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non l’oro ch’ è di fortuna e non tuo

76 menomi] menimi Fl42

s

• né cresca] ne tresta Rn ne prescha Tr3 78 che·tti dia] che ti dea

a

1 che ci da (

s

) Tr3 che ci dia (

s

) Lu1 • o toglia] et toglia Tr3 79 sospir] sospiro

a

1

s

• né riso] o riso

a

1 no riso Rn • di tua] di tuo Rn Prm 80 per mostrar] mostrando

s

81 iscender] sciender (

a

) Rn Fl42 Lu1 e scender Tr3 discender Prm • soglia] soglio Tr3 82 che rivoglia]

che vi voglia (

a

) Vch1 Rn 84 son matti] fien matti (

s

) Tr3 sian matti (

s

) Lu1 85 cose vane]

cose naltre Tr3 86 e d’aver non] et da me cion (

s

) Tr3 et da me non (

s

) Lu1 89 fa ’l ben] fa il

bene (

a

) Rn Vch1 fa ben (

s

) Tr3 fa bene (

s

) Lu1 • propio suo] propro e suo Rn 90 non l’oro]

Che loro Tr3 Nell’oro che Lu1 • e non tuo] e non e tuo Fl42 Tr3 e nome tuo Prm

76-77. Si costruisca: L’animo tuo (soggetto) non menomi in perder né cresca per acquisto di cosa che il mondo ti dea o toglia.

76. menomi: congiuntivo presente di terza persona singolare. Da menomare, lett. diminuire, mancare; qui, riferito ad animo, nel suo significato di “svilire”, “avvilire”.

In merito a tale significato, cfr. Anonimo, Valerio Massimo volgarizzato (red. V1), L. 6, cap. 5, 443; Boccaccio, Filocolo, L. 4, cap. 128, 514.

cresca: lett. aumentare (vd. TLIO, créscere, 3), Si intenda duque: ʻinsuperbiscaʼ, ʻmontiʼ. 77. in perder: sintatticamente in dipendenza del verbo “menomare”.

Infinito con valore sostantivale, marcando la contemporaneità dell’azione rispetto al verbo dal quale esso dipende: ʻnella perditaʻ.

per acquisto: compl. di causa, retto da cresca. Si osservi l’inversione dei costituenti della frase espressa in questo distico iniziale, volta a creare una costruzione ʻparallelaʼ del medesimo: menomi-in perder e cresca-per acquisto.

78. dia: Si noti in Vch1 ed in Fl42 il congiuntivo presente di terza persona singolare con e tonica in iato.

In questo frangente si osservi inoltre la costruzione a chiasmo di dia e toglia rispetto a perder e ad acquisto.

il mondo: metafora per indicare la fortuna.

79-80. Si ripete la medesima struttura sintattica registrata nei due versi precedenti, in virtù della quale all’iniziale parallelismo distintivo del v. 79, segue il costrutto a chiasmo del v. 80.

79. Questo verso si aggancia semanticamente al v. 77. I termini sospir e riso infatti rinviano rispettivamente a perder e acquisto, imponendosi quali loro effetti ʻfisiologiciʼ. Per quanto concerne questo binomio (sebbene in un contesto differente ed in numero plurale), cfr. F. Petrarca, I Trionfi, T. Cupidinis II, v. 163.

80. In questo verso l’autore denuncia invece, chiasmaticamente, i sintomi di tali effetti: il mostrarsi felice per la sorte propizia e l’essere sconsolato per quella contraria.

per mostrar: prop. finale; al fine di mostrare. lieto o tristo: aggettivi sostantivati.

81. verso ʻparalleloʼ al precedente, nel quale alla causa del sentimento di gioia (montando su) segue l’indicazione della causa della tristezza (per iscender). Si osservi inoltre il rapporto chiasmatico di questo verso con quello iniziale della strofe.

montando: gerundio con valenza causale. per iscender: prop. causale.

iscender: forma tipicamente toscana con i prostetica davanti a s impura.

soglia: gradino. Consueta metafora tesa a rappresentare l’assoluta aleatorietà della fortuna e la precarietà dei beni da essa gestiti e concessi.

