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santo Agustin così non scio’ né ’nnoda

31avaro] e vano Fl42 32 ch’ogniun] ch’ogn’ huom

a

ogniun Prm 33 e·ll’occupato]

e∙ll’achupato Fl42 34 crudele] crudel Prm • il tristo] tristo Prm • che c’invecchia] che e inuechia Vch1 35 contrar] contar Rn contra Lu1 cantar Prm 36 pecunia] pecunra Rn • far drudo] fa drudo Vch1 37 in ragunare] in eragvnare Rn il ragunar Prm il ragunare Fl42 Lu1 38 a patir] a patie Prm • di lasciare] di lasciar Prm • il raunato] il raunato Fl42 39 per tempo] per lo tenpo Fl42 per lo tenpe Rn 40 ’l meschin] il meschino Lu1 • credendosi] credendesi Rn

41 fa] fei Rn 42 si puone] si puo nel (

a

) Vch1 Rn se puoi nol Fl42 se puo nel Prm 43 portar] portare Rn • nol puoi] nel puoi Rn 44 Chi] che Vch1 • fa] sta Vch1 45 Santo] santa Lu1 • Agustin] Agostino (

a

) Vch1 Rn aghustino Fl42 gustino Lu1 • così non] chostui Fl42 ne Lu1 • scio’] scioe Vch1 sciogle Prm asolue Lu1

31. O tu misero avaro: attributo non raramente riferito all’uomo corrotto dal vizio dell’avarizia. Cfr. “l’avaro sempr’è misero, cu(m) ciò sia cosa ke le sue cose semp(re) li paiono piccole (e) no(n) ampie; et sì come quello medesimo disse: «Se ad alcun uomo le sue cose no(n) paiono ampissime, avegna k’elli sia sengnore di tutto lo mo(n)do, sì è misero».”, Anonimo, Il Trattato della Dilezione di Albertano da Brescia volgarizzato, L. II, cap. 12, 16; “Seneca ne’ proverbj. L’avaro egli medesimo è cagione della miseria sua.”Bartolomeo di san Concordio, Ammaestramenti degli antichi latini e toscani, dist. 26, cap. 1, par. 9, 415. Per quanto concerne il carattere di apostrofe vocativa, cfr. Santa Caterina da Siena, Libro della divina dottrina, cap. 127, 267.

ti specchia: imperativo presente con il pronome personale in posizione proclitica. 32. che: cong. con valore dichiarativo (< lat. enim).

33. ll’occupato: ciò che è stato accumulato, posseduto illegittimamente (vd. v. 19). lassa e vanne: il sogg. è sempre ogniun del v. 32.

ignudo: povero, privato di tutto quanto posseduto.

34. crudele: agg., insensibile, privo di pietà (vd. TLIO, crudele, 3; 1). Cfr. “quanto si pone per l’avarizia ancora è vero: imperò che lo avaro è crudele più che alcuna fiera.”, F. da Buti, Commento all’Infeno, c. 7, 7-15, 202. In unione con avaro, inteso quale aggettivo, cfr. anche F.

degli Uberti, Il Dittamondo, L. 1, cap. 12, v. 59; L. 1, cap. 16, v. 37; Anonimo, Storie de Troia e de Roma (cod. Laurenziano), 291.

il tristo: lo sventurato. In riferimento all’avaro, cfr. D. Cavalca, Esposizione del Simbolo degli Apostoli, L. 1, cap. 21, 167.

35-36. Si costruisca ed intenda: ʻcon il cuore (il core, accusativo di relazione) avverso (contrar) a tutto quanto (d’ogni) è differente (altro) dal denaro (che di pecunia)ʼ.

35. contrar: che prova avversione, “che si oppone a qsa” (vd. TLIO, contrario, 1). 36. che: cong. introduttiva del secondo termine di paragone.

e sòl sé a lei far drudo: prop. infinitiva oggettiva. Si intenda: lett. ʻed è uso a farsi suo (a lei, rif. pecunia) amanteʼ.

È tuttavia possibile ipotizzare una costruzione differente di questa proposizione, sebbene non propriamente attestata. Tale costruzione prende le mosse dalla lezione chigiana, la quale tradisce il pronome riflessivo si. In questo caso tale pronome dipenderà sintatticamente da sol, restituendo un verso così composto: “solsi a lei far drudo”.

37. dolce: sostantivo, la docezza. Si intenda: ʻse esiste (è) dolcezzaʼ.

in ragunare: lectio difficilior (vd. Vch1, Rn), di contro al più economico il ragunare (Pm, Fl42, Lu1).

Cfr. “tutta la sollicitudine dell’avaro è in ragunare e in tenere il ragunato e in guardarlo più che non si conviene;”, Boccaccio, Esposizioni sopra la Commedia di Dante, c. VII (ii), par. 94, 430. Si consideri anche: F. Sacchetti, Lasso, ch’ogni vertù veggio fugita, v. 7.

egli: pron. di terza persona singolare singolare nella sua valenza neutra.

crudo: sostantivo; difficoltà, ostilità. Si osservi la costruzione simmetrica del verso. Essa sottolinea l’antitesi dei due sostantivi; facce opposte di una medesima medaglia, il ragunato, il quale è a sua volta posto esattamente al centro del verso in sede di cesura.

