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REAZIONE USA: INIZIA IL PROCESSO DI CONVINCIMENTO

Nessun paese è riuscito a sfuggire alla morsa dello Special 301: tra il 1985 e il 1994 l'USTR ha intentato ben 95 azioni nei confronti di quei paesi che si dimostravano restii nei confronti della politica USA sugli standards PI (per es. contro Brasile, Corea, Argentina, India etc.):

The aim of the 301 process was to push and prod developing countries into accepting intellectual property rules that would allow their economies to be integrated into a global knowledge economy being led by US entrepreneurs. For this purpose it was more important to give countries the feeling that their behaviour on intellectual property was the subject of constant surveillance. The watchlist method under Special 301 did precisely this (Drahos e Braithwaite, 2002, p. 100).

Con un eccezionale strumento di ritorsione commerciale quale è lo Special 301, gli USA iniziarono a concludere una serie di accordi bilaterali volti a far adottare a paesi che violavano la PI americana standards di tutela PI più elevati. Scrivono Drahos e Braithwaite: “the action against Korea produced the first significant bilateral deal on intellectual property”, accordo che verrà successivamente ritenuto il modello di partenza del GATT. Occorreva tuttavia utilizzare lo strumento dello Special 301 in modo oculato, perché un suo uso improprio avrebbe potuto alterare i rapporti tra i negoziatori, retti da un equilibrio spesso precario (le stime delle perdite subite dall'America erano spesso esagerate rispetto alla realtà e ciò non poteva che creare insoddisfazione).

Comunque sin dal 1979, dal c.d. Tokyo Round, la base per un codice sulla PI era stata abbozzata. USA, Unione Europea, Giappone, Svizzera, Nuova Zelanda, Canada, Austria e Paesi del Nord Europa avevano firmato un accordo quadro, un “Framework of Understanding”: “setting out what they believed to be the principal elements of a deal” (Drahos e Braithwaite, 2002, p. 137). L'accordo quadro conteneva tutti gli elementi che i suoi sottoscrittori ritenevano fondamentali e che sarebbero dovuti

confluire nel testo finale dell'accordo sulla PI. I Paesi in via di sviluppo, furono lasciati fuori dalle trattative, affermano i due ricercatori, e non tollerarono la cosa. Gli USA in quella occasione avevano fatto pressioni per ottenere un codice anticontraffazione che tutelasse i proprietari di marchi17; entro la metà degli anni ‘80

la bozza che si era formata era molto più di un semplice codice su beni contraffatti. Il solo Tokyo Round aveva comportato una riduzione del 35% delle tariffe industriali delle principali economie (Drahos e Braithwaite, 2002, p. 108).

La situazione di precarietà economica americana in quegli anni aveva fatto assumere da parte del Congresso USA un atteggiamento protezionista. E’ in questo contesto di crisi (in particolare, del settore manifatturiero) che i lobbisti trovarono terreno fertile per iniziare un processo di convincimento delle istituzioni governative americane dapprima e degli altri paesi successivamente. Un dato non trascurabile era anche il fatto che i portatori di interessi privati erano un bacino non indifferente di voti: “[t]here was always the possibility of these companies contributing to a re-election campaign” (Drahos e Braithwaite, p. 86). Si vide del potenziale economico nell'High Tech, con le sue opportunità di occupazione e di innovazione. Scrivono Archibugi e Filippetti : “In a more integrated global trade regime, in which hightech industries were becoming the crucial factor of competitiveness, the fact that other countries had a more permissive regime of IP was perceived as one of the causes of the US trade deficit” (2010, p. 143).

La necessità di “sicurezza economica” è stata via via posta in relazione con la “sicurezza nazionale”; relazione resa possibile dagli innovativi e sempre più avanzati strumenti tecnologici che rappresentavano un enorme business da una parte e sistemi di sorveglianza continua (in spregio per il rispetto della privacy) per la prevenzione di reati. Abbiamo assistito al passaggio da “Economic Security as National Security” a

17 Anche le multinazionali occidentali hanno per anni commercializzato prodotti contraffatti dei Paesi in via di sviluppo, servendosi delle loro insegne territoriali. Scrive M. Dragoni (2011) a proposito del fenomeno della c.d. “biopiracy”: quel fenomeno per cui, “attraverso la brevettazione, si monopolizzano conoscenze note, e talvolta ancestrali, sottraendole agli originali detentori”. L'India è stata spesso oggetto di “furti” del genere, a partire da casi meno noti quali il caso del “turmeric” e il caso del “neem tree”, per finire su casi più noti, che hanno destato scalpore, come quello del riso

basmati, tutti accumunati dal fatto di essere prodotti tipici indiani che, a causa della loro

brevettazione (del prodotto in sé o del procedimento per produrle) da parte di aziende occidentali, sono stati sottratti dai beni comuni e dal patrimonio identitario indiano. Fortunatamente le battaglie legali condotte dal governo indiano in risposta a questi eventi hanno portato alla revoca di questi brevetti o di parte di essi oppure ad una circoscrizione del loro ambito. Per ulteriori informazioni sulla vicenda “Basmati” vedasi l'articolo del 25 giugno 2000, disponibile su http://www.iotech- info.net/basmati_patent.html.

