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UN CASE STUDY: IL “MIRACOLO CINESE” SULLA P

ALCUNI DATI SULLA PROPRIETA' INTELLETTUALE

4.4 UN CASE STUDY: IL “MIRACOLO CINESE” SULLA P

Il fenomeno cinese è sicuramente uno dei migliori case studies disponibili per valutare la relazione tra PI e crescita economica. I dati, come si è appena visto, riportano un assoluto primato della Cina nella registrazione di qualsiasi DPI. Questo è indice della volontà di innovatori e creatori, cinesi e stranieri, di proteggere e promuovere il proprio lavoro in una delle principali economie del mondo in rapida crescita. La Cina, in questi ultimi trentanni, si è infatti resa protagonista di una sensazionale crescita economica: una crescita con una media del 10,43% negli anni '90 e (nonostante i tentativi del governo di rallentarla, poiché ritenuta insostenibile) giunta ad un tasso

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Un sottoinsieme speciale comprende le c.d. foreign-oriented patent families: quelle famiglie di brevetti che hanno almeno un ufficio di deposito che differisce dall'ufficio del paese di origine del richiedente. I dati riportati dal WIPO Statistics Database and EPO PATSTAT database, September

2018, per il periodo 2013-2014, pongono sul podio gli USA quanto a numero di foreign-oriented patent families, il Giappone al secondo posto, Repubblica di Corea, Germania e Cina

record del 13,1 % nel 2007, tanto da far discutere circa la permanenza della collocazione della nazione tra i PVS. La Cina è diventata il primo paese esportatore e la seconda economia più forte a livello mondiale.

Ha dichiarato il direttore generale dell'OMPI, Francis Gurry, in occasione del lancio a Ginevra del Rapporto World Intellectual Property Indicators 2018:

La domanda di protezione della proprietà intellettuale aumenta più rapidamente del tasso di crescita economica globale, dimostrando che l'innovazione sostenuta dalla proprietà intellettuale è una componente sempre più critica della concorrenza e dell'attività commerciale […]. In pochi decenni, la Cina ha costruito un sistema di PI, ha incoraggiato l'innovazione locale, è entrata a far parte dei leader mondiali nel settore della PI – ed è ora alla guida della crescita mondiale dei depositi di PI.

La Cina ha fatto ingresso nella OMC l'11 dicembre del 200183, “portata per mano da

uno zio d'America chiamato Bill Clinton” (Aquadro, 2016), presentandosi ancora come “paese in via di sviluppo” e accettando lo status di non-market economy, ossia una economia in cui è lo Stato a stabilire la allocazione di beni e risorse e la determinazione dei prezzi (il che non stupisce in una repubblica ancora formalmente comunista).

Occorre però tener presente le condizioni di estrema arretratezza da cui partiva la Cina. Ecco perché, nonostante gli elevati tassi di crescita degli ultimi 20 anni, Romeo Orlandi può osservare, in “L'adesione della Cina al WTO” (2016), che: “Quando le autorità cinesi affermano che il loro paese è ancora in via di sviluppo, non lo fanno solamente per strappare migliori condizioni al Wto84. Affermano una verità oggettiva

ed esprimono il pericolo di un crollo della loro economia. La Cina è infatti ancora

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Prima di allora, sono stati conclusi degli accordi con 37 membri della OMC (i soli interessati a concludere con la Cina negoziati diretti). L'accordo più importante concluso è stato quello con gli Stati Uniti (nel novembre 1999), mentre nel maggio del 2000 si concludeva un negoziato con l'Unione Europea. Ad un passo dal formale ingresso della Cina nella OMC vi erano ancora adempimenti procedurali affinché i corpi legislativi ratificassero quanto era stato negoziato, adempimenti che hanno ritardato l'ingresso della Cina nell'organizzazione. Si legge in Orlandi (2016): “[l]a Cina entrerà dunque a far parte del WTO dopo più di 2 anni dall'accordo con gli Usa e dopo 15 anni dall'avvio dei negoziati con il Gatt”.

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Ad esempio: “maggiori margini nella concessione dei sostegni alla sua produzione agricola (fino al 10% del suo valore)”. Gli Stati Uniti hanno richiesto al WTO un limite del 5% (destinato ai paesi industrializzati). La trattativa si è conclusa tra il 7 e l'8,5 % del valore della produzione, in dipendenza dei prodotti e delle aree coltivate (Orlandi, 2016).

arretrata e protetta. Due decenni di ininterrotto sviluppo economico hanno solo parzialmente modificato un panorama produttivo ancora scarsamente industrializzato, un’agricoltura poco meccanizzata, un’economia non monetizzata, un settore dei servizi con molti margini di miglioramento”.

Dunque con l'adesione alla OMC la Cina ha visto prevalere, nello scontro tra ideologie contrapposte, la visione ottimistica di chi85 comprese che la reale progressione del

paese dovesse avvenire solo attraverso una sua apertura, pur nella consapevolezza di porre il mercato in balia della concorrenza. L'adesione alla OMC in questo modo si collocava in un più ampio disegno di ristrutturazione dell'apparato sociale della Repubblica Popolare Cinese.

