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perch’io all’appetito pur m’appicco

16 voglio, e non vorrei] uoglio e nol uorrei Lu1 17 voluto] uoluto merita rampogna Bu4 18 se quel ch’ho avuto] Qvel ch’o vuto Fn5 se quel ch’ o auto Rn Fl42 Fr8 Lu3 verso omesso con nota in margine superiore Bu4 19 che val,] che uale Rn Fl42 Prm Lu1 • i’ rivorrei,] il riuorei Rn Fr12 i’ volrei Fn5 io vorrei Fr8 Lu3 io uorria Prm • verso omesso con nota in margine superiore

Bu4 20 ne sia pentuto?] ne fui pentuto Vch1 Prm non fu pentuto Fn5 ne fu pentuto Rn Fr8 Lu3

21 Non alcun ben,] non ual un ben Bu4 non alcun bene Rn Fl42 Lu1 • ma crescemi] et crescemi Bu4 ma crescremi Vch1 ma crescermi Lu3 • vergogna] uergongne Prm

22 Misero a me,] miser a mme Fn5 misero me Fr8 Lu3 mifero a me Prm • veggio] veggo Fn5 • che sogna] chi songne Prm • verso omesso con nota in margine basso Bu4 23 in me] i me

Bu4 • che parlo e dormo,] ch’io parlo et dormo Bu4 24 poscia] posta Fn5 possa Lu1 • ch’io non] ch’ i’no Fn5 che no Fl42 • mi formo] mi informo Fr8 mi ’nformo Fn5 Fr12 Lu3 me

informo Bu4 mi fermo Fl42 Prm 25 vita] virtù Fl42 • in ch’ altri] ch’altri Bu4 Fr12 Prm in che altri Fr8 Lu3 ou’ altri Rn d’altri Lu1 • è sempre desto;] sempre è desto Bu4 26 falso bene] il falso bene Bu4 • e vano amore] e il uano amore Bu4 e uario amore Lu1 27 e a questo] a questo

g

Bu4 in questo Lu1 • tengo] tegno Fn5 Fr8 Lu3 Lu1 28 Amore e ben] Amore e bene Vch1 Rn e amore e ben Fr8 Fr12 Fn5 e amore e bene Lu3 Fl42 a amore e bene Prm Lu1 • de’] die Bu4 dee Vch1 29 bench’io vegga] ben ch’il ueggia Lu1 bench’ io ueda Bu4 bench’ io ueggia Vch1 Rn Fl42 Fr8 Fr12 Prm Lu3 Lu1 • il ver,] il ben Bu4 il vero Lu3 Vch1 Rn Fr8 Fn5 Prm al uero Lu1 • non mi vi ficco,] non me ne ficho (corretto in fido) Bu4 non me ficho Lu1 non mi ficco Lu3 30 perch’io] perche Bu4 Fl42 perch’i’ ho Lu3 • pur] et pur Lu1 • all’appetito] l’appetito Lu3 • m’appicco.] m’ aficho (corretto in affido) Bu4 m’amico Rn

16-17. Si noti il poliptoto giocato sul verbo volere (voglio, vorrei, voluto) e sul quale si fonda il distico iniziale; cfr. “et vorrei più volere, et più non voglio;”, F. Petrarca, Rimansi a dietro il sestodecimo anno, R.V.F. 118, v. 10.

17. averlo: -lo, rif. a quel che mi nuoce del primo verso.

18. Proposizione di non immediata ricostruzione sintattico-semantica. La congiunzione se infatti sembra introdurre pacificamente un periodo condizionale, dipendente dalla proposizione principale non vorrei averlo poi voluto. Quest’ultima sembra a sua volta strettamente correlata a

Quel che mi nuoce voglio, la cui funzione, nella dinamica logico-sintatica della stanza, è fondamentale, dal momento che ne costituisce l’argomentum.

Questa intricata situazione sembra tuttavia risolversi, considerando l’eventualità dell’occorrenza di un costrutto brachilogico. Se si ipotizza infatti una duplice funzione sintattica svolta dalla coordinata alla principale dei vv. 16-17, il verso in esame riacquista un ruolo ed un significato più definiti in seno alla strofe.

Dopo essersi imposta quale coordinata alla principale (vd. v. 17 e soprattutto la nota relativa al pronome), questa proposizione deve essere ripresa una seconda volta ed interpretata nella sua precipua funzione di apodosi del periodo ipotetico la cui protasi è il v. 18; apodosi però scevra di legami con la precedente principale.

Di conseguenza il pronome personale lo del v. 17 non rinvierà più a quel che del v. 16, ma al contrario alluderà a quel ch’ del v. 18.