38. a patir: nel sopportare (< lat. patior).

39. Si intenda: lett. ʻa causa del tempo trascorsoʼ; ovvero, al termine della vita, momento in cui inevitabilmente l’avaro deve separarsi dai beni accumulati.

Per quanto concerne questa espressione, cfr. A. Simintendi, Metamorfosi d’Ovidio volgarizzate (libri I-V), L. 2, 1, 82; Deca terza di Tito Livio, L. 10, cap. 15, 470.

40. che: caso di pronome relativo polivalente. Si intenda: ʻdi cuiʼ, rif. a tempo. ’l meschino: il tristo (v. 34); ovvero, l’avaro.

va credendosi godere: ʻdi cui (rif. il ragunato, oggetto di godere) l’avaro si illude di poter godereʼ.

41: cui: pron. relativo in caso accusativo; rif. a ’l meschin.

fa cortese: rende generoso, pietoso (vd. TLIO, cortese, 2.1; 2.1.1). In opposizione a crudele del v. 34.

dire a·llui: ʻe lo (’l meschino) induce a direʼ.

42. puone: indicativo presente di terza persona singolare, “può”, con epitesi di -ne.

43. dà’, dà’: imperativi presenti di seconda persona singolare. L’avaro, reso pietoso dalla morte, si rivolge direttamente ad un indefinito quanto fittizio avaro ancora in vita, invitandolo accoratamente ad essere generoso.

Cfr. es. Niccolò Soldanieri, Da’ da’ a chi avareggia pur per sé, v. 1; Niccolò Soldanieri, I’ vo’ bene a chi vuol bene a·mme, v. 12.

portar nol puoi né possedere: neppure dopo la morte il ragunato può essere portato e posseduto dall’avaro.

44-45. Imprecisato motto di natura proverbiale, il cui senso profondo poggia, con ogni probabilità, sul ravvedimento finale dell’avaro descritto dall’autore nei versi precedenti. Sebbene l’avaro si penta della sua condotta viziosa, egli dovrà scontarne inevitabilmente la pena; l’ammissione di colpevolezza non può cancellare dunque il peccato compiuto. Di conseguenza l’atteggiamento dell’avaro pentito non può essere giudicato né positivamente né negativamente. Alla luce di questa interpretazione del dettato lirico, si provi così ad intendere il distico finale: ʻcolui che al termine della propria vita (’nfine) si comporta come questo avaro (fa, sotto inteso così), ovvero si pente del peccato commesso, non merita né alcuna disapprovazione né alcuna lode; sant’Agostino non lo assolve e non lo condannaʼ.

44. Si osservi lo stile oratorio del verso, contraddistinto da una marcata quanto severa risolutezza dell’intonazione dell’enunciato.

Cfr. “se·mmi fa lima lima, i’ ’n lei da’ da’:”, Niccolò Soldanieri, I’ vo’ bene a chi vuol bene a·mme, v. 7.

45. non scio’ né ’nnoda: lett. ʻnon scioglie né legaʼ; ovvero, ʻnon assolve e non condannaʼ. Riferimento al sacramento della confessione. Si consideri infatti: “Quorum remiseritis peccata, remissa sunt eis; quorum retinueritis, retenta sunt.”, Gv 20, 23; “et quodcumque ligaveris super terram, erit ligatum in caelis, et quodcumque solveris super terram, erit solutum in caelis.”, Mt 16, 19.

Inoltre si consideri: “ma conviene che sia propio prete ch’abbia podestà e giurisdizione sopra a colui ch’egli ha a sciogliere e legare, e possagli comandare quelle cose che s’appartengono alla salute sua.”, J. Passavanti, Lo Specchio dea vera penitenza, dist. 5, cap. 4, 113; “E i Greci ancora chiamano li lor preti «papas», quasi «ammirabili»: (…) e, oltre a ciò, hanno autorità di sciogliere e di legare i peccatori che da loro si confessano dele loro colpe”, Boccaccio, Esposizioni sopra la Comedia di Dante, c. VII (i), par. 4, 381; “ma il lavare spirituale e ’l mondare, questo è officio di grande dignitade: non è se non de’ sacerdoti e del sommo pontefice, e principalmente degli angeli. Onde il più sommo angelo ha più questo officio degli altri, e monda gli spiriti di sotto; ma sommamente questo officio è di Dio. E principalmente a Sam Piero fu commesso officio sommo di legare e sciogliere spiritualmente. (…) In due cose stette la dignitade che Cristo gli diede: in legare e sciogliere. (…) Diceresti tu: ʻCome ha officio di legarmi persona?ʼ Non principalmente, ma tu ti leghi, tu, per la colpa. Quattro sono i modi del legare e onde se’ legato: il primo legamento si è di colpa, e questo è il maggiore; il secondo si è per legge – lex dicitur a legando -; il terzo legamento si è la sententia – quando il giudice dà la sentenzia- quando il giudice dà la sentenzia, sì tti lega-; il quarto si è legamento di pena, quando t’è data la pena.”, Giordano da Pisa, Quaresimale fiorentino, n. 13, 62.

Per quanto concerne la forma apocopata scio’, cfr. Boccaccio, Il Ninfale Fiesolano, st. 148, v. 7.

Ma dèi, acciò che,·ssendo qui, tu viva,