voglia tentare di “pensare” la bomba; ad essa infatti, come “un oggetto assolutamente abnorme; cioè un oggetto sui generis, cioè: l’unico esemplare della sua specie” (AM1, 259) è possibile avvicinarsi concettualmente solo adottando il metodo della teologia negativa: “Come quest’ultima, per evitare di assegnare al suo oggetto unico attributi ontologicamente inadeguati, si limitava, sotto forma di «teologia negativa», a enumerare ciò che il suo oggetto non è, così noi dovremo forse limitarci, mutatis mutandis – e il paragone, come è naturale, riguarda puramente il metodo – a scoprire che cosa la bomba non è ” (AM1, 259-60).

Come le categorie tradizionali risultino inadeguate a descrivere e capire la bomba, lo sperimentiamo non appena cerchiamo di applicare ad essa, come arma bellica, il concetto di “mezzo”.

Pensarla nella relazione mezzo-scopo è del tutto inadeguato187 secondo Anders,

perché “nel concetto di mezzo è insito che esso mezzo, mediando il suo scopo, si esaurisca in questo; (…) che sparisca quindi come quantità a se stante, quando lo scopo è raggiunto” (AM1, 60), e questo non avviene con la bomba, in quanto “troppo grande in assoluto”. L’impiego della bomba, seppur con intenti limitati, provocherebbe infatti un effetto od una imprevedibile catena di effetti “più grande di qualsiasi scopo (politico-militare), per quanto grande, propostosi da uomini” e “metterebbe in forse qualsiasi ulteriore possibilità di proporsi degli scopi, quindi anche qualsiasi ulteriore impiego di mezzi; e con ciò annullerebbe il principio mezzo-fine in quanto tale”(AM1, 261)188.

187 Un’analisi simile svolge Peter Sloterdijk che, in Critica della ragione cinica, fa esplicito

riferimento ad Anders: „La Bomba è il vero Buddha occidentale: dispositivo perfetto, distaccato, sovrano (...) trionfo di razionalità tecnica e suo superamento paranoetico. Con lei abbandoniamo il regno della ragion pratica, dove si perseguono fini tramite mezzi acconci. La Bomba, lungi ormai dall’essere mezzo per un fine, rappresenta, invero, il mezzo smisurato che trascende ogni fine possibile“ (p. 113).

188 In questo modo perciò, secondo Anders, la bomba si comporta in modo “anarchico” e

pericoloso nei confronti del mondo dei prodotti della nostra epoca, che ammette e giustifica soltanto mezzi. Questo spiega la tattica tipica di minimizzarne la pericolosità, interpretandola come mezzo tra i mezzi, come arma tra le altre.

Ma come questa interpretazione della bomba come semplice arma sia assurda lo dimostra la spirale del riarmo. Esso si giustifica proprio sulla base del presupposto che l’arma atomica sia un’arma qualsiasi e quindi possa e debba essere migliorata e perfezionata come qualsiasi altra. Ma dal momento che la quantità di bombe odierne è già sufficiente a distruggere il mondo, ogni ulteriore perfezionamento ed incremento appare insensato: “l’effetto che possiamo produrre non è passibile di ulteriore aumento” (AM1, 261) (vedi “Fine del comparativo” in Essere, 205; vedi anche Stato di necessità, 22).

La bomba non è un mezzo per Anders anche per un altro motivo, poiché essa nega la distinzione tra impiego potenziale ed impiego effettivo, che costituisce un presupposto del concetto di mezzo.

Da un lato essa è continuamente impiegata come mezzo di pressione, il suo semplice possesso è di per sé una forma di pressione, di minaccia nei confronti di chi ne è sprovvisto: sulla base della tesi già esaminata, secondo la quale i prodotti tecnici non sono altro che ‘azioni divenute cose’, essa si presenta dunque come “un ricatto fattosi cosa”(AM1, 267)189.

Perciò scompare la differenza tra possessori ‘buoni’ o criminali della bomba: “Non diventa forse ogni mano, per il semplice fatto che «tiene» tali impianti, proprio a causa di questo tenere, una mano «sbagliata», una mano criminale?” (AM2, 310).

Questo tipo di ricatto si presenta totale: il suo effetto, nello spazio e nel tempo, è talmente smisurato che “per principio, deve sparare al di là del suo obiettivo. La sua onnipotenza è il suo difetto. La sua alternativa è inappellabile: può ricattare soltanto tutti, oppure nessuno” (AM1, 268).