“Economic Security is National Security”. Il Dr. Peter Navarro, assistente del Presidente e direttore dell'Ufficio del commercio e della politica di produzione della Casa Bianca, ha intitolato un suo articolo su RealClearPolitics: “Why Economic Security Is National Security”. Si legge che il presidente Ronald Reagan (1981-1989)

aveva già allora ben compreso che solo attraverso la forza si sarebbe potuta raggiungere la pace. Al suo tempo tale forza fu intesa nel senso di un rafforzamento militare: un tecnologico ed innovativo dominio militare. Oggi invece, afferma Navarro, “i tempi sono più complessi”, per cui “nation-states do not only challenge us as strategic competitors. Rogue nations develop weapons of mass destruction even as stateless actors engage in jihad and terrorism. We are also in an intense economic competition with nations with whom we trade freely – yet our own free and fair trade often goes unreciprocated”. La presidenza Trump ha ben chiaro il legame che lega sicurezza nazionale e sicurezza economica, per cui “ci troviamo un feudo equamente diviso tra le multinazionali della tecnologia e i servizi di intelligence” (Morozov 2017)

To be economically secure, American families must have good jobs at good wages and the freedom to pursue the abundant economic and entrepreneurial opportunities that were available to our forebears. Yet such economic security readily translates into national security because it is only through an enduring American prosperity where we will find the growth, resources, and technological innovations necessary to field the most advanced military in the world. […] When the U.S. government serves as an advocate for private industry to increase defense sales, these sales strengthen our strategic partners and help stabilize regional alliances. That’s pure national security. But the Trump administration’s new defense sales policies also create great jobs at great wages. That’s pure economic security. [...] “A healthy defense industrial base is a critical element of U.S. power,” the president proclaimed in the 2017 National Security Strategy. The “ability of the military to surge in response to an emergency depends on our Nation’ s ability to produce needed parts and systems.”

(Navarro, 2018)

L'amministrazione Trump ha attuato una politica di investimenti, innovazione e deregolamentazione, rendendo le imprese americane più competitive a livello globale. Trump ha compreso che l'industria manifatturiera americana ha sofferto non solo a causa dei danni della globalizzazione, bensì anche a causa di “specifici obiettivi” da parte di concorrenti strategici come la Cina. Infatti dalla investigazione di cui alla

Sezione 301 è emerso che, la Cina ha posto in essere una serie di atti, politiche, e pratiche (“forced technology transfer” and “systematic investment” aimed at “cutting edge technologies” to “cyber-enabled theft”) nel tentativo di acquisire “America’s technological crown jewels” (Navarro).

Nel clima di sfiducia nei confronti delle potenzialità del governo di uscire dalla crisi, è stata posta in atto una vera e propria rivoluzione digitale.

I tempi erano maturi per insistere sul raggiungimento di un sistema globale di tutela della PI. Si iniziò con la conclusione di una serie di accordi bilaterali: nel 1979 tra USA e Cina in cui si cercava di ottenere dalla Cina, standards di protezione per i diritti d'autore, i marchi e i brevetti americani e che si impegnasse a rispettare le regole del capitalismo globale dell'informazione; nel 1986 USA e Corea del Sud raggiungono un accordo per la protezione della PI americana. Nel 1985 la Corea era diventata il partner commerciale numero uno dell'America, scrivono Drahos e Braithwaite. In Corea il copyright era oggetto del Ministero della Cultura: “[w]ould the US really be forced to close its huge markets to Korea because some officials from cultural affairs were insisting that in Korean culture copying brought pleasure and honour to the author?”. Sostanzialmente l'accordo che ne derivò “was simply a deal in which US companies wanted money for their patents, protection for their trademarks, the pirates jailed and Koreans to open their markets, culture and wallets to US copyright and patent products and that was that”. L'accordo prevedeva anche la chiusura della Tower Publication, come si è già visto nei paragrafi precedenti.

