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Inversione del rapporto mezzo/fine: la terza rivoluzione industriale

2. L’uomo è antiquato

3.5. Inversione del rapporto mezzo/fine: la terza rivoluzione industriale

Attraverso le analisi dei fenomeni più significativi delle prime due rivoluzioni industriali Anders descrive nello stesso tempo quel fenomeno che, in analogia con gli autori della scuola di Francoforte, si può definire come l’imporsi nel mondo moderno della razionalità strumentale, che finisce per generalizzarsi ulteriormente, esplicitando la sua tendenza totalitaria.

Non è più infatti solo il prodotto a perdere, come avviene nella prima rivoluzione industriale, il suo carattere di fine: ora è lo stesso uomo, con la sua componente naturale (i bisogni) ad essere inglobato nel processo di produzione, diventandone un fattore calcolabile, un mezzo di produzione stesso.

Il consumo nella società tecnologica non è più infatti soddisfazione di un bisogno naturale, ma, a sua volta, mezzo di/per la produzione: “una cosa davvero vergognosa, giacchè limita il nostro ruolo di esseri umani solo a preoccuparci che, attraverso il consumo dei prodotti (...) la produzione non s’interrompa” (AM2, 10); in questo sforzo consiste, almeno nel capitalismo, secondo Anders, la «cura» odierna, intesa nel senso di Heidegger.

Il rapporto mezzo/fine si è perciò definitivamente invertito: “E’ già gran tempo che il processo degenerativo della coppia concettuale «mezzo-fine» si andava preparando. Quali che siano state le fasi di questo processo, mezzo e scopo si sono oggi addirittura scambiati le parti: la fabbricazione di mezzi è diventata lo scopo

della nostra esistenza” (AM1, 262)141.

Il mondo creato dalle prime due rivoluzioni industriali è un mondo del tutto artificiale, un universo di mezzi (Mittel-Universum), “nel quale non esistono più atti od oggetti che non siano mezzi” (AM2, 338) e nel quale gli scopi finali, non funzionalizzabili, spariscono o diventano sospetti, mentre la categoria mezzo ha ottenuto un “valore universale” (AM1, 260): “Scopo degli scopi consiste oggi soltanto nell’essere mezzi dei mezzi” (AM1, 262).

La produzione dei mezzi è diventata dunque scopo a se stessa. In questa strumentalizzazione degli scopi consiste per Anders l’ ‘idea fissa’ della terza rivoluzione industriale, cioè il fatto che “il possibile [das Mögliche] è quasi sempre accettato come obbligatorio, ciò che si può fare [das Gekonnte] come ciò

141 Anders contesta in realtà già come ‘tecnico’ l’utilizzo di queste categorie per la nostra vita: esso

“ è legittimo solo per azioni singole e procedure meccaniche isolate” (AM1, 123); altrimenti è segno di “barbarie”: “la vera e propria humanitas comincia soltanto là dove questa distinzione perde ogni senso: dove tanto i mezzi che gli scopi sono talmente impregnati di stile di vita e di etica che, al cospetto di singole porzioni di vita o di mondo, non si può distinguere, anzi non si affaccia nemmeno l’interrogativo se si tratti di «mezzi» o di «scopi»” (AM1, 124).

che si deve fare” (AM2, 11; anche AM2, 17): ciò che è fattibile tecnicamente rende superflua la discussione sulla desiderabilità dello scopo che con esso si dovrebbe raggiungere142.

“In altre parole: i mezzi giustificano gli scopi”: questa è “la parola d’ordine segreta della nostra epoca”, nella cui cornice, “presunto mezzo tra i mezzi” (AM1, 263) è nata la bomba atomica: essa è infatti l’esempio paradigmatico, secondo Anders, della forza normativa della tecnica, di come è realmente prodotto ciò che è tecnicamente producibile, sebbene sfugga ad ogni giustificazione razionale. Essa “ha portato un mutamento così spettacolare della sorte dell’umanità (…) un’era nella quale gestiamo la produzione della nostra distruzione” (AM2, 13), che dobbiamo parlare di ‘terza rivoluzione industriale’, in realtà uno stadio della storia definitivo e insuperabile, tale che alle rivoluzioni che da allora in poi hanno scosso l’umanità spetta solo lo status di “rivoluzioni interne”.

Anders si riferisce soprattutto a due di esse: “al fatto mostruoso che l’uomo ha potuto trasformarsi in un homo creator; e a quello, non meno inaudito, ch’egli può trasformare se stesso in materia prima, cioè in un homo materia” (AM2, 14). Con il termine homo creator egli intende “il fatto che noi siamo capaci, o meglio, che ci siamo resi capaci, di generare prodotti dalla natura, che non fanno parte (come la casa costruita con il legno) della categoria dei «prodotti culturali», ma della natura stessa”, come ad esempio il plutonio: “già in questi casi per mezzo della τεχνή si è prodotta φύσις” (AM2, 15).

L’uomo non si limita a trasformare la natura (come sempre ha fatto, in quanto animale tecnico), ma ha acquisito la capacità di crearla, cosicché l’espressione ‘seconda natura’ ora non ha più un senso solo metaforico.

Una prima figura dell’homo creator è quella rappresentata dal tecnico dell’Human engineering, l’uomo che, reagendo al senso di limitatezza della propria natura corporea, tende al “«superamento dell’essere uomo»” (AM1, 73), cercando di trascendere il corpo, “sondandone le più estreme possibilità e la soglia di sopportabilità” (Pulcini, 2004, p.15): “Come un pioniere, l’uomo sposta i propri

142 E’ questo un motivo che ritorna con insistenza nel pensiero dei critici della tecnica, la funzione

cioè autolegittimante che essa esercita nei confronti del proprio procedere: ne parlano ad esempio Ellul (citato da Baumann, Le sfide dell’etica, p. 192) o lo stesso Severino (citato da Galimberti, 1999, p. 680). Esso è in realtà il concetto in cui si esprime la normatività della tecnica, che costituisce il fulcro del dibattito sulla tecnocrazia (Technokratiedebatte) svoltosi in Germania negli anni ’60, che sarà preso in esame in seguito: cap.4.5

confini sempre più in là (…) passa in una sfera che non è più naturale, nel regno dell’ibrido e dell’artificiale” (AM1,70)143.

Inizio e culmine della trasformazione dell’uomo in materia prima si può considerare invece lo sfruttamento dei cadaveri esercitato nel campo di Auschwitz (a cui Anders affianca il comportamento dei soldati americani che sottraevano i denti d’oro ai giapponesi uccisi).

Se questa forma di sfruttamento dell’uomo come materia prima è rimasta una eccezione, la genetica, un’altra ‘rivoluzione interna’, si presenta oggi come una scienza nella quale vengono a coincidere homo creator ed homo materia, dal momento che suo scopo “è creare da esseri viventi altri esseri viventi” (AM2, 17). Nella manipolazione dei geni e soprattutto nella clonazione Anders vede profilarsi un pericolo per l’umanità: “Mentre la guerra atomica significa la distruzione degli esseri viventi inclusi gli uomini, la clonazione significa la distruzione della specie qua species, forse la distruzione della specie uomo attraverso la produzione di nuove tipi di specie” (AM2, 18).

Come quarta ed ultima rivoluzione interna Anders considera la tendenza, già esaminata a proposito del ‘lavoro’, a rendere l’uomo superfluo attraverso l’automazione.