Il ricatto atomico è sempre autoricatto e ricatto all’umanità intera190.

Da un altro lato essa non è un mezzo in quanto non fa “distinzione tra «preparativi» e «impiego», tra «prova» e «caso concreto»”(AM1, 268): l’insularità del campo di prova, la distinzione tra laboratorio e realtà, condizioni del lavoro scientifico, ma anche del concetto di macchina (basato anch’esso sul concetto di campo di azione chiuso) non si danno più con gli esperimenti nucleari, che trasformano il mondo intero in un gigantesco laboratorio.

189 Anders esprime questo concetto anche attraverso la formula: “Habere=adhibere (...) Non esiste

il non impiego di armi atomiche esistenti” (AD,181).

190 Questo è ciò che rende attraente il suo possesso, specialmente per i paesi del terzo mondo e

Gli esperimenti nucleari (come prova la contaminazione avvenuta in conseguenza dei test sull’atollo di Bikini) non sono più esperimenti, ma “porzioni della nostra realtà; della nostra realtà storica (…) Anzi, la carica elementare degli esperimenti, spogliati del loro carattere sperimentale, è tale che, al momento della loro irruzione, il mondo storico minaccia di andare anch’esso in frantumi” (AM1, 270- 1).

Essi hanno perciò “superato la soglia storica” (AM1, 271), in quanto, anche come esperimenti, possono essere “di tale incalcolabile grandezza, che si lasciano alle spalle la dimensione di ciò che noi possiamo anche soltanto concepire come situazione storica” (AM1, 272), diventando “eventi mondiali che non è possibile richiamare indietro” (Stato di necessità, 53).

La comprensione della bomba non solo sembra non poter far uso di categorie concettuali tradizionali, ma anche sottrarsi al concetto tradizionale di ‘interpretazione’ che, basandosi sulla coincidenza tra apparenza ed essenza, assegnava un ruolo primario alla percezione visiva.

Infatti alla bomba, così come alla “maggior parte dei prodotti caratteristici della nostra epoca, a cominciare dalle macchine e dagli apparecchi” (AM2, 394), non si può applicare quel procedimento di interpretazione che risultava adatto e proficuo agli oggetti comuni del mondo passato, i quali, come forme di ‘espressione’, garantivano la coincidenza tra essenza ed apparenza191.

191 Per Anders esistono due modi di comprensione: quello diretto e quello indiretto tramite

interpretazione.

Entrambi si applicano solo alle ‘espressioni’ degli esseri umani e al mondo dei loro prodotti. Solo in esse/i è possibile quella coincidenza di apparenza ed essenza (cioè di significato che ad esse attribuisce il soggetto) che non troviamo al di fuori del mondo umano: “I leoni o l’erba epatica, cioè esseri viventi, rimangono indefinibili. Soltanto i prodotti realizzati da noi si lasciano definire, prodotti ai quali noi stessi diamo il loro stato definitivo” (K, 348; trad.it., La natura eretica, 56- 57).

Poiché ciò che vive “non può esistere in modo autarchico, ma solo in rapporto con altri viventi”, soltanto esso deve esprimersi e perciò “può essere interpretato e rendersi interpretabile” (AM2, 391). Se l’essere vivente dunque non solo ha la possibilità, ma anche la necessità di esprimersi ed essere compreso ed interpretato dagli altri “ciò «significa» che questo qualcosa non sta apertamente alla luce del sole”, che cioè “si nasconde parzialmente” (AM2, 391). Heidegger, a cui notoriamente si deve la tesi della verità come ‘aletheia’, ‘non-essere-nascosto’ (che risuona evidentemente, come lo stesso Anders sottolinea, nella sua concezione del comprendere) non si pone però “stranamente (…) la questione di che cosa rivela sull’ente il fatto che egli in realtà resta nascosto” (AM2, 392), il fatto cioè che “essere nascosto è probabilmente la conditio sine qua non dell’essere individuale” (AM2, 392), né tantomeno spiega il fatto che noi “perlomeno parzialmente siamo capaci di scoprire l’ente. Questa capacità è la risposta alla necessità, con il che affermo che nessuna vita vivente potrebbe vivere anche «solo per un attimo» in un mondo totalmente oscurato” (AM2, 392).

