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NUOVE PROPOSTE PER L'INDUSTRIA FARMACEUTICA

ABOLIRE LA PROPRIETA' INTELLETTUALE?

3.11 “CHI TROVA UN BREVETTO TROVA UN TESORO”

3.14 NUOVE PROPOSTE PER L'INDUSTRIA FARMACEUTICA

Le proposte formulate da Boldrin e Levine per il campo farmaceutico sono insolitamente moderate soprattutto se confrontate con quelle che riservano per altre industrie. Infatti la loro proposta per l'industria farmaceutica non riguarda una mera riduzione o una radicale eliminazione del sistema di brevetti, bensì l'intera regolamentazione federale del settore, cioè il ruolo della FDA e del NIH e le relazioni tra università e industria farmaceutica. Il problema che come si è visto affligge il settore è l'elevato costo dei test clinici, che portano ad uno smisurato incremento dei prezzi dei farmaci. La proposta dei due economisti consiste nel far finanziare gli stadi II e III degli esami clinici (“quelli davvero costosi”) “dal NIH o da altra agenzia federale ad hoc su base concorrenziale”:

A questo punto i brevetti sui farmaci non avrebbero ragione di esistere, perchè l'80% circa di quanto costa attualmente portare sul mercato un nuovo farmaco non dovrebbe più essere sopportato dall'impresa che lo produce (p. 210).

Dopo aver sgravato le imprese farmaceutiche dei costi dei test, si potrebbe iniziare a “ridurre proporzionalmente i termini dei brevetti” (p. 222), abbassando cioè la durata del brevetto a 4 anni senza estensione74, a partire dalla data in cui gli esami clinici

sono completati. Inoltre si dovrebbe ridurre il numero di farmaci che non possono essere venduti senza ricetta medica, in quanto per molti di essi la ricetta “non è tanto una protezione dei consumatori scarsamente informati quanto un modo di far rispettare il controllo monopolistico delle aziende farmaceutiche sulle prescrizioni effettuate dai medici” (p. 222). Gli autori propongono anche di permettere la scoperta simultanea o indipendente di nuovi farmaci; infine, in riferimento alla questione che affligge i paesi poveri, suggeriscono di “sospendere temporaneamente il libero commercio delle medicine” dai paesi poveri al resto del mondo che, unitamente alla parallela sospensione dei brevetti medici nei paesi poveri, potrebbe alla fine “aumentare il benessere sociale in quelle aree ” (p. 223).

L’ultima proposta discende dal timore delle importazioni parallele di medicine dai paesi poveri ai paesi ricchi. Trattando del monopolio, si è accenato alla discriminazione dei prezzi, pratica che se può risultare benefica sotto alcuni punti di vista, non è priva di svantaggi per altri. Infatti si crea una possibile situazione di concorrenza con il monopolista stesso: basta comprare nei mercati in cui il prezzo è basso e rivendere a un prezzo medio laddove il monopolista cerchi di vendere ad un prezzo alto. Questo già accade negli USA, dove i cittadini pagano per i medicinali prezzi molto superiori rispetto a quelli sopportati dai cittadini del Canada o europei, e ciò proprio a causa della discriminazione dei prezzi. Così si è venuto a formare un “mercato non ufficiale per l'importazione di medicinali dal Canada negli Stati Uniti: un mercato talmente vasto che si è provato sia a legalizzare il diritto di importazione di medicine canadesi negli Stati Uniti sia, ovviamente, a rendere interamente illegale

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Landes e Posner (2003) hanno evidenziato come allo scadere del brevetto di un farmaco, il prezzo di quest’ultimo non sempre tende a diminuire. Ciò perchè medici e pazienti ripongono elevata fiducia in farmaci a loro noti anche dopo la possibile immissione in commercio di farmaci equivalenti. Dunque alla reputazione e la riconoscibilità acquisita dal marchio del farmaco consegue che i profitti

dell’industria produttrice del farmaco branded tendano a rimanere piuttosto elevati anche dopo il venir meno di qualsiasi protezione legale dalla propria concorrenza (vedi Portonera, 2019).

tale attività” (Boldrin e Levine, 2012, p. 82). Allo stesso modo, il timore che le medicine per l'AIDS, vendute a prezzi più bassi nei paesi poveri africani, possano dar vita ad un mercato parallelo in Occidente fa si che le compagnie farmaceutiche non vendano i medicinali in Africa. Boldrin e Levine tuttavia sono convinti che “[p]oiché il costo di produzione di una quantità addizionale di medicine per l'AIDS è molto basso, le compagnie farmaceutiche ricaverebbero un profitto anche vendendo a un prezzo estremamente scontato nel mercato africano”. Dunque il “vero problema” per le compagnie farmaceutiche, secondo loro, risiede nella “perdita dei profitti da monopolio nei mercati al di fuori di quello africano” (p. 83).

