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IL PUNTO DI VISTA TRADIZIONALE

2.6 I DIRITTI DI PROPRIETA' INTELLETTUALE

2.6.4 IL SEGRETO INDUSTRIALE

Il segreto industriale consiste in un’informazione il cui valore commerciale dipende dalla eventualità che rimanga segreta. Il suo detentore deve pertanto “prendere delle misure” affinchè non venga divulgato il contenuto di questa preziosa informazione. Una volta divenuta nota, potrà essere utilizzata e sfruttata da tutti, perdendo il proprio valore. Fintantochè dura il segreto, il suo detentore è in grado di beneficiare dei maggiori profitti derivanti dalla posizione di monopolio.

Il segreto industriale è anch'esso, come il diritto d'autore e come il brevetto, una forma di protezione dell'informazione, sebbene non sia previsto per esso dalla legge un vero e proprio “diritto di proprietà”. Il segreto industriale è tutelato dalla “legge sul segreto” che racchiude: “varie dottrine sul contratto e sulla responsabilità civile che servono a proteggere dal punto di vista commerciale informazioni di valore come oggetti, processi di fabbricazione e liste di clienti 48” (Shavell, 2004, p. 135).

Le norme in tema di segreti industriali definiscono l'insieme delle facoltà che il legittimo titolare di un segreto industriale possiede nei confronti di coloro che ne sono venuti in possesso ingiustamente, ad esempio attraverso la violazione di clausole contrattuali, il mancato rispetto da parte di un dipendente del dovere di lealtà o attraverso altri comportamenti contrari al diritto. Il dipendente di un'azienda che diffonde informazioni di valore circa processi operativi, tecniche per fare concorrenza al datore di lavoro, formule, schemi, metodi, conoscenze di carattere tecnico, etc., viene condannato al risarcimento dei danni. Si cerca anche di prevenire tali comportamenti, attraverso l'introduzione di clausole contrattuali che impongono il

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Il segreto industriale è tutelato indirettamente dalle stesse norme sui diritti reali e sul possesso. Esiste un divieto di divulgare o utilizzare quei dati o quei fatti dei quali si sia venuti a conoscenza con mezzi abusivi o per ragione del proprio stato, confessione, arte o ufficio (Chiancone e Porrini, 1998).

dovere di lealtà da parte del dipendente. Si tratta tuttavia di comportamenti che, sostengono Chiancone e Porrini (1998), “hanno una rilevanza autonoma e che quindi sarebbero sanzionati comunque, se non fossero connessi al segreto” (p. 259).

La legge sul segreto fornisce una tutela dell'informazione più debole rispetto a quella assicurata dal diritto di proprietà da copyright e da brevetto. Infatti, al di là delle modalità di prevenzione tramite le clausole contrattuali già menzionate, la tutela offerta dalla legge sul segreto subentra solo ex post, in caso di avvenuta violazione del segreto. Tale violazione è punita in quanto appropriazione indebita: l'acquisizione è avvenuta con un qualche atto contrario al diritto. Il detentore del segreto non può infatti vantare un diritto esclusivo nei confronti dell'invenzione che gli consenta di interdire l'uso a chi ne abbia intuito il contenuto o chi lo abbia carpito tramite un procedimento di ingegneria inversa: la legge sul segreto non protegge dal meccanismo del “reverse engineering”. Pertanto “un concorrente è libero di dedurre il segreto, per esempio, dall'esame di un prodotto e dalla sua analisi o attraverso l'identificazione dei clienti di un concorrente” (Shavell, 2004, p. 136). Il valore del segreto sarà più basso quanto più facile è giungere alla sua scoperta indipendentemente o carpirlo attraverso il reverse engineering. Dunque il suo inventore sarà incentivato a proteggerlo, sobbarcandosi i relativi costi, solo se non facilmente scopribile da altri in tempi stretti, grazie alla sua originalità. In questo caso i competitors non riterranno conveniente profondere sforzi eccessivi in termini di energie e di costi per una loro scoperta indipendente (Posner, 1992).

Un altro possibile costo del segreto industriale, rilevato da Posner (1992), è rappresentato dal fatto di richiedere sforzi e impiego di risorse eccessive nel tentativo di mantenere gli altri all'oscuro dal segreto. Il detentore del segreto non dispone inoltre, di alcuna tutela (l'azione inibitoria sarebbe quella appropriata) nei confronti del terzo che, inconsapevolmente sia venuto a conoscenza del segreto dalla controparte, colpevole della violazione e ne abbia fatto uso.