E' del 1987 l'accordo concluso tra USA e Brasile dopo che nel luglio dello stesso anno il Brasile era stato sottoposto all'investigazione ex 301 Section. L’accordo era diretto, sostengono i due ricercatori australiani, a interrompere la resistenza del Brasile circa la brevettabilità dei farmaci e privare l'India di un potente alleato per il TRIPs. Esso prevedeva anche l'aumento delle tariffe sui prodotti di carta, sui farmaci non benzoidei e su oggetti elettronici. Tuttavia gli Stati Uniti erano legati all'economia brasiliana, pertanto imporre sanzioni sui beni Made in Brazil avrebbe potuto comportare degli svantaggi per gli USA stessi. Il Brasile a sua volta dipendeva per il 25 % dal commercio dagli USA: non rispettare gli accordi avrebbe comportato il suo tracollo commerciale. Ma accettare un simile accordo significava anche vedere innalzare i prezzi di farmaci importanti come quelli contro l'AIDS e il Brasile non poteva permetterselo. Pertanto si oppose alla proposta USA, ma nel 1990 cedette alla sua stretta e iniziò ad elaborare una bozza di legislazione.

Nel 1991 fu concluso un accordo tra USA e India sulla PI, che ebbe una portata meno pervasiva rispetto a quello concluso con il Brasile. Infatti l'India, a differenza del Brasile, era economicamente meno dipendente dal commercio con l'America. Nel 2000 è stato concluso un accordo di libero scambio con la Giordania contenente norme di tutela brevettuale addirittura più elevate di quelle previste dal TRIPs.

Il raffinato processo di persuasione, quella “rivoluzione silente in IPR” (Andersen, Jaffe e Lerner), avvenuto negli anni, aveva visto tra i suoi protagonisti personaggi particolarmente influenti, persone ai vertici di aziende leader e spesso anche membri di istituzioni governative importanti, al cui interno venivano prese decisioni strategiche per il bene dell'America in un contesto globalizzato. Un esempio significativo e sul quale Drahos e Braithwaite si soffermano a lungo è quello di Edmund T. Pratt Jr., già nominato nel paragrafo precedente, CEO dell'azienda farmaceutica Pfizer dal 1972 al 1992 e poi presidente del Advisory Committee for Trade Negotiations (ACTN) nel 1981: “[t]his enabled him to have an input into the trade policy process” (p. 69). Con lui, altri esponenti influenti della Pfizer: “Gerald Laubach, President of Pfizer Inc, was on the board of the Pharmaceutical Manufacturers Association and on the Council on Competitiveness set up by President Ronald Reagan; Lou Clemente, Pfizer’s General Counsel, headed up the Intellectual Property Committee of the US Council for International Business; Bob Neimeth, Pfizer International’s President was the Chair of the US side of the Business and Industry Advisory Committee to the OECD”.

Like the beat of a tom-tom, the message about intellectual property went out along the business networks to chambers of commerce, business councils, business committees, trade associations and peak business bodies. Progressively Pfizer executives who occupied key positions in strategic business organizations were able to enrol the support of these organizations for a trade-based approach to intellectual property. With every such enrolment the business power behind the case for such an approach became harder and harder for governments to resist (p. 70).

L'azienda Pfizer iniziò una vera e propria campagna per spingere il problema della tutela della PI sempre più al centro dei dibattiti sul commercio. A supporto delle motivazioni per le quali si rendeva neccessario rafforzare la tutela della PI, puntava su un solido apparato di principi e valori liberali fondamentali, quali: il diritto individuale

di proprietà, il diritto ad una ricompensa per il lavoro e l'equità, l'orgoglio nazionale. Faceva riferimento in particolare all'orgoglio vantato dagli Stati Uniti per i risultati nel settore dell' high tech. La strategia era efficace perchè la maggior parte dei think tank statunitensi mirano ad obiettivi che hanno al centro della loro attività, l'interesse nazionale degli Stati Uniti. Le aziende americane sono state descritte come innovatrici in difficoltà che affrontano un futuro incerto in un mondo in cui i paesi in via di sviluppo stavano ignorando le regole fondamentali del fair play negli affari. Così facendo, “[o]nce intellectual property was connected to the protection of high technology, people began to link it to national and military security” (Drahos e J. Braithwaite, 2002, p. 70).

Scriveva Pratt in “Intellectual Property Rights and International Trade” di se stesso, quando era Presidente e Amministratore Delegato della Pfizer Inc. : “[d]uring his tenure as Chairman and CEO of Pfizer Inc., Mr. Pratt helped to lead the US private sector's campaign to have intellectual property included in the Uruguay Round (1986- 93) of the GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) negotiations; and to have it integrated into US trade law and other international agreements such as NAFTA. In an excerpt from a recent speech given to the US Council for International Business, Mr. Pratt offers a private sector perspective on what was achieved through close government-industry co-operation.[...]”. Pratt stesso dunque conferma e ribadisce la sua attività di pressione sul governo. Il suo impegno era piuttosto evidente.