Si provi dunque ora a costruire e ad intendere il detto periodo ipotetico: ʻe dopo (poi) non vorrei aver voluto quanto ho avuto (lo) tanto più se esso (quel ch’ho avuto) è causa di rimprovero (merita rampogna)ʼ.

rampogna: sost., severo rimprovero. In merito alla rima rampogna (sost.) : vergogna, cfr. es. F. degli Uberti, Il Dittamondo, L. 1, cap. 5, v. 67; Garzo, Lauda di Santa Chiara, v. 123; Anonimo, Contrasto fra la Croce e la Vergine, v. 37; Anonimo, Leggenda di santa Caterina d’Alessandria (red. toscana), str. 5, v. 8; Anonimo, Laudario di Santa Maria della Scala, 15, D’esta errança prego ch’aggi pace, v. 37; Un Canzoniere italiano inedito del secolo XIV (Beinecke Phillipps 8826), 36, Questa auelente rosa, colorita e frescha, v. 20.

19. Questo: ʻquesto tanto repentino quanto apparente pentimentoʼ (rif. ai vv. 16-17).

vale: < lat. valēre; servire a; valere a ottenere; cfr. es. Binduccio dello Scelto, La Storia di Troia, cap. 374, 400; cap. 427, 450.

19-20. se appresso … / pentuto?: ʻse, benché io dimostri pentimento, dopo io vorrei ancora (rivorrei) quello che ho già precedentemente avuto?(sotto inteso: quel ch’ ho avuto del v. 18; rif. a Quel che mi nuoce, v. 16).

appresso: avv., qui con valore temporale; di seguito, dopo (vd. TLIO, 3). 20. Prop. concessiva.

pentuto: part. passato debole in -uto del verbo pentére (< lat. -ēre; vd. G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti. Morfologia, pp. 361-362; pp. 369-371).

21. Non alcun ben: nulla, nessun bene.

22. Misero a me: povero me; cfr. es. Riccardo degli Albizzi, Io veggo, lasso! con armata mano, v. 83; J. Passavanti, Lo Specchio della vera penitenza, dist. 2, cap. 4, 25; Anonimo, Beato Iacopo da Varagine, Leggenda Aurea, Volgarizzamento toscano del Trecento, cap. 168, S. Caterina, 3, 1499.10.

22-23. i’ veggio … / … dormo: si costruisca ed intenda: ʻsebbene l’immaginazione (la fantasia) agisca (sogna) in me inducendomi a dialogare con un fittizio “altro me”, sono tuttavia (ma) cosciente (i’ veggio) che scioccamente parlo invano (parlo e dormo).

22. veggio: comprendere; in antitesi a dormo del v. 23.

23. la fantasia: la facoltà immaginativa in grado di produrre nella mente delle situazioni irreali. Cfr. es. Dante, Vita nuova, cap. 16, parr. 1-6, 2; Dante, Par. c. 24, v. 24.

Tuttavia questo termine può alludere anche alla potenziale capacità precipua tipica della ragione umana di elaborare pensieri peccaminosi e immorali; cfr. es. Domenico da Monticchiello, Teologia Mistica attribuita a san Bonaventura volgarizzata, cap. 3, 4, 94; Simone Fidati, Ordine della Vita Cristiana, pt. II, cap. 4, 665 (vd. TLIO, fantasia, 2; 2.1).

sogna: sognare. In questo contesto tale verbo sembra esprimere il significato di “produrre immagini irreali”; cfr. “cioè imagina: però il sognare è imaginare”, F. da Buti, Commento all’Inferno, c. 16, 106-123, 439; “come nel sogno si vedeno le cose figurate ne la fantasia.”, F. da Buti, Commento al Purgatorio, c. 28, 138-148, 689; “Puote adunque il diavolo trasmutare la immagine e fantasia, o dormendo, facendo sognare; o, vegghiando, facendo parere e immaginare figure, impressioni, similitudini di cose paurose, dilettevoli, terribili e noiose, o di cose vere o di cose che paiono vere.”, J. Passavanti, Trattato dei sogni, 304; “e quel cotale movimento muove

la fantasia e la immaginazione a sognare cose per le quali quello omore compia il corso suo.”, J. Passavanti, Trattato dei sogni, 332.

che parlo e dormo: con ogni probabilità alla radice di questa espressione vi è il passo biblico di Ecli 22, 9: “Cum dormiente loquitur, qui enarrant stulto sapientiam, et in fine narrationis dicit: ʻQuis est hic?ʼ”.

Si osservino anche le seguenti varianti in volgare: “Con uno dormitore favella chi parla allo stolto [la sapienza]; il quale in fine della narrazione dirae: chi è costui?”, Anonimo, Bibbia volgare, Ecli 22, 9; “Ed altrove dice il medesimo: Lo savio se tenzona col folle, o ch’egli rida, non troverà riposo. Il folle non riceve il detto del savio, s’egli non dice cosa che gli sia grata a suo cuore. Iesù Sirach dice: Quelli parla ad uomo che dorme, che parla allo stolto sapienza.”, Anonimo, Il Tesoro di Brunetto Latini volgarizzato da Bono Giamboni, L. 7, cap. 15, 271; “I(es)ù Siràc disse: co(n) colui che dorme parla chi alo stolto dice sapientia, et iin fine del suo dicto dirà: chi è q(ui)?”, A. da Grosseto, Trattati di Albertano da Brescia volgarizzati, De doctrina, cap. 3, 26.

