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si sta, e non riparo qui, possendo

1 Perch’io di me non ho] Perche non ho Bu4 Perch’ io di me non e Fr12 Perch’ io dune nonn o Prm • chi a me si doglia] chi a me di me si doglia Bu4 chi a me si dolgha Rn 2 di me] de me Fn5 • a me] de a me Bu4 • dolere] diletto Fr12 dolore Prm 3 un altro me] un altro a me Prm Lu3 a un altro a me Fr8 vn latro a me Fn5 a un altro me Lu1 a un altro me Bu4 • vomi.] nomi Prm 4 alla ragion] la ragion Bu4 Vch1 Fl42 • contra la voglia,] contro alla uoglia Prm Rn Lu1

6 perché] perch’io Fn5 perch’o Fl42 • d’onesta] honesta Lu1 • vita] uinto Prm • questo tomi.] questa tomi Fl42 7 Oimè] oinme Fr12 Di me Prm • i’ soffero] io soffrero Bu4 8 il vizio me] (?) me Lu1 • sia difunta] fia difunta Fl42 (?) defunta Lu1 9 e morte] a morte Lu1 • veggio] uedo Bu4 10 più ch’ a mezzo] piu che al mezzo Bu4 piu che mezzo Vch1 Rn ma(?) ch’al mezzo Lu1 • ’l cammin] tamin Bu4 il camino Rn ’l chamino Fl42 • assalire;] salire

g

11 e non mi muove] e non mi muouo Rn ove Lu1 • il ben,] ’l ben Vch1 • mâ·ffar] ma fa Bu4 ma a fa Rn • più male] pur male Bu4 12 sempre] non leggibile Lu1 • ho compiute] ho compiuto Bu4 13 Poss’io] Pur Bu4 non leggibile Lu1 • a diletti] • il mio corpo] mio corpo (

g

) Lu3 Fn5 Fr8 • servire] serbare Rn 14 Ond’io] onde Bu4 • mi veggio] mi uedo Bu4 mi veggo Fn5 • ove] doue Fl42 Lu1 15 si sta,] si fra Fr12 • e non] (?) non Lu1 • riparo] ’l riparo Fn5

• possendo] potendo Bu4

1. Si costruisca: perch’io (sogg.) non ho chi (compl. oggetto) si doglia di me a me. Perch’: cong. causale.

di me: compl. d’argomento; riguardo a me, a proposito del mio comportamento. a me: compl. di termine.

si doglia: dispiacersi, provare dolore, compatire.

2-3. Si costruisca ed intenda: ʻmi voglio (vomi) dispiacere (dolere) di me a me, così come fosse presente (ellissi del verbo essere) un’altra persona identica a me (un altro me) oltre a me (fuor di me).

2. di me: compl. d’argomento. a me: compl. di termine. dolere: vd. v. 1.

fuor di me: oltre al significato letterale, volto ad indicare l’immaginaria presenza di una seconda persona, l’autore sembra voler alludere anche ad una sua improvvisa ʻpazziaʼ e ad una sua incapacità di ragionare correttamente, perdendo se stesso in un contesto ʻaltroʼ del tutto immaginario. A tal proposito si vedano i vv. 22-23 della stanza successiva.

In merito a quest’ultimo concetto espresso, sebbene in contesti differenti, cfr. “Certo, quand’io mi ricordo come io il vidi poco più che ’l terzo anno passato, e quanto era nel supremo de la rota, e come è caduto, quasi fuori di me stesso mi trovo.”, F. Sacchetti, Lettere, III (1386), 84; “I’ fu’ tanto ’nnbriato / et di raggi circundato / ch’i’ fu’ fuor di me andato / là u’ dir non saparia.”, Laude del codice Mortara, Ave tii dico Maria, vv. 95-97; “quando contrario accidente e subito mi percosse, e me, di me fuori errante, in me rivocò con dolore;”, Boccaccio, Commedia delle ninfe fiorentine (Ameto), cap. 35, 794.

vȏmi: vommi, mi voglio; forma contratta del verbo volere con enclisi del pronome di prima persona singolare.

