16 farla] falla Prm 17 volle] uolse Lu1 • usassi] usasse Vch1 Prm 18 com’uom] chom uomo Fl42 • fitto] a ficto Lu1 il fitto Vch1 il afitto Prm 19 ragion] ragione Fl42 Lu1 • gli occupi] li ochupi Lu1 20 creder] credere Rn 21 gli] li Lu1 • diritto] dricto Prm 22 tua] tuo Prm • ragione] ragion Rn 23 accorderai] acordrai Prm 27 tua] tuo Prm • nicistade] necessitade Prm nicissitade Rn niciessitade Lu1 28 e più] i più Prm • tenere] tenerne Prm tener Rn
29 ci arrechi] ci rechi (a) Fl42 Rn cerchi Prm
16. Cosa non fece: Dio, soggetto.
per farla tua: prop. finale il cui soggetto è l’uomo. Si intenda: ʻperché te ne appropriassiʼ. 18. paragone teso a spiegare i reali rapporti intercorrenti tra il Creatore e il creato; cfr. Gn 1, 28- 29.
che tien l’altrui: ʻche dispone di beni di cui egli però non è il proprietarioʼ.
per darne fitto: prop. con valenza causale. Per il fatto che l’uomo possiede dei beni “altrui”, egli ne deve pagare l’affitto, la loro temporanea concessione (vd. TLIO, fitto, 1).
19. e ben che: cong. concessiva.
la ragion … sua: anastrofe dell’aggettivo possessivo. Si intenda:ʻ la ragione di Dio, in quanto da questi creata e da questi concessa all’uomoʼ.
occupi: verbo da intendere nel suo pieno significato letterale di “impossessarsi”, “prendere possesso di qualcosa già esistente e non propria”, ma anche nell’accezione figurata di “impegnare”, “utilizzare”.
20. lassi: concedere, affidare.
21. prop. subordinata oggettiva. Si costruisca: quel che del suo diritto (tu, l’uomo, soggetto) render gli dèi. Si intenda dunque: lett. ʻquanto del suo dovuto invece tu, uomo, devi restituire a Dioʼ.
gli: pronome dativo di terza persona singolare; a Dio.
dèi: ind. presente di seconda persona singolare del verbo dovere.
del suo diritto: il dovuto; “rendere suo diritto a qualcuno”, nel suo significato fraseologico di “far avere il dovuto” (vd. TLIO, diritto, 9.3).
Cfr. Anonimo, Il Tesoro di Brunetto Latini volgarizzato da Bono Giamboni, L. 7, cap. 43, 3, 383; Z. Bencivenni, Esposizione del Paternostro, 89; Anonimo, Trattato di virtù morali, cap. 16, 52.
22. A tua ragione: ʻa tuo contoʼ.
scritto: mancato accordo del participio passato con il soggetto ogni cosa. Tale mancanza si giustifica, con ogni probabilità, con la prevalenza del carattere neutro espresso dal predicato verbale è scritto (cfr. “là dove di due ore ogni cosa era finito.”, F. Sacchetti, Il Trecentonovelle, 159, 386) e per ragioni di rima, dal momento che questo participio è chiamato a rispondere alla rima in -itto.
23-24. Costruzione ellittica ed anfibologica dei versi. Si costruisca: e se (tu, soggetto) non accorderai qui ragione di te (compl. oggetto), altrove accorderai (di te ragione) con tanti guai. Si intenda dunque: ʻe se non provvederai a corrispondere il tuo conto quando sei in vita, altrove dovrai corrisponderlo con molti lamentiʼ.
altrove: allusione all’inferno (rif. v. 24).
accorderai: da intendere nel suo significato strettamente economico e commerciale di “corrispondere a conti e a calcoli” (vd. TLIO, accordare, 1.2). Tuttavia nella protasi del periodo ipotetico il verbo accordare (sotto inteso) allude anche alla premessa fattuale di cui tale periodo ipotetico esprime l’eventuale conseguenza. Ovvero, se l’uomo non si accorderà e non si conformerà (vd. TLIO, accordare, 1) al fatto che ogni bene creato da Dio è a lui concesso in usufrutto, allora egli ne dovrà rendere conto o nel mondo oppure nell’aldilà, scontando all’inferno la pena di questa mancanza.
24. con tanti guai: con molti lamenti, compl. di mezzo (cfr. Dante, Inf. XII, vv. 22-23; F. da Barberino, Documenti d’Amore, pt. 4, 2, v. 33).
Si osservi il particolare legame allusivo che questo termine instaura con il disopra citato verbo “accordare”, rinviando all’area semantica musicale: i lamenti provocati dalle pene infernali, risulteranno adeguatamente e giustamente accordati sulla base dei peccati e degli errori commessi dall’uomo in vita.
25. che: cong. con valore consecutivo.
tornando: gerundio con funzione sintattica equivalente ad una protasi di un periodo ipotetico dell’impossibilità. Si intenda: ʻse dovessi ritornare in vitaʼ.
vorresti … esser mendico: apodosi del detto periodo ipotetico.
26-28. In questi versi Soldanieri interviene a spiegare i termini di questo ʻaccordoʼ concernente i beni prestatigli.
26. per carità: compl. di causa; ʻper l’amore e per la misericordia che Dio ha dimostrato nei confronti dell’uomoʼ.
Si noti inoltre che questo concetto di gratitudine costituisce il principio fondativo della pratica cristiana dell’elemosina, alla quale il temine in questione rinvia (“fare caritade”, cfr. es. G. Colombini, Lettere, 17, 67; Armannino giudice da Bologna, Fiorita, 551).
27. fuor di tua nicistade: retto da ciò c’ hai (subor. oggettiva, dipendente dalla principale sè tenuto a dar) del verso successivo. Si intenda: ʻquanto eccede e non corrisponde (fuor) alla necessitàʼ; il superfluo.
Per quanto concerne la forma nicistade, cfr. es. A. Pucci, Il Centiloquio, c. 7, t. 49, 80; c. 50, t. 38, 59; F. Balducci Pegolotti, La Pratica della mercatura, 192.
28. Dal punto di vista metrico si applichi la dialefe dopo hai. dei: vd. v. 21 e v. 28.
un fico: nulla, alcun che. Questo termine deve essere inteso nella sua accezione colloquiale e popolare volta ad indicare un’entità di scarso valore (vd. TLIO, fico, 2.6). Si intenda: ʻnon devi possedere alcun bene superfluo, sebbene esso sia di modesto valoreʼ.
29. Tu non dei … portarne: prop. principale con inversione del verbo portarne: possedere (rif. ogni cosa del v. 22; ciò c’ hai del v. 28). Vd. ivi, Così del mondo o stato alcun ti fida, vv. 24-25. più che ci arrechi: ʻpiù di quanto già qui possiediʼ.
30. l’anima vola: l’anima è destinata a ritornare dal suo Creatore. Cfr. (con rif. a “prima che morte li abbia dato il volo”, Purg. XIV, v. 2), “il volo; cioè prima che sia morto, e ben dice il volo: imperò che l’anima separata dal corpo vola u’ ella dè, come vola l’uccello”, F. da Buti,
Commento al Purgatorio, c. 14, 1-15, 325. Inoltre, cfr. “Adunque se questa cosa è così, che l’anima di ciascuno optimo dopo la morte vola leggiermente al cielo”, F. Ceffi, Volgarizzamento del De amicitia di Cicerone, cap. 5, 60.
e qui riman la carne: sineddoche per indicare il corpo e qui inteso quale simbolo di ogni bene di natura temporale; e dunque un bene transeunte.