Il trasferimento del segreto è meno agevole di quanto sarebbe quello di un brevetto o di un diritto d'autore: il segreto è più difficile da vendere perchè, il compratore dovrà accettare di acquistare a scatola chiusa, accettando un prezzo. Se lo si svelasse per consentire al potenziale acquirente di valutare prima dell'acquisto, questo potrebbe decidere di non acquistare più, avendo ormai carpito il segreto.

In alcuni casi invece, la legge sul segreto offre una tutela delle informazioni segrete più efficace di quella offerta dalle altre forme di tutela della conoscenza. Infatti,

proprio la caratteristica della segretezza sull'informazione può rappresentare un vantaggio per chi non volendola divulgare sarebbe invece costretto a farlo per ottenere un brevetto. Tale vantaggio riguarda il detentore dell'informazione, ma può costituire uno svantaggio per le imprese che beneficerebbero dalla conoscenza dell'informazione riservata. Infatti, se l'informazione fosse piuttosto oggetto di brevetto potrebbe essere divulgata e resa sfruttabile grazie all'acquisto di una licenza d'uso.

Un altro vantaggio della tutela del segreto industriale, a differenza del brevetto, è che non richiede costi per la registrazione e il mantenimento: si possono tutelare così invenzioni che non valgono il costo del brevetto, in quanto hanno un modesto valore commerciale. In questi casi è possibile che la tutela offerta dal segreto industriale sia l'unica praticabile.

Il segreto industriale è spesso descritto come “alternativa” e “supplemento” rispetto al brevetto e al diritto d'autore. Una “alternativa” “perchè una parte è libera di scegliere tale protezione al posto di quelle” e un “supplemento” in quanto “può essere ottenuta quando le parti non sono in grado di assicurarsi brevetti o diritti d'autore o un'aggiunta a questi” (Shavell, 2004, p. 136). La legge sul segreto industriale può così costituire un rimedio “alla lacuna nella legislazione sui brevetti”, in quanto tutela anche invenzioni di scarsa rilevanza o che non soddisfino pienamente uno dei requisiti richiesti per ottenere un brevetto. Scrive Shavell (2004):

Poichè la legge sul segreto fornisce la sola forma di protezione dei diritti di proprietà per alcune informazioni, sembrerebbe essere socialmente desiderabile sul terreno generale che la protezione dei diritti di proprietà che riguardano l'informazione sia considerata socialmente desiderabile. Questo è particolarmente vero per le informazioni di valore relativamente basso e dunque per le quali le spese che le parti private e la società sostengano per il processo di brevetto e per il diritto d'autore non verrebbero garantite. Secondo, dare agli individui l'opzione tra la protezione del segreto e il brevetto o il diritto d'autore […] ha una caratteristica desiderabile: se gli individui hanno migliori informazioni rispetto allo stato sui relativi benefici e costi del segreto rispetto alla protezione del brevetto e del diritto d'autore, prenderanno una decisione migliore rispetto allo stato circa quale forma di protezione procuri maggiori benefici netti (p.137).

Scegliere di tutelare un'informazione di valore con la legge sul segreto industriale, anziché tramite brevetto o diritto d'autore, può avere anche un altro vantaggio. La

tutela del segreto commerciale ha una durata illimitata fintantochè il segreto permane. La celebre bevanda Coca Cola, la cui formula è stata mantenuta segreta per più di un secolo, ne è un chiaro esempio. Così un' invenzione sarà più efficientemente tutelata se occorrono più di 17 o 20 anni per essere raggiunta da altri inventori, attraverso un processo di creazione indipendente o di reverse engineering. Il mantenimento del segreto costituirà anche la “prova del nove” della originalità, eventualmente rifiutata dall'ufficio brevetti. Maggiore è il tempo in cui il segreto viene mantenuto al sicuro, maggiore sarà la dimostrazione dell'originalità dell'invenzione. La durata potenzialmente illimitata del segreto rappresenta tuttavia, una sottrazione potenzialmente pericolosa per la collettività. Infatti, “non esiste nessuna garanzia che il nuovo prodotto, o il nuovo procedimento, vengano prima o poi resi pubblici, e che, quindi, ad un certo momento si ristabilisca la situazione di concorrenza alterata dal segreto” (Chiancone e Porrini, 1998, p. 260).

