16 profferersi] in proferersi Vch1 el proferersi Fl a proferirsi Tr2 proferirsi Lu1 • Proua non
fa d’amico proferersi Vl 17 a chi a felice stato Vl 18 colui] cobui Vch1 colu Fr12 • colui che
la per se contrario al mondo Vl 19 ma chi ’l] ma chi il Fl ma chi e Fr12 • conosce e prova?] chonscie proua Rn cognosce e prova Prm1 Tr2 Lu1 • Chi vedersi] chel uedersi (
f
) Fl chevedersi (
f
) Prm1 • ma chi conosce proua che uedersi (f
) Vl 20 si può] se può Tr2 • d’altovoltato] d’altro voitato Tr2 • d’alto uoltare Fl • dalto stato uoltato Vl 21 nel suo basso fondo]
in nel suo basso fondo Tr2 Lu1 • Da la fortuna nel suo basso fondo Vl 22 chi gli è] chi li e Tr2
Lu1 • cosi nel basso come nel giocondo Vl 23 ch’ egli] chel Tr2 chelli Lu1 • ebbe] ele Lu1
• amico] amato Tr2 • gli può] gli puoi Vch1 gliel puo Fr12 li puo Tr2 • Da te non parte amico
si puo dire Vl 24 ch’usança e di fugire Vl 25 ogni infingardo cui e’ vede] ogni ingrato quei che uede Vch1 ogni ’nfingardo cui e vede Lu1 Rn Fl42 ongni infingardo chui il uede Fl ogni infinghardo chui el uede Prm1 ongni infingardo chui al uerde Tr2 • ogni infingardo cui e uede
al uerde Vl 26 denari] stato Lu1 Fl non leggibile Fr12 • e di’] non leggibile Fr12 • tu chai danari & di cha cento amici Vl • verso non esistente Tr2 27 guarda] ghuar Fl42 • guarda ben
ciò che dici Vl • verso non esistente Tr2 28 chi ’l denar perde] chi ’l dana perde Fr12 chi perde
danari Fl chi scato perde Lu1 • tali amici perde] perde tali amici Fl • chi ’l danaio perde tali amici perde Vl 29 Sol] solo Vch1 • sé chi ama] se chiaman (
f
) Fl se chiamano (f
) Prm1 • sol per util di sé amono altrui (f
) Vl 30 vi dura] vi sara Fl • infin] fin Fl42 in sin Tr2 • trae] traFl42 Fl Lu1 trache Tr2 • da lui] daltrui Tr2 • l’amor ui dura fin che trae da lui Vl
16-17. Si intenda: ʻil mostrarsi in qualità di amico a colui che gode (ha) di una condizione sociale di benessere o di una situazione personale favorevole e di prosperità (felice stato), non costituisce (non fa) una prova di amicizia (Prova d’amico)ʼ.
16. profferersi: (< lat. prōferre), “portare davanti”; ʻmanifestarsiʼ, ʻoffrirsiʼ.
Cfr.”Apresso mostra onde l’autoritade trae in proferersi maestro, però ch’è da Venus, la quale è madre e dea d’amore.”, Anonimo, Arte d’Amare di Ovidio volgarizzata (Volgar. B), prologo, 223; “mandò ambasciatori a Siena a dolersi del caso, ed a proferersi del’aiuto e concordia.”, Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, Rubr. 970, 432.
17. felice stato: in relazione al concetto di “condizione” e di “periodo di prosperità e di pace”, cfr. es. “e regnò grande tempo in felice stato”, G. Villani, Cronaca (ed. Porta), L. 3, cap. 4, 1,
103; “che ne’ detti tempi la città di Firenze e’ suoi cittadini fu nel più felice stato che mai fosse”, ibidem (ed. Moutier), L. 7, cap. 89, 2, 281.
In merito invece al significato di “condizione materiale e sociale di benessere”, cfr. es. “Ah! quanto de’ avere il cor compunto / D’ogni dolor, chi del felice stato / Si vede in luogo di miseria giunto!”, Ristoro Canigiani, Il Ristorato, cap. 8, vv. 22-24; “sì come la sciocchezza spesse volte trae altrui di felice stato e mette in grandissima miseria”, Boccaccio, Decam., I, 3, 42.