Anche l'International Business Machines Corporation (IBM), la famosa azienda statunitense di informatica, ebbe un ruolo nella promozione del nuovo approccio alla proprietà intellettuale basato sul commercio. In particolare suo oggetto di interesse era la protezione del diritto d'autore dei software per elaboratori elettronici. Pertanto incaricò Jacques Gorlin, in qualità di economista esperto della materia commerciale di redigere un documento: “[a] Trade-Based Approach for the International Copyright Protection for Computer Software” (1 September 1985), per rendere quella protezione oggetto di suo interesse, effettiva. Negli anni '80 John Opel divenne presidente dell'IBM, era a capo della task force dell'ACTN sulla proprietà intellettuale e negli stessi anni Gorlin divenne consulente dell'ACTN sulla medesima questione. In seguito “when Pratt and Opel established the Intellectual Property Committee (IPC), Gorlin became its consulting economist”.

Un altro punto sul quale, gli autori di Information Feudalism e quelli di The Globalisation of Intellectual Property Rights: Four Learned Lessons and Four Theses

convergono, e che sta piano piano emergendo da quanto esposto finora è quello che afferma che il sistema globale dei diritti di proprietà intellettuale moderno, formatosi nel corso di lunghi anni e che ha visto una sua consacrazione nell'Accordo TRIPs, è stato il frutto di un “processo non democratico”, o comunque di un processo voluto e condotto da pochi. “As Susan Sell explicitly claims, ‘twelve corporations made public law for the world’” (Sell 2003, p. 96), scrivono Archibugi e Filippetti. Infatti si sostiene che le decisioni chiave siano state prese da corporazioni americane forti, dotate di un potere contrattuale rilevante, che hanno potuto fare pressioni sui governi per ottenere ciò che li avrebbe avvantaggiati. La loro abilità è consistita nell'aver condotto la loro campagna di inserimento della questione PI nell'agenda del governo, ponendo il problema della pirateria e della scarsa tutela PI da parte degli altri paesi come un problema comune che interessava oltre alle corporazioni USA che se ne erano fatte promotrici, anche l'economia americana nel suo complesso. Le stime sulle perdite di competitività americane parlavano chiaro e anche se alle volte venivano un po' esagerate, sconcertavano e non poco il governo americano. A dimostrazione del fatto che il sistema globale di PI sia stato voluto solo da grandi corporazioni e non anche da singoli autori, si deve rammentare che quando ai produttori di Hollywood si chiese di riconoscere il “diritto morale” degli autori e degli artisti – tale era il diritto d'autore europeo a differenza del copyright americano – questi si opposero perché “erano da tempo abituati ad esercitare un potere assoluto sulla produzione” (Drahos & Braithwaite, 2002, p. 126).

A club of US multinational corporations played a major role in getting the TRIPS Agreement, providing one of the most important lessons on how business power shapes international politics (Ryan, 1998; Sell, 2003). However, this should not necessarily be seen as a sign of the strength of the American economy, but rather as the consequence of the progressive erosion of US technological hegemony (Archibugi

e Filippetti, 2010, p. 143).

Real power in the modern world, as much of this book shows, comes from sitting on committees that filter out other interested decision-makers or parties from key decisions, but that in some way or another can be read as representing the excluded. In such committees power becomes concentrated in the hands of the few. Its exercise is democratically legitimated by the symbolic links the committee retains with the many that are excluded from the real decision-making. The Advisory Committee on

Trade Negotiations (ACTN) was just such a committee (Drahos e Braithwait, 2002, p.

72).

L'Advisory Committee for Trade Negotiations (ACTN)18 è stata di notevole aiuto

durante l'Uruguay Round per le imprese statunitensi poiché, nel dialogo con il rappresentante americano per il commercio (USTR) ha potuto esprimere il punto di vista del settore privato circa gli interessi economici degli Stati Uniti e ha intrattenuto una stretta relazione con l'International Intellectual Property Alliance (IIPA) e l'Intellectual Property Committee (IPC) sorte in seguito alla rivisitazione del Trade Act del 1980, anch'esse organizzazioni chiave per la creazione del IPR system (IPRS), come già visto. Inoltre l'ACTN rafforzò la sua posizione grazie alla creazione di una “special position within the United States Trade Representative’s office called the Assistant Secretary for International Investment and Intellectual Property” (Drahos e Braithwait 2002, p. 72).