Infine, la tutela del segreto funge da incentivo alla creazione e ad un uso efficiente, più produttivo dei brevetti stessi. In assenza di tutela, il detentore di una informazione di valore se ne servirebbe solo al riparo da occhi indiscreti, riducendone fortemente l'uso a situazioni di estrema sicurezza. Invece la disciplina prevista per la sua tutela permette anche l'opzione di concederne lo sfruttamento ad altri soggetti, pattuendone le modalità di utilizzo. L'acquirente può essere più capace nello sfruttamento dell'informazione e consentire così di renderla più produttiva di prima. Ma, come si è visto poc’anzi, l'acquisto di un segreto è un acquisto a scatola chiusa; la transazione può risultare pertanto difficile da realizzarsi.

2.6.5 IL MARCHIO

Il marchio rientra in quella forma di diritti di proprietà che Shavell (2004) descrive come contenente “informazioni che indicano le caratteristiche di un bene o servizio”. E’ una parola, un simbolo o una frase, “associat[o] in modo univoco con il suo particolare venditore. Le marche hanno valore sociale quando i consumatori le associano con la qualità vera del bene (o servizio) etichettato e quando la qualità di tali beni sarebbe altrimenti difficile da determinare” (Shavell, 2004, p.145). Il marchio è oggetto di tutela della legge sul marchio e presenta delle analogie con il diritto di

pubblicità49 nell'analisi di Posner (1992): “[f]rom an economic standpoint, rights of

publicity are similar to trademarks; both involve property rights in information used to identify and promote a product or service” (p. 43).

Anche il marchio, come tutti i diritti di proprietà intellettuale, presenta dei pro e dei contro, ma in generale la funzione svolta dal marchio è considerata virtuosa, a fronte dei suoi poco rilevanti costi sociali. Un primo vantaggio derivante dall'uso di un marchio è sicuramente la possibilità di identificare il livello di qualità del prodotto o del servizio al quale si riferisce, risparmiando i consumatori dal dover ottenere informazioni in merito, prima dell'acquisto. Informazioni la cui acquisizione diretta da parte del consumatore può risultare difficoltosa. Inoltre il marchio è inscindibilmente legato al suo produttore o fornitore: questi saranno dunque incentivati nel mantenere alto il livello delle prestazioni offerte, potendo richiedere un prezzo che rifletta l'alta qualità. Del resto, se i venditori non avessero questo incentivo, i beni di alta qualità tenderebbero a non essere venduti quando i consumatori non potessero con facilità accertarne la qualità in maniera diretta (Shavell, 2004).

Il marchio si acquista con l'uso e la registrazione ed ha una durata potenzialmente illimitata che, secondo Shavell, è proprio quella “ottimale”. Infatti, nei rari casi in cui, al contrario, ha una durata limitata, ma il prodotto è ancora in commercio quando l'uso del marchio è cessato, l'ex detentore dovrebbe investire per ideare un altro segno distintivo; facendo ciò finirebbe per creare confusione nel pubblico: poiché il marchio è strettamente legato al prodotto o servizio che rappresenta, deve essere trasferito insieme ad esso. Il principio guida dovrebbe proprio essere che l'uso di una marca dovrebbe non portare i consumatori a confondere prodotti differenti. Il marchio con durata illimitata può comunque cessare di esistere in maniera naturale, nel caso in cui il prodotto o il servizio non siano più commercializzati o il marchio divenga un termine “generico”. Scrive Shavell a tal proposito che: “[q]uando il venditore intendesse abbandonare l'uso della marca, potrebbe essere desiderabile ritirare il diritto di proprietà sulla marca perchè la marca potrebbe avere un certo valore di scarsità” (Shavell, 2004, p. 147).

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Posner si riferisce all'uso di nomi o di immagini di personaggi famosi dello spettacolo o dello sport che vengono prestati per pubblicizzare un prodotto o un servizio, che non comporterebbe evidenti investimenti da parte della colletività, ma che sarebbe solo destinato ad arricchire le già abbienti celebrità.

Per chi possiede una marchio su un bene o un servizio è sicuramente un vantaggio poter proibire agli altri venditori di farne uso: se non vi fosse questa “escludibilità” nell'uso, i concorrenti produttori di beni di bassa qualità potrebbero appropriarsi dei vantaggi offerti dalla buona reputazione guadagnata da un marchio, beneficiando per di più del prezzo elevato al quale è possibile commercializzare il bene o il servizio da esso rappresentato e continuando a produrre a costi più bassi.