In risposta alla soluzione summenzionata di traslare i costi per gli esami clinici in capo a NIH o ad altra agenzia federale, Portonera (2019) scrive:

è lecito porsi almeno due ordini di problemi, uno di natura più “teorica” e uno di natura più “pratica”. In merito al primo, c’è da dubitare che le modalità di assegnazione dei fondi gestiti da enti statali o para-statali possano promuovere l’innovazione in modo altrettanto efficace rispetto a quanto avviene nel settore privato. In merito al secondo, è difficile ipotizzare che gli Stati, molto spesso piegati da debiti pubblici largamente insostenibili sul lungo periodo, siano in grado di trovare le risorse necessarie per finanziare integralmente gli attuali livelli di ricerca nel campo farmaceutico (p. 12).

Inoltre, scrivono G. L. Mannheimer (2018) e S. Sileoni (2012) (citati da Portonera, 2019, p. 12), la questione del vantaggio competitivo che un farmaco branded potrebbe avere sulle versioni generiche anche a seguito della scadenza del brevetto, così come profetizzata da Landes e Posner (vedi sopra, nota 75), ha in Italia un possibile diverso esito: “un simile vantaggio avrebbe poco spazio in un mercato monopsonico quale il nostro, in cui lo Stato, quale acquirente unico, per evidenti ragioni di cassa, impone a sé stesso (o promuove nei confronti dei privati) l’acquisto di generici o biosimilari”. Lungi dal fornire una soluzione al problema del bilanciamento tra costi e benefici del settore farmaceutico, Portonera si limita a prendere atto di una proposta di riforma dei certificati protettivi complementari della Commissione europea (del maggio 2018), così come emendata dalla JURI (commissione giuridica del Parlamento europeo) il 23 gennaio 2019, la quale sembra avere come “obiettivo di consentire agli enti erogatori di prestazioni sanitarie di poter conseguire, in via anticipata rispetto alla situazione odierna, i consistenti risparmi di spesa derivanti dall’impiego di generici e biosimilari”

(p. 13). Infatti, tale riforma propugna un esonero dalla protezione accordata dai SPC, in caso di fabbricazione a fini di esportazione, per consentire alle imprese con sede nell’UE di produrre una versione generica o biosimilare di un medicinale protetto da un SPC, già in pendenza della validità del certificato. La riforma intende aiutare la competitività delle imprese europee, produttrici di farmaci generici e biosimilari, a sfruttare i mercati mondiali in rapida crescita, dal momento che “[c]on la scadenza della protezione della proprietà industriale, entro il 2020 più di 90 miliardi di euro di medicinali biologici di prima generazione di grande successo saranno aperti alla concorrenza dei biosimilari” (Redazione Aboutpharma Online, 2019).

Lo “svantaggio competitivo” che si intende colmare è occasionato dal diverso trattamento riservato alle imprese produttrici di medicinali generici e/o biosimilari europee e quelle extra-europee. Le prime, durante il periodo di protezione da SPC di un medicinale nell'Unione, non possono produrre tale farmaco per alcuno scopo, nemmeno per esportarlo al di fuori dell’UE in paesi in cui la protezione conferita dagli SPC non esiste o è scaduta, mentre i fabbricanti stabiliti in paesi terzi sono liberi di farlo75. Ma anche allo scadere del certificati complementari la situazione non migliora

poiché ai fabbricanti europei è preclusa la possibilità di sviluppare una capacità di produzione fino a quando non sia venuta meno la protezione conferita dal certificato con il sistema degli SPC. Allo scadere del SPC i fabbricanti europei non saranno in grado di entrare e competere al pari con le altre imprese sul mercato interno, immediatamente dopo la scadenza dei certificati complementari: dovranno prima sviluppare una capacità di produzione. La modifica del Reg. n. 469/2009 ha proprio l'obiettivo di consentire alle imprese farmaceutiche di cominciare a produrre tali farmaci protetti, allo scopo di commercializzarli nei mercati esteri già durante il corso di validità di un SPC, così che quando quest’ultimo scadrà, esse saranno già pronte a competere anche sul mercato interno.