24-25. Si intenda: ʻdopo che (poscia che) non mi conformo (io non mi formo) alla vita virtuosa del saggio (in quella vita in ch’ altri è sempre desto)ʻ.

24. formo: da formare; qui equivalente a conformare, rendersi conforme, agire in modo conforme, (vd. TLIO, conformare, 1, 1.1). Per quanto concerne la costruzione di “conformare in”, cfr. es. “e con buoni conforti dobbiamo confortare in bene l’un l’altro”, D. Cavalca, Esposizione del Simbolo degli Apostoli, L. 1, cap. 31, 1, 288; “e troverete nelle pene pace e quiete e consolationi, vedendovi conformare in pena con Cristo crocifisso;”, Caterina da Siena, Epistolario, lett. 88, 357.

25. in ch’altri è sempre desto: il saggio, il sapiente. Si intenda lett. ʻnella qual vita colui che, non dormendo, saggiamente è sempre attivoʼ. Questa perifrasi rinvia a parlo e dormo del v. 23 e al suo significato metaforico teso a rappresentare antiteticamente l’io lirico nelle fattezze dello stolto.

desto: lett. che non dorme; vitale, solerte (vd. TLIO, desto, 2, 2.1).

26. falso bene: il bene materiale è ingannevole in quanto, compiacendo l’uomo, allontana questi dal vero e sommo bene rappresentato da Dio; cfr. F. da Buti, Commento al Paradiso, c. 10, 121- 132, 325-39; Ristoro Canigiani, Il Ristorato, cap. 18, v. 11; Giordano da Pisa, Prediche inedite, 8, 73; Anonimo, Pistole di Seneca volgarizzate, 59, 131.

vano amore: l’amore che è fine a stesso e che conduce l’uomo al peccato; cfr. es., F. Petrarca, I Trionfi, T. Pudicitiae, v. 159; D. Cavalca, Specchio di Croce, cap. 2, 8; Pacino Angiulieri, Io so ben certo che si può trovare, v. 6; Panuccio del Bagno, Considerando la vera partensa, v. 2; Anonimo, L’Ottimo Commento della Commedia, Paradiso, c. 26, proemio, 561.

28. honesto: aggettivo con valore avverbiale; con onestà, lecitamente, rif. a volere (vd. v. 6). 29. vegga il ver: riconosca la verità, l’autentico amore e ben.

vi: avv., rif. a il ver.

ficco: da ficcare, entrare, mettersi; lett. inserire. La vicinanza con vegga induce a considerare questo verbo anche nelle sue accezioni rispettivamente di “fermare lo sguardo” e di “rivolgere l’animo ad un determinato obiettivo” (vd. TLIO, ficcare, 1; 2.1; 2.2); cfr. Dante, Inf., XII, v. 46; F. degli Uberti, Il Dittamondo, L. 1, cap. 13, v. 50.

30. Prop. causale.

all’appetito: all’istinto, al desiderio (vd. TLIO, appetito, 1; 1.1).

pur: avverbio con valore continuativo. Tuttavia tale avverbio può anche assumere il significato di “soltanto”.

m’appicco: da appiccare, lett. fissare a qualcosa, aderire. Dunque: affidarsi (vd. TLIO, appiccare, 1; 1.2; 1.2.1); cfr. Giordano da Pisa, Quaresimale fiorentino, 28, 142; Neri Pagliaresi, Leggenda di santo Giosafà, pt. 5, 28, v. 3.

Si osservi che in virtù del carattere moralistico di questa canzone e del contesto di questa determinata stanza, il verbo appiccare può essere anche alludere all’inevitabile morte spirituale del soggetto lirico, dal momento che questi denuncia costantemente la sua incapacità di affrancarsi dal falso bene e vano amore. Infatti tale verbo può acquisire il significato di “impiccare” (vd. TLIO, appiccare, 1.1).

Infine questo verbo può dischiudere un terzo livello di significazione. Se infatti si prende in considerazione il sostantivo appetito, inteso nella sua accezione di “desiderio” ed il verbo appiccare nel suo significato di “provocare l’accensione del fuoco” (vd. TLIO, appiccare, 2), l’autore potrebbe aver voluto stabilire un aggancio allusivo al diffuso topos rappresentato della fiamma ardente del desiderio. Per quanto concerne quest’ultima determinata accezione del verbo attestata in ambito morale, cfr. D. Cavalca, Disciplina degli Spirituali, cap. 22, 176.

O anima infuscata in tristo sacco,