Se qualsiasi hotel potesse chiamarsi “Hotel Hilton” perderebbe il significato dal momento che i clienti degli hotel scoprissero che gli Hotel Hilton non sono necessariamente di alta qualità (Shavell, 2004, p. 146).

Quando i consumatori scoprissero che il marchio non è più un segnale di garanzia di qualità, il marchio perderebbe il suo valore e il prezzo sarebbe inevitabilmente destinato a diminuire.

Per ottenere la registrazione di un marchio su un prodotto o su un servizio occorre che la parola, il simbolo o la frase che lo costituisce, sia particolarmente originale, realmente identificativo e distintivo, non ovvio, ma allo stesso tempo di immediata percezione. La difficoltà connessa alla ricerca e alla ideazione di un marchio avente tali caratteristiche può rappresentare un costo della legge sui marchi.

The great challenge for trademark law is to enable each producer to identify his own brand without increasing the costs to other producers of identifying and marketing their brands. The best trademark from this standpoint is the fanciful mark, such as Kodak – an invented word, as distinct from one taken from the language (Posner,

1992, p. 44).

Quando viene utilizzato un marchio meramente descrittivo, può essere tutelato solo se abbia acquistato un “significato secondario” rispetto a quello ordinariamente inteso, altrimenti vi sarebbe il rischio di monopolizzare termini non così originali e rendere difficoltoso l'uso del linguaggio stesso. L'obiettivo è chiaramente minimizzare l'interferenza con il normale uso del linguaggio. L'uso di un termine da parte di un produttore esclude altri dal poterlo utilizzare per il proprio marchio. Ciò determina una sottrazione alla sfera comune di parole e simboli esistente.

Vi è poi il rischio che il termine utilizzato per identificare il marchio diventi generico con l'uso: cominci con l'identificare il bene in sé e non il brand di un bene. Esempi

classici sono il marchio “aspirina”, “cellophane”, “yo-yo”, che sono entrati a far parte del linguaggio comune per indicare un medicinale antinfiammatorio, una qualsiasi pellicola trasparente per il packaging e il famoso giocattolo formato da due coppette unite e un cordino avvolto attorno all'asse. Quando questo accade il marchio non può più essere protetto dalla legge. Scrive Posner (1992) a tal proposito:

If the trademarks owner were allowed to exclude competitors from using the generic term to describe their brands, he would be imposing costs on them. This would be fine if society wanted to give trademark owners a form of monopoly power the better to encourage people to think up catchy marks, but the costs of inventing trademarks, as distinct from the cost of inventing useful products or processes or of writing books, are too low to justify so extensive property right (p. 44).

Permettere che anche l'uso di un termine generico possa essere di esclusiva competenza di un soggetto significa imporre costi alla collettività che non sono contemperati dai bassi costi che l'ideatore di un marchio ha dovuto sopportare. Il fatto che il marchio divenuto generico diventi disponibile, ha tuttavia un “possibile vantaggio sociale”, e cioè mettere “in grado altri venditori di descrivere i loro prodotti senza eccessiva difficoltà (come potrebbe un produttore di yo-yo descrivere il proprio prodotto senza usare la parola “yo-yo”?)” (Shavell, 2004, p. 149).

Vi sono infine costi di amministrazione e applicazione che, secondo Shavell (2004), sono gli unici davvero rilevanti della legge sul marchio. Tali costi riguardano la prevenzione della violazione dell'uso delle marche e la loro pubblicità, che possono tradursi in sforzi e risorse eccessive per rendere noto e far emergere le caratteristiche del prodotto o servizio o evitare che diventi generico. Questi costi rappresentano uno spreco sociale e andrebbero perciò evitati. Inoltre “[l]a creazione e l'uso delle marche mette in grado i venditori di creare e di mantenere il potere di mercato oppure di ingannare i clienti circa la qualità del prodotto. Questi problemi, tuttavia, possono essere affrontati direttamente attraverso leggi antitrust e sulla pubblicità ingannevole, così che il livello al quale dovrebbero essere considerati come costi impliciti dei diritti di proprietà sulle marche è attenuato” (p. 146).

CAPITOLO 3