Scrive Portonera:

se alle imprese che forniscono generici e biosimilari viene impedito anche solo di coltivare una capacità produttiva sino al giorno successivo alla scadenza di qualsiasi

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“Per esempio, Cina, India, Brasile e Russia non conoscono un sistema di protezione analogo al SPC. Il Canada, già oggi, e al fine di concludere l’accordo CETA, ha previsto un’esenzione dalla protezione SPC in funzione di esportazione, mentre in Israele i certificati complementari hanno un periodo di validità inferiore rispetto agli omologhi europei” (Portonera, 2019, p. 10).

diritto di privativa, è chiaro che per un paio di anni almeno le imprese dei farmaci

branded o originator potranno continuare a dominare il mercato, pur in assenza di

qualsiasi restrizione alla concorrenza. Ma se, invece, sarà possibile addirittura produrre e stoccare i farmaci “alternativi” già durante gli ultimi due anni di validità degli SPC, verrà meno qualsiasi effetto di “ultra-attività”: con la doppia e connessa possibilità, fin dal primo giorno utile, per i competitor di immettere il proprio prodotto sul mercato, e per i servizi sanitari nazionali di godere dei conseguenti risparmi di spesa (p. 13).

La riforma tuttavia, comporta un indebolimento del IPRS, come si legge sul sito web ufficiale dell'European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations (EFPIA):

The proposal reduces IP rights and sends a signal to the world that Europe is weakening its commitment to intellectual property (IP) incentives and innovation. This puts at risk long-term investment in jobs, economic growth and the advancement of patient care in Europe while Europe’s global competitors are taking measures to strengthen their IP framework and attractiveness.

Per limitare il problema saranno introdotte delle clausole di salvaguardia, quali per esempio: un obbligo di notificazione alle autorità di regolazione nazionale, dell’intenzione di avvalersi dell’esenzione e della volontà di avviare la produzione; la possibilità di avvalersi dell'esenzione solo nei confronti dei certificati complementari che non siano ancora stati emessi; l’adozione di misure anti-contraffazione.

Infine si deve riflettere sul fatto che effettivamente, ricorda Portonera, “l’innovazione nel settore farmaceutico [...] è realizzato dalle imprese dei farmaci branded o originator, non dai produttori di generici o biosimilari, che si limitano a ‘copiare’ i farmaci il cui brevetto è scaduto e che quindi non avrebbero neanche cosa vendere, se qualcuno prima di loro non si fosse fatto carico dei costi dell’incertezza” (p. 13). Insomma non è facile fornire una risposta univoca che bilanci i benefici ed i costi nel campo dell'industria farmaceutica. Rimane il fatto che tale ambito è uno dei pochi a trovare un più ampio accordo in materia di PI, in virtù dei delicati interessi che vi sono in gioco: la salute pubblica da una parte e la necessità di sempre nuove soluzioni tecniche per sconfiggere le malattie che affliggono la collettività. Concludendo sul tema, sembra opportuno accogliere il punto di vista di Portonera (2019): one size

doesn’t fit all! In confronto all'industria farmaceutica, l’industria dei software si muove invece “a una velocità notevolmente maggiore e non è soggetta a così stringenti controlli regolatori: essa, per di più, al contrario di quella farmaceutica, tende a non realizzare prodotti ‘finali’, ma singole innovazioni che vengono successivamente combinate tra loro” (pp. 5-6). Per questo motivo, scrive l’autore, un sistema di protezione della proprietà intellettuale che sia identico per entrambe le industrie rischia di essere controproducente: mentre nel caso di un farmaco, come si è visto, la tutela PI sembra indispensabile, nell’ambito dei software essa può facilmente condurre (come già accaduto) a una guerra legale per ostacolare i propri concorrenti (con lo spostamento di risorse preziose dalla ricerca e sviluppo del contenzioso).

Capitolo 4