Infine, per quanto concerne il riferimento all’intima e personale situazione esistenziale di un individuo, cfr. es. “dietro a quel sommo ben che mai non spiace / levate il core a più felice stato.”, F. Petrarca, Poi che voi et io più volte abbiam provato, R.V.F. 99, vv. 3-4; “Morte ebbe invidia al mio felice stato", F. Petrarca, Tutta la mia fiorita et verde etade, R.V.F. 315, v. 12. 18. Si intenda: ʻcolui che gode di tale situazione e di tale condizione di benessere (che l’ha; rif. a felice stato del v. 17), al contrario (contrario) ha a suo favore (per sé) tutti gli uomini (’l mondo)ʼ.
L’autore intende dimostrare il facile e scontato sentimento di vicinanza amicale in occasione dei momenti di pacifica ʻfelicitàʼ dell’interessato.
Cfr. “L’amico che ama a sua utilitade, usa mercatanzia, non amistade. Mentre che sarai bene aventurato avrai molti amici, e questi sono amici di ventura, però che tanto stanno teco quant’ella.”, A. Pucci, Libro di varie storie, cap. 35, 244.
contrario: con valore avverbiale, “contrariamente” (vd. TLIO, contrario, 2.2).
19-23. Cfr. “C’è più bisogno di avere amici nella buona o nella cattiva sorte? Si cercano amici in entrambi i casi, dato che gli sfortunati necessitano di aiuto, e i fortunati hanno bisogno di compagni, e di persone cui fare del bene, dato che vogliono agire bene. Ora l’amicizia è più necessaria nelle sventure, per la ragione che in quei casi si ha bisogno di persone migliori, perché è preferibile fare del bene a costoro e passare il tempo con essi. Infatti la stessa presenza dell’amico è piacevole, sia nella buona sorte che nella cattiva. Chi ha dei dispiaceri ne sente meno il peso quando gli amici condividono il suo dolore: si potrebbe essere in dubbio se essi prendano su di sé una parte del dolore, come se fosse un peso, o se invece ciò non avviene, ma la loro presenza, a noi gradita, e la consapevolezza che essi condividono la sofferenza, rendono inferiore il dolore.”, Aristotele, Etica Nicomachea, IX, 11, 1171a, 21-33.
19. ma chi ’l conosce e pruova?: il compl. oggetto (’l: “il”, pron. accusativo di terza persona singolare) è l’ amico del v. 16. Si intenda: ʻma chi conosce e sperimenta il vero amico?ʼ.
prova: verbo, diversamente dal suo omografo del v. 16; lett. ʻmettere alla provaʼ, ʻtestareʼ. Cfr. “È dunque da essere provato l’amico nell’amistade e così anderebbe l’amistà dinanzi alla prova, e non potremo provare l’amico. Adunque che è da fare? Farae così il proveduto huomo, che poi ch’avrae per li decti segni electo l’amico, ratterae temperatamente l’assalto de la benivoglienza, come si rattiene il carro et come si sostengono i cavalli menati al galoppo; et per la virtude proverae l’amico eletto e principalmente per la fermezza e per la perseveranza. Però che per la fermeza si conoscono gl’amici nel cominciamento dell’amistade, e ciò si dimostra s’eglino per leggiereza d’animo antipongono piciolo avere di pecunia, o d’onore, o di gloria all’amistà. Ma nella provecta amistade, per la decta fermeza, si conoscono maggiormente s’elli non antipongono le grandi cose all’amistade, la quale fermezza in radissimi si truova. Bene, dicono tutti comunemente che laida cosa e disonesta è ad antiporre la pecunia all’amistade; ma nella pruova, ove troveremo noi coloro che la pecunia, gl’onori, li magistrati, la gloria e le segnorie non vogliano inanzi che l’amistade?”, Filippo Ceffi, Volgarizzamento del De amicitia di Cicerone, cap. 24, 78; “Molto ti guarda che per ch’uno, che tu non conosci né lui né sua nazione, ti mostri buon viso e facciati grande onore e proferte e loditi in palese anzi te e dopo te, di non fidarti però subito in tutto di lui; e non dire subito: «cotale è il maggiore amico ch’io abbia». Voglio prima provare, non una volta ma cento, tanto è a dire quanto molte volte; e in molti modi e in molti casi il dei provare anzi che l’appruovi per verace amico.”, Paolo da Certaldo, Libro di buoni costumi, cap. 375, 241; “Buono è a provare l’amico.”, Anonimo, Proverbi e modi proverbiali, 108.