D’altro canto, se la OMC può contare tra i suoi membri la Cina, l’organizzazione stessa risulta più forte ed importante. Dopo tale ingresso, infatti, essa “ha maggiore capacità negoziale e politica, marginalizza il ruolo degli esclusi e spinge verso una loro futura adesione, soprattutto se si tratta di paesi significativi come la Russia e l'Arabia Saudita” (Orlandi, 2016). Inoltre Orlandi vede l'ingresso della Cina nella OMC come “un processo ‘naturale’, inevitabile e redditizio”, laddove “[i] 142 paesi membri del WTO detengono più del 90% del commercio mondiale […] [e] [i]l 90% dei flussi commerciali della Cina è con i paesi WTO”.

L’iniziale clima di generale entusiasmo e speranza, in cui la OMC si fortifica, la Cina si integra e tutti i sistemi produttivi nazionali traggono benefici, è stato attenuato dal mancato avverarsi di molte di quelle felici previsioni. Afferma Orlandi (2016) che: “E’ probabile che ci sia [stata] una sopravalutazione delle capacità, e forse delle volontà, del paese ad aprirsi a merci, investimenti e mentalità internazionali86”. Dunque si

chiedeva alla Cina di eliminare progressivamente le proprie barriere al commercio ed agli investimenti internazionali. L'obiettivo era far crescere il settore privato, soffocato in Cina dalla onnipresenza statale87, ponendo una maggiore attenzione a parametri di

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Era questa la linea del primo ministro Zhu Rong Ji, scrive Orlandi (2016). 86

Si è accennato al fatto che nello Status Report on IPR Infrigment (2019), dell' EUIPO, la Cina è ancora indicata come la principale responsabile della contraffazione mondiale.

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efficienza ed al ruolo dei partner stranieri88 (utile proprio, sostiene Orlandi, “per la

loro maggiore esperienza in settori cruciali come quelli dell'agricoltura, delle telecomunicazioni o dei servizi assicurativi e finanziari”), oltre a creare spazi maggiori per le merci straniere grazie alla diminuzione dei dazi. Far parte della OMC significava anche abbracciare gli standards uniformi fissati per i suoi membri, dei quali la Cina è carente, sebbene i suoi governanti si stiano dimostrando inclini ad una “piena affermazione del concetto di rule of law” (Orlandi, 2016).

Dal 2014 al 2015 il tasso di crescita cinese è diminuito del 7.5 % al 6.9 %. Vi è stato un calo delle importazioni e delle esportazioni, per svariate ragioni tra cui probabilmente anche la stretta concorrenziale che ha interessato il paese. Il prodotto cinese è “battuto” dai suoi rivali di altri paesi principalmente a causa della sua scarsa qualità. A tal proposito la Cina sta seriamente perseguendo una politica di miglioramento della qualità e di contrasto delle violazioni in tema di proprietà intellettuale, attraverso specifiche modifiche di legge che porteranno ad aumentare la protezione dei diritti di marchio e segreti industriali (China Briefing, 2019).

Soprattutto, la Cina ha compreso l'importanza di una ristrutturazione del tessuto industriale, per aumentare la sua competitività anche in nuovi mercati, obiettivo che è stato posto al centro del progetto Made in China 2025. Avviato nel 2015, il progetto si concentra sull’intero processo produttivo e non esclusivamente sull’innovazione (a differenza di un precedente piano varato nel 2006 per supportare le c.d. Industrie Emergenti Strategiche). Il piano è stato redatto dal Ministero dell’Industria e dell’Information Technology, con l’ausilio di 150 esperti. L'obiettivo sarà quello di trasformare la Cina in una vera potenza manifatturiera.

Nell’implementazione di questo progetto, le politiche riguardanti la proprietà intellettuale giocano un ruolo cruciale, ma, come sempre, costituiscono solo una delle strategie di intervento. Le tecnologie ed i settori di cui si vuole promuovere lo sviluppo, quali il commercio elettronico internazionale, le tecnologie di ingegneria marittima e le industrie per la protezione ambientale, necessitano di ingenti investimenti nel settore PI per le licenze e l’enforcement dei diritti. In questo senso il

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Nella Cina degli anni '80, quando si sperimentavano strategie di riforme economiche a livello locale per valutarne l'efficacia, emerse un atteggiamento di profonda sfiducia nei confronti di investitori stranieri e da parte di questi ultimi nei confronti della Cina. Da allora nuove leggi e regolamenti hanno cercato di modificare l'apparato legislativo preesistente nel tentativo di aumentare la fiducia reciproca degli investitori.

SIPO, l’Ufficio statale della proprietà intellettuale in Cina, ha iniziato a collaborare con le autorità PI di altre giurisdizioni (l’UEB europeo, l’Ufficio brevetti giapponese, l’Ufficio coreano della Proprietà Intellettuale e l’Ufficio brevetti e marchi degli Stati Uniti). In questo momento, con i mercati in costante crescita e gli obiettivi a medio- lungo termine prefissati, la Cina sta “cogliendo l’occasione per creare e affermare il suo primato nel policy-making della proprietà intellettuale” (Berto, 2018), divenendo una potenza a livello mondiale anche in questo ambito. I passi fatti, oltre alla collaborazione con le istituzioni di altre giurisdizioni, sono molti. Basti pensare che il 24 febbraio 2018 è entrato in funzione un altro tribunale specializzato in PI a Xi’an, nella Cina Nord Orientale.

CONCLUSIONI