Anche il mondo dei prodotti fatti dall’uomo (non solo le opere d’arte, ma qualunque manufatto) è, per Anders, ‘espressione’. “Qualunque prodotto umano si voglia comprendere, bisogna risalire alla sua origine” (AM2, 392): interpretare significa in questo caso ricavare “dal prodotto il significato che il soggetto (l’artista, la società, l’epoca) gli ha dato originariamente” (ibidem) e questo vale

Ormai però “l’epoca dell’espressione è antiquata (…) La maggior parte dei prodotti caratteristici della nostra epoca (…) restano privi di espressione” (AM2, 393-394) e “muti”, non hanno più un aspetto proprio, non rivelano “più affatto la loro potenzialità” (AM2, 27).

Anders definisce questo fatto, “questo «essere più dell’apparire», mai verificatosi prima nella storia, “millanteria negativa” (AM2, 28): l’aspetto della macchina odierna non ha nulla più a che vedere con la sua percettibilità. Questo vale sia per i mezzi di distruzione (ad esempio le bombole di gas Zyklon B usate ad Auschwitz, la bomba atomica, le armi batteriologiche) sia per i macchinari utilizzati a scopi scientifici o produttivi: egli cita a questo proposito una visita da lui effettuata al CERN, “per me indimenticabile, perché non mi ha detto assolutamente nulla” (AM2, 394).

“Chi si limita, oggi, alla percezione di ciò che è visibile sul momento, si lascia sfuggire la realtà” (Essere, 50): “la tecnica è diventata talmente complicata che la «sensibilità» non è più alla sua altezza (di fatto oggi la tecnica è soprasensibile)” (AM2, 394)192.

La soprasensibilità della tecnica comporta l’esclusione di fatto della maggioranza degli uomini dalla possibilità di percepire l’oggetto nella sua funzionalità (o, come aveva affermato Heidegger in Essere e tempo, p.112, nella sua «appagatività» (Bewandtsganzheit) ), ma soprattutto di afferrarne l’eventuale pericolosità.

Rispetto ai moderni apparati di macchine ci troviamo perciò di fronte ad oggetti che non sono né ‘fenomeni’ nel senso di Heidegger ( “ciò che si manifesta in se stesso, il manifesto”, Essere e tempo, p. 48), né in quello di Kant (poiché ai concetti, ad esempio, di reattore nucleare o di bomba atomica non corrisponde nessuna visione sensibile corrispondente alla sua potenzialità o pericolosità, rimangono questi concetti, kantianamente ‘vuoti’); ad essi si addice piuttosto il

anche quando comprendiamo la funzione di un prodotto: “anche allora osserviamo il significato che l’autore (del prodotto) aveva destinato ed assegnato al prodotto stesso” (AM2, 393).

Questo procedimento, sottolinea Anders, non è, come potrebbe sembrare, una forma di sillogismo: “Piuttosto noi vediamo nell’expressio l’exprimens” (AM2, 392), è dunque piuttosto una specie di sintesi percettiva (Wahrnehmungsynthese).

La coincidenza tra apparenza ed essenza, garanzia della comprensione, non esiste solo nel campo della mimica vivente, quindi nelle espressioni fisiognomiche, ma anche nel campo degli oggetti d’arte (che “non sono altro che parlare” AM2, 405 nota 3) o “dei semplici utensili: infatti martelli, sedie, letti, pantaloni, guanti, ecc. si può ancora vedere a cosa servono, essi «appaiono» (AM2, 28).

192 “il tentativo di percepire il senso per mezzo dei nostri sensi sarebbe già un’impresa priva di senso” (AM2, 29), “dei propri occhi non c’è più assolutamente da fidarsi” (AM2, 395).

termine coniato da Kafka: “un oggetto: ‘Odradek’, la cui funzione sembra consistere proprio nel non avere alcuna funzione” (UsM, 24).

Il fatto di sfuggire ad ogni possibilità di comprensione concettuale o percettiva rende dunque la bomba ontologicamente un unicum: “In passato si chiamavano «mostruosi» gli esseri che non si potevano definire; cioè erano considerati monstra, esseri che, sebbene fuori dell’ordine naturale, esistevano tuttavia e che, ridendosi della domanda che cosa fossero, imperversavano allegramente. Un tale essere è la bomba. Esiste sebbene sia di natura indeterminata. E la sua mostruosità ci tiene con il fiato sospeso” (AM1, 265).