19-21. Si costruisca ed intenda: ʻcolui che si può veder sé (vedersi) precipitato per caso (alla fortuna) da una posizione di benessere e di prestigio (d’alto) in una condizione di personale miseria (nel suo basso fondo)ʼ.
Cfr. “Onde dice Varro nelle sentenzie: l’amistadi de’ ricchi sono come la paglia contro il grano. Vôi tu provare l’amico? Nol puoi provare se non in avversitadi.”, Anonimo, Libro de’ costumi e degli offizii de’ nobili sopra il giuoco degli scacchi di frate Jacopo da Cessole volgarizzato, III, cap. 3, 78.28; “Gl’amici della fede si conoscono nelle aversitadi, nelle quali ciò che bisogna viene con benivolenza. Non dei amare alcuno che contra suoi si porti male e disfamigli, però che non ne puoi avere speranza buona. Lucano: Ama l’amico in povertà come in ricchezza. Malagevole cosa è provare l’amico nella prosperità, e nella aversità è agevole.”, A. Pucci, Libro di varie storie, cap. 35, 244; “Dice che ogni tempo ama chi è amico vero, e nelle tribulazioni si prova el vero amico. Questo è l’atto della vera carità, quando ne’ forti casi l’uno amico non manca all’altro.”, M. Corsini, Rosaio della vita, cap. 45, 60; “È dunque da essere provato l’amico nell’amistade e così anderebbe l’amistà dinanzi alla prova, e non potremo provare l’amico.”, F. Ceffi, Volgarizzamento del De amicitia di Cicerone, cap. 24, 78.19.
vedersi / si può: presenza ridondante del pronome riflessivo si (rif. a chi del v. 19).
20. voltato: lett. ʻgiratoʼ, ‘cambiato’, ‘sconvolto’; dal lat. volg. voltāre ( < volutāre, a sua volta iterativo di volvĕre).
Cfr. “quante volte lo predetto batello era stato dalla tempestate sottosopra voltato, e come con esso pieno di acqua era ito quasi natando.”, D. Cavalca, Dialogo di san Gregorio volgarizzato, L. 4, cap. 53, 311.
21. alla fortuna: loc. avverbiale, ‘senza una precisa ragione’ (vd. TLIO, fortuna, 1.3).
Cfr. “E in cotale guisa le navi, che a fortuna erano aparecchiate, si caricaron d’oro”, A. Lancia, Eneide volgarizzata, L. 1, 169.
nel suo basso fondo: cfr. “Che mi val perché i’ sia di re figliuolo, / o ver signor ancor di tutto ’l mondo, / da ch’io debbo morir con tanto duolo, / in terra stare, in così basso fondo, / e ’nfracidare in su lo scuro suolo, / ove di carne ogn’osso sarà mondo?”, Neri Pagliaresi, Leggenda di santo Giosafà, pt. 3, 22, vv. 1-6.
Si noti inoltre il seguente passo del Boccaccio in cui si palesa la rima fondo : giocondo: “Ma sopra tutti benedico Iddio / che tanto cara donna diede al mondo, / e che tanto di lume ancor nel mio / discerner pose in questo basso fondo, / che ’n lei innanzi ogni altro il gran disio / io accendessi, e fossine giocondo.”, Boccaccio, Filostrato, pt. 3, ott. 85, vv. 1-8.
22-23. Si intenda: ʻColui che (Chi) si dimostra (è) fedele all’amico (gli) nelle avversità così come (come) gli fu fedele nei momenti felici (nel giocondo tempo) che questi visse (ch’ egli ebbe), questi può davvero chiamarlo (gli può dire) amicoʼ.