4. Si intenda: ‘avendo la volontà contraria alla ragione’.

Per quanto concerne il perenne conflitto tra ragione e volontà, cfr. es. F. Petrarca, Lasso, ben so che dolorose prede, R.V.F. 101, v. 12; Sennuccio del Bene, Quand’uom si vede andar in ver la notte, v. 143; Guittone d’Arezzo, Onne vogliosa d’omo infermitade, v. 182.

Avendo: gerundio con valore causale.

la voglia: la volontà. Tuttavia il richiamo all’opposizione nei confronti della ragione (es. l’espressione “contro ragione”) sembra voler anche alludere a determinati desideri o istinti non conformi al vivere retto ed onesto (vd. v. 6).

5. Si intenda: ʻvorrei non volere tale conflittoʼ. Si noti la figura retorica dell’annominazione, sulla quale si struttura la sezione iniziale di questa prima stanza. Basti pensare alla ripetuta occorrenza del pronome personale me oppure al verbo dolere.

ciò: rif. a ragion contro la voglia. Difficile voler riferire tale pronome, per esempio, ad altro me del v. 3.

6. Subordinata di primo grado causale. Si osservi come la proposizione principale (v. 5) sia incastonata tra due proposizioni causali, aventi rispettivamente la funzione di spiegare dapprima la ʻcausaʼ e successivamente ʻl’effettoʼ di questa divergente e non ordinata volontà.

d’onesta via: compl. di privazione o di allontamento secondo il significato attribuito al verbo togliere (tomi); ʻdalla vita condotta probamente e virtuosamenteʼ; ʻdall’esistenza cristianamente retta e rispettabileʼ (cfr. il titolo dell’opera Della forma de onesta vita di Martino di Braga). Cfr. Anonimo, Il Tesoro di Brunetto Latini volgarizzato da Bono Giamboni (ed. Gaiter), L. 1, cap. 4, 1, 16; Anonimo, Trattato di virtù morali, cap. 40, 103.

questo: rif. a ciò del verso precedente (vd. v. 5).

tomi: forma contratta di “mi toglie” (vd. v. 3). Questo verbo può significare sia “privare”, “sottrarre” sia nel contempo anche “distogliere”, “allontanare”. Tuttavia, in entrambi i casi, il senso ultimo del verso si conserva inalterato.

7-8. i’ soffero… difunta: ʻio patisco (soffero; prop. principale) il fatto che (che) il vizio (soggetto della prop. oggettiva obliqua) mi (me, compl. oggetto) sottometta e che (sotto inteso) conseguentemente la virtù (soggetto di una seconda prop. oggettiva coordinata alla precedente per polisindeto) sia in me estinta (sia difunta)ʼ.

7. soffero: soffro (da sufferire; < lat. pop., sufferīre < lat. class., sufferre, < sub ferre), indicativo presente di prima persona singolare.

domi: ridurre sotto il proprio dominio, ridurre all’obbedienza, sottomettere, (vd. TLIO, domare, 2).

difunta: agg., morta, venuta meno.

9-10. Si costruisca ed intenda: ʼe osservo (veggio) ormai la morte esser arrivata (giunta) ben oltre alla metà del suo cammino per aggredirmi, nel tentativo di afferrarmi (per me assalire).

10. più che a mezzo ’l cammin: l’autore avverte, come un evento ormai incombente, l’approssimarsi della morte, a causa del suo persistente comportamento volto a seguire la sua perversa volontà. Relativamente a questa espressione, cfr. G.Villani, Cronica, (ed. Porta), L. 10, cap. 310, 2, 480.