83. Metricamente, si applichi la dialefe dopo qui; con conseguente sinalefe nei successivi incontri vocalici tra le parole (cosa ˆ in presto ˆ accatti).

in presto accatti: prendere in prestito. (vd. TLIO, accattare, 5.1).

Cfr. “Seneca ad Martiam. Non avemo a mirare noi, quasi come posti tra le nostre cose; in presto l’avemo; l’usufrutto è nostro, lo tempo del quale quegli determina che è giudice del suo dare: a noi conviene in pronto avere quelle cose che a non certo termine ci sono date, e quando ne semo richiesti sanza lamento conviene rendere.”, Bartolomeo da San Concordio, Ammaestramenti degli antichi latini e toscani, dist. 38, cap. 1, par. 5, 533; “che ’l bene di questo seculo est corto et tosto viene; che se Elli non donasse beni tenporali et non altri beni spirituali dunque non ci darebbe alcuno bene che fusse nostro, però che questi beni avemo in presto et non li potemo tenere. Ma Elli no vuole dare beni che siano nostri, li quali non si possano mai perdere, dunqua l’omo che nasce in questo mondo sì est come lo lavoratore che est messo a lavorare a la vingna, che ’l singnore che vi l’à messo non lo pagha in della vingna, mai lo pagha la sera quando ave fornita l’opra sua.”, Lucidario pisano, L. 2, quaest. 20, 79.

84. i più: la maggioranza degli uomini.

in ciò: ovvero, in merito al reale possesso dei beni terreni.

matti: folli, privi di senno e, dunque, incapaci di comprendere (vd. TLIO, matto, 1). 85. chiamando: gerundio con valore causale.

queste cose vane: le ricchezze materiali e gli onori terreni. 86. saldo: riferimento alla virtù della fermezza.

d’avere: ʻdi acquistare e di possedere le ricchezzeʼ.

87-90. Cfr. “Ben di fortuna non fa ricco altrui, / ché par che chi più aver del suo si prova / più nudo di virtù ognor si trova. / Tengasi gli occhi alle cose celeste / e’ piedi alle ricchezze fuggitive. / Beato chi qua giù del ciel si veste, / e guai a·cchi per far pecunia vive. / Virtù non oro fa ricco; e·cciò si scrive / perch’egli è fermo ben: ma di colui / tesor può dir doman: «Non son ma fui»”, Niccolò Soldanieri, vv. 1-10.

Sul medesimo tema si confrontino anche le canzoni soldanieriane Così del mondo o stato alcun ti fida, Non è altrui ogni huom che ama amico, O tu ch’hai forma d’uom, dimmi: che pensi?, Sempre che ’l mondo fu, Fortuna il corse ed Il ciel, che le virtù di nöi aspetta.

87-88. Si intenda: ʻe non misurare la ricchezza o la povertà di una persona giudicando la quantità di denaro e di ricchezze da essa possedutaʼ.

88. per oro: compl. di causa.

89-90. Cfr. “Ben di fortuna non fa ricco altrui, / (…) / Virtù non or<o> fa ricco; e·cciò si scrive”, Niccolò Soldanieri, Ben di fortuna non fa ricco altrui, v. 1 e v. 8.

89. Si costruisca: ché (cong. causale), ’l ben (sogg.), ch’ è propio suo (prop. relativa soggettiva) fa ricco (compl. oggetto) altrui (compl. di specificazione).

ricco: sost., la ricchezza. “Però che non fa altrui ricco el molto possedere, ma poco disiderare.”, Matteo Corsini, Rosaio della vita, cap. 73,87.

il ben ch’è propio suo: la caritas cristiana, intesa anche nella sua dimensione pratica dell’elemosina.

Cfr. “Così adunque l’invidioso è di cuore misero, e povero; perciocchè non vorrebbe, che Dio desse, né che l’uomo ricevesse bene. È ancora questo medesimo peccato di gran danno; perocché come la carità, la quale è suo contrario, fa l’uomo ricco, e partecipe del bene altrui, così la ’nvidia priva l’uomo de’ beni proprj, e de gli altrui. Onde dice s. Agostino: Considerino gli invidiosi, quanto è gran bene la carità, che senza nostra fatica gli altrui beni fa nostri proprj.”, D. Cavalca, Disciplina degli Spirituali, cap. 9, 74.

Canzone, a chi non sa vivere andrai,