22. gli: pron. dativale di terza persona singolare in posizione prevocalica. Rif. all’amico; ovvero, a chi del v. 19.
costante: aggettivo; lett. ‘stabile’, “fermo in un rapporto di fedeltà”(vd. TLIO, costante, 2.4). Cfr. “e tanto è l’uomo amico di Dio, e non più, quanto è forte alle battaglie e costante.”, D. Cavalca, Esposizione del Simbolo degli Apostoli, L. 2, cap. 6, 186; “Per lo quale animo così costante verso l’amico, dignissimo merito ricevette da li dii immortali”, Anonimo, Valerio Massimo volgarizzato (red. V1), L. 3, cap. 8, 257.11; “passeggio come que’ che ssi confida / pur che ll’amico rida, / quando ’l si vede ben dricto e costante.”, Tommaso di Giunta, Da poi ch’i’ vidi l’umile sembiante, Conciliato d’Amore e rime disperse attribuibili al Conciliato d’Amore, vv. 6-8.
22-23. nel giocondo / tempo: ‘nei giorni sereni e gioiosi’. Cfr. es. F. Sacchetti, Fece già Roma triuonfando festa, v. 57; F. degli Uberti, Il Dittamondo, L. 1, cap. 24, v. 7.
23. ch’egli: l’amico.
amico gli può dire: il soggetto è egli e non più chi del v. 22.
24-25. Proposizione causale. Si costruisca ed intenda: ʻperché è consuetudine (usanza) di ogni bugiardo (di ogni infingardo) evitare (fuggire) colui che (cui) egli (e’) osserva (vede) essere in stato di indigenza e di miseria (al verde)’.
24-25. il soggetto della prop. causale è costituito dall’infinito fuggire.
di … ogni infingardo: lett. ‘colui che s’infinge’, ‘simulatore’, ‘falso’; compl. di specificazione di usanza.
Cfr. es. Anonimo, Trattati di Albertano da Brescia volgarizzati, De amore, L. IV, cap. 21, 5044.135; Anonimo, Libro de’ costumi e degli offizii de’ nobili sopra il giuoco degli scacchi di frate Jacopo da Cessole volgarizzato, II, cap. 2, 22; F. Sacchetti, Il Trecentonovelle, 47, 104. 25. cui: pronome relativo in funzione assoluta (‘colui che’; vd. G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti. Morfologia, pp. 191-193) e complemento oggetto della subordinata relativa oggettiva retta da fuggire.
e’: rif. a infingardo.
al verde: lett. ‘alla fine’. In questo frangente tale espressione colloquiale-realistica esprime il significato di “essere in rovina”; ovvero, “essere privo di denari” (vd. v. 26).
Cfr. es. Meo di Tolomei, Sì sse’ condott’ al verde, Ciampolino, v. 1; F. Petrarca, Già fiammeggiava l’amorosa stella, R.V.F. 33, v. 9; Boccaccio, Il fior, che ’l valor perde, v. 20. 26. cento amici: cfr. “No ti paia poco avere uno amico, ké disse Arabs al suo figluolo quando venne ad morte: Quanti amici a’ tu trovati? Disse il figliolo: Onne trovati cento e più. Ancore disse il padre al figluolo: No llodare l’amico, se prima non pruovi. Io naqui e venni nel mondo prima di te, e ancora non ò trovato in tutti li miei tenpi se un mezo amico; onde va, figliolo mio, e pruova li tuoi cento amici, e sapie qual t’è il più perfetto. Disse il figliolo: Come vuo’ tu ch’ io gli pruovi? Disse il padre: Va, togli un porco o vuoli uno vitello, uccidilo e mettilo in u sacco tutto sanguinoso e llevalti adosso, e va ll’uno di questi tuoi cento amici, e chiamerai l’uno (ed era di notte) e dera’li: I’ ò morto questo huomo. Pregoti ke ’l mi debbie sotterare, sì che nol si sappia, ed io per la tua amistà canpi la persona. E così si mosse e andò all’ un di questi suoi C amici. Il primo ke provò dissse: Va, portaltene: sì come tu ài fatto il male, così te ne porta la pena, ké qua entro lasciera’ tu. E così ne provò de’ più cari k’ elli avea, e katuno gli diede qualke cagione. Tornò al su’ padre con gra vergogna e disse sì come gli era incontrato. Allora disse il padre: Avenuto t’ è sì come disse un savio filosafo: Molti sono amici in novero, ma in verità ne son pochi.”, Anonimo, Volgarizzamento di un frammento della Disciplina Clericalis di Pietro di Alfonso, 74.
28. Espressione proverbiale di carattere popolareggiante. Cfr. “Non perché l’individuo amato è quello che è, ma in quanto è utile o in quanto è piacevole. Perciò tali amicizie sono per acccidente, in quanto l’amato non è amato perché è quello che è, ma perché gli uni ne traggono un qualche bene e gli altri un piacere. Quindi simili amicizie si dissolvono facilmente, quando gli amici non rimangono identici a sé; infatti cessano di amare gli amici quando non risultano pù piacevoli o utili, e l’utile non rimane sempre identico a se stesso, ma di volta in volta diventa diverso, dunque se si dissolve la causa per la quale erano amici, si scioglie anche l’amicizia, dato che l’amicizia esisteva in vista di quei fini.”, Aristotele, Etica Nicomachea, VIII, 1156a, 15-24. tali amici: rif. al v. 26.
29-30. Si costruisca ed intenda: ʻse colui che (chi, soggetto) ama una persona (altrui, compl. oggetto), l’ama unicamente (sol) per il suo vantaggio personale (per util di sé), l’affetto amicale (amor) resiste nel tempo (vi dura) fino a quando (infin che) questi è in grado di ricavare (trae) un beneficio da tale persona (da lui).
Cfr. “Coloro che si amano reciprocamente vogliono l’uno il bene dell’altro secondo l’oggetto che sta alla radice del loro affetto; ora coloro che si amano reciprocamente in vista dell’utile non si amano per sé, ma in quanto ognuno trae dall’altro un qualche bene.”, Aristotele, Etica Nicomachea, VIII, 1156a, 9-10; “Colui, che fa amistà affine d’utilità, pensa male, perocché, com’egli avrà cominciato, così finirà, e com’egli sarà liberato di prigione, e’ se n’anderà. E queste sono amistadi temporali, perocché colui, che è ricevuto ad amico per trarre di lui utile, tanto sarà piacevole, quanto sarà l’utile; egli è di necessità, che il cominciamento, e ’l fine s’accordino. (…) non è amistà, anz’è mercatanzia, che la guarda all’utile, ch’ella potrà trarre dell’amico.”, Anonimo, Pistole di Seneca volgarizzate, 9, 16; “l’amico p(er) cagione d’utilità si prende, et se elli se(m)pre n’arà dda(n)no la tua amistà no· li piacerà, p(er)ò che, sì come disse lo phylozofo, chi per cagione d’utilità è facto amico, tanto piacerà qua(n)to fi utile.”, Anonimo, Trattati di Albertano da Brescia volgarizzati, De amore, L. II, cap. 1, 5022; “Tu ami l’amico perché tt’è utile, che tti soviene, o che nn’hai diletto o compagnia: quando ti viene meno a cciò, non l’ami più, però ch’è venuto meno quello per che ll’amavi. Ben è vero che l’amore diritto, che ’l chiamano i savi amore d’amistade, non dee essere per utilitade che nn’abbi o che nne
astetti di lui, ma déilo amare in sé, cioè di volere ch’abbia bene egli.”, Giordano da Pisa, Quaresimale fiorentino, 62, 310.
Questi versi conclusivi sembrano seguire un costrutto ad sensum tipico del discorso orale. Il valore condizionale del v. 29 infatti non è grammaticalmente esplicitato.
29. Dal punto di vista metrico il verso richiede l’applicazione di una dialefe dopo chi ed una sinalefe invece nel successivo incontro vocalico tra ama ed altrui.
30. amor: soggetto del verbo “durare”.
trae: il soggetto è chi del v. 29. Il compl. oggetto, qui ellittico, deve essere ritrovato in util del verso precedente.
da lui: rif. ad altrui del v. 29.