Nel ricordo del passo dantesco (cfr. Inf., I, v. 1) non si può escludere aprioristicamente l’eventualità di un’allusione all’età anagrafica dell’autore. Di conseguenza un’età corrispondente alla piena maturità, ma ormai avviata verso la vecchiaia (più ch’a mezzo). per me assalire: in merito all’immagine della morte che assale la sua vittima, cfr. “Forse che Vener, del mio male / non si ricorda, né del mio martire, / né vede come morte ria m’assale.”, Boccaccio, Il Ninfale fiesolano, st. 179, vv. 4-6.

11. Si intenda: ʻe la ragione, la quale distingue il bene, non mi conduce dalla sua parteʼ. non mi muove: ʻil bene (soggetto) non mi induce ad operare rettamenteʼ.

11-12. Si costruisca ed intenda: ʻma al contrario ho costantemente il pieno desiderio (compiute l’ale), la completa volontà, ad agire ancor più in maniera errata (mâ·ffar più male).

12. compiute l’ale: espressione metaforica indicante letteralmente ʻle aliʼ del desiderio o del pensiero; cfr. F. Petrarca, Quanto più disiose l’ali spando, R.V.F. 139, v. 1.

In questo contesto appare evidente il riferimento del poeta alla volontà e alle voglie dell’anima sensitiva;

compiute: agg., rif. a l’ale; lett. concluse, dotate di tutte le sue parti (vd. TLIO, compiuto, 1; 4.2). 13. Domanda retorica, la quale sotto intende una risposta negativa. Si intenda: ʻPosso dunque persistere a porre il mio corpo al servizio dei piaceri?ʼ

servire: offrire, (il mio corpo, compl. oggetto). Si osservi l’ambiguità semantica di questo verbo, il cui significato primario è quello di “essere al servizio”, di “farsi servo”. Il poeta sembra dunque volutamente alludere alla sua condizione personale di ʻdipendenzaʼ dai desideri corporali, ponendo se stesso a servizio del corpo (dunque quale suo ʻcomplemento oggettoʼ). Tuttavia l’autore esprime sintatticamente il medesimo concetto, rivolgendo i termini della questione. Egli infatti pone coerentemente la sua persona con la sua “ragion” in una posizione di rilevanza, eleggendo se stesso a soggetto dell’enunciato (Poss’io) e nel contempo relegando il corpo in posizione subordinata, quale complemento oggetto dell’enunciato.

14. Ond’: cong. con valore consecutivo; sicché, per la qual cosa.

mi veggio andar: prevedo, ʻritengo consequenziale il fatto che io sia destinato ad andareʼ. 14-15. ove dolendo / si sta: dove si soffre.

14. dolendo: gerundio la cui funzione appare del tutto equivalente (sul modello del francese “en allant”) ad un ipotetico “in dolendo” (oppure “con dolendo”) ed avente il significato di “nel soffrire”, “nella sofferenza” (oppure “con il soffrire” (vd. G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti. Sintassi e formazione delle parole, pp. 109-110). Chiara allusione alle pene infernali.

15. e non riparo qui, possendo: ʻe sebbene io ne abbia la possibilità, qui, dove ora mi trovo, non pongo rimedio a questa situazioneʼ.

riparo: ennesimo verbo contraddistinto da una notevole ambiguità semantica. Esso infatti potrebbe essere inteso nel suo significato di “porre rimedio”, “fare ciò che è utile”. Cfr. “con che arte sia da riparare il danno della generazione nostra”, A. Simintendi, Metamorfosi d’Ovidio volgarizzate (libri I-V), L. 1, 1, 23; “ma se per lui mia vita non riparo, / girò ne l’altro mondo, da te scòrto.”, Cecco Nuccoli, Ramo fiorito, el dì ch’io non ti veggio, vv. 13-14.

Sulla base di quanto dichiarato nel verso precedente e dunque in correlazione con il verbo “andare”, “riparare” può essere interpretato quale provenzalismo (< repairar) nel suo significato generico di “ritornare”, “tornare indietro”; cfr. il noto “Al cor gentil ripara sempre Amore” di G. Guinizzelli.

Quel che·mmi nuoce voglio, e non vorrei

averlo poi voluto

se quel ch’ ho